Mandato imperativo: differenze tra le versioni

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→‎Diritto costituzionale italiano: TAR Sicilia e TAR Puglia
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; Mandato imperativo negli enti locali italiani
Il mandato imperativo è anche in [[antinomia (diritto)|contrasto]] con l'art. 97 della Costituzione, che stabilisce il [[principio di buon andamento]] e il [[principio di imparzialità]] della [[pubblica amministrazione]]. <br/> Per questo motivo, pur non essendo menzionati espressamente dall'articolo 67 della Costituzione, si ritiene che il divieto si applichi anche ai componenti di assemblee elettive diversi da quella parlamentare<ref>Per l'[[Unione di comuni]], v. SENTENZA TAR PUGLIA sede di LECCE, sezione SEZIONE 1, n. 100/2009: "Giova peraltro evidenziare che, secondo la previsione contenuta nell’art 11 dello Statuto dell’Unione, “i consiglieri rappresentano tutte le comunità dell’unione ed esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato”
La norma statutaria, nel riprodurre la disposizione sul divieto di mandato imperativo valevole per i parlamentari nazionali legittima, anche in sede di [[enti locali]], la prassi della sottrazione dell’eletto alle direttive di partito fino al limite del mutamento di schieramento politico di appartenenza. Essa va interpretata quale norma che osta alla irrogazione di sanzioni derivanti dalla appartenenza a schieramento politico diverso da quello inizialmente prescelto dall’eletto.</ref>.
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Infine, dal punto di vista giuridico, diviene molto più difficilmente configurabile un [[abuso di potere (diritto)|abuso di potere]] e la nullità di un atto, ovvero perseguibile la [[Responsabilità della pubblica amministrazione italiana|responsabilità del pubblico funzionario]] (civile, [[Responsabilità penale degli enti (ordinamento italiano)|penale degli enti]], [[responsabilità amministrativa|amministrativa]]), quando chi firma e pone in essere gli atti amministrativi può appellarsi al dovere di obbedienza alle decisioni di terzi, che deriverebbe da un legittimo vincolo di mandato (o da un contratto di dettaglio), con relative penali e perdita della maggioranza di governo.
 
In passato, il TAR ha dichiarato più volte la non vincolatività di clausole di questo tipo negli statuti dei partiti politici, emancipando dall'appartenenza politica la vicenda istituzionale dello svolgimento del mandato elettivo: ciò non solo nelle regioni a statuto speciale<ref>TAR SICILIA, SENTENZA sede di PALERMO, sezione 1, n. 1824/2020:«quanto alla clausola ostativa contenuta nel regolamento (...) il quale, a pena di espulsione, prevede che non si possa interrompere un mandato a carica elettiva per assumere un’altra carica elettiva (...) viene in rilievo il preminente divieto di mandato imperativo sancito tanto dall’art. 67 della Costituzione quanto dall’art. 3, comma 6, dello Statuto speciale della Regione siciliana».</ref>, ma anche nelle assemblee elettive delle regioni a statuto ordinario<ref>Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sez. I, sentenza n. 260 del 21 febbraio 2019: «il principio costituzionale del divieto del mandato imperativo (art. 67 della Costituzione) comporta che i consiglieri regionali non possano decadere dalla carica per volontà dei partiti in cui militano o con cui si sono presentati alle elezioni. In altri termini, una volta eletto, il consigliere regionale entra a far parte di un organo – il [[Consiglio regionale]] – in una situazione di autonomia, tanto che gli è permesso di svincolarsi dall’appartenenza partitica e, ciononostante, mantenere saldo il diritto di permanere nell’ufficio per il quale è stato eletto anche in caso di sospensione o addirittura espulsione dal partito di riferimento».</ref>.
 
== Note ==