Leggi razziali fasciste: differenze tra le versioni

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== Vittorio Emanuele III e le leggi razziali ==
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Vittorio Emanuele III, particolarmente legato al suo ruolo di sovrano costituzionale, firmò le leggi razziali nel 1938 approvate dal Parlamento e vagliate dai competenti organi dello stato. Personalmente il Re non era affatto razzista - tanto che il medico di corte, dott. Stukjold, era ebreo - e vanto della sua Casata era stato, quasi un secolo addietro, concedere con lo [[Statuto Albertino]] i diritti civili e politici ai cittadini del Regno, compresi quelli di religione ebraica. Per tali ragioni il sovrano non perse occasione per far presente al capo del governo Mussolini il proprio dissenso, pur tenuto dallo Statuto alla promulgazione di quei provvedimenti scellerati e constatando con frustrazione di avere poche possibilità di opporsi efficacemente giacché in quel momento storico il dittatore era all'apice della popolarità, adorato dalle masse e tenuto in gran conto all'estero, e indicato quale "uomo della Provvidenza" dal Papa. Della contrarietà di Vittorio Emanuele scrive [[Galeazzo Ciano]] nel suo ''Diario 1937-1943'', giorno 28 novembre [[1938]]: ''"Trovo il Duce indignato col Re. Per tre volte, durante il colloquio di stamane, il Re ha detto al Duce che prova un'infinita pietà per gli ebrei [...] Il Duce ha detto che in Italia vi sono 20000 persone con la schiena debole che si commuovono sulla sorte degli ebrei. il Re ha detto che è tra quelli. Poi il Re ha parlato anche contro la Germania per la creazione della 4 divisione alpina. Il Duce era molto violento nelle espressioni contro la Monarchia. Medita sempre più il cambiamento di sistema. Forse non è ancora il momento. Vi sarebbero reazioni"''.
Purtroppo la ricerca storica smentisce quanto scrisse Galeazzo Ciano nel suo diario: De felice nel suo "Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo annota :"Due grossi ostacoli sulla via della piena realizzazione dell'antisemitismo di Stato ..erano rappresentati dal re e dalla Santa Sede. Nei confronti di Vittorio Emanuele la cosa fu rapida e facile. Mussolini inviò a San Rossore, ove il re era in quei giorni, Buffarini-Guidi. L'incontro tra i due fu rapido e si concluse come Mussolini aveva previsto. Vittorio Emanuele fece qualche timida resistenza, ma poi informato su come il 'duce' intendeva impostare la politica antisemita, cedette subito limitandosi di fatto ad un platonico invito a riconoscere i meriti di chi si era distinto per patriottismo e esprimendosi in termini pienamente favorevoli ai provvedimenti adottati contro gli ebrei di nazionalità italiana. Il re afferma testualmente 'sono veramente lieto che il Presidente intenda riconoscerei meriti a quegli ebrei che si sono distinti per attaccamento alla Patria'. Molto più difficile fu superare lo scoglio della Santa Sede, o meglio di Pio XI.