Affezione: differenze tra le versioni

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Il termine '''affezione''' (dal [[lingua latina| latino]] ''affectio'', sinonimo di ''affectus'') nel linguaggio comune è usato nel significato di "[[affetto]]", inteso come un sentimento di [[benevolenza]] verso il prossimo, di intensità minore della [[passione (psicologia)|passione]].
In filosofia il lemma indica tutto ciò che avviene nell'animo determinandone una modificazione cioè: l'affezione è ogni «fenomeno passivo della coscienza»<ref>''Dizionario Treccani di filosofia'' (2009) alla voce corrispondente</ref>, ossia la condizione in cui si trova chiunque subisca un'azione o una modificazione<ref>''Enciclopedia Garzanti di Filosofia'' alla voce corrispondente</ref>.
 
==Aristotele==
In Aristotele, in senso generico, l'affezione è ciò che si contrappone all''' ἔργον'' (ergon), (azione)<ref>Aristotele, ''De Anima'', Γ 2, 426a 2</ref>: il πάϑος (pathos), il "patire", una delle dieci [[Categoria (filosofia)|categorie]] che si possono predicare dell'essere. I sensi producono affezioni con i dati sensibili, che provengono dagli oggetti esterni, sull'anima, che come una ''[[tabula rasa]]'' ne viene impressa, dando luogo così all'inizio del processo conoscitivo.
 
L'affezione può anche riguardare un cambiamento di [[status|stato]], cioè «una modificazione o carattere sopravvenienti a una sostanza, come l'essere musico o l'essere bianco per l'uomo»<ref>Aristotele, ''Metaphisica'', Δ 7, 1049a 29,30 (in ''Sapere.it'' alla voce "Affezione")</ref>
 
In senso più ampio, sempre in Aristotele, poiché dagli oggetti esterni provengono quegli elementi che provocano nell'anima modifiche non solo sensibili ma anche sentimentali come il piacere, il dolore, il desiderio...ecc., le affezioni coincidono con le "[[passione (filosofia)|passioni]]" della sfera [[etica]]<ref>Aristotele, ''Rhetorica'', Β 8, 1385b 34</ref> Quest'ultimo significato si ritrova anche in [[Cicerone]]<ref>M.T. Cicerone, ''Tusculanae'' IV, 6, 11-14</ref>, che adotta ''affectiones'' come sinonimo di ''perturbatio animi'' o ''concitatio animi''. Anche [[Agostino d'Ippona]] usa i termini ''perturbationes'', ''affectus'', ''affectiones'' come sinonimi di ''passiones''<ref> Agostino, ''De civitate Dei'', IX, 4</ref>.
 
==La funzione delle affezioni==
Nella storia del pensiero la funzione delle affezioni viene considerata in tre diversi modi:
*con [[Platone]] e il [[platonismo]], poiché il comportamento buono si basa sulla conoscenza del vero, le affezioni sono dannose perché influiscono negativamente sia sulla conoscenza che sul comportamento morale.
Su questa stessa linea di giudizio sono [[Cartesio]]<ref>La passioni sono una "malattia" della razionalità. Sono utili per la vita come l'istinto di sopravvivenza ma impediscono la serenità dell'uomo razionale. (In Ubaldo Nicola, ''Atlante illustrato di filosofia'', Giunti Editore, 2003, p.318</ref>, [[Spinoza]], [[Leibniz]], e soprattutto [[Hegel]], che fanno rientrare le affezioni sia per la conoscenza che per la moralità nell'ambito della false o confuse [[idea|idee]].<ref>''Dizionario Treccani di filosofia'' alla voce corrispondente</ref>
*Nella filosofia [[Aristotele|aristotelica]] e in quella [[Epicuro|epicurea]] le affezioni sono valide nell'ambito conoscitivo, poiché i dati sensibili ricevuti passivamente dal soggetto sono sempre veri, mentre falsi sono i nostri giudizi anticipatori (prolessi[[Prolessi (filosofia)|prolessi]]) delle sensazioni vere e proprie. Le affezioni sono valutate positivamente anche dal punto di vista morale, poiché non esiste uomo senza passioni e, quindi il problema non è quello di eliminarle ma di moderarle (μετριοπάϑεια).
*Con lo [[stoicismo]] le affezioni sono ineliminabili dal punto di vista del processo conoscitivo, mentre vanno messe da parte nei comportamenti morali, che non devono essere compromessi dalle passioni. Il saggio è colui che raggiunge l'[[apatia (filosofia)|apatia]], l'indifferenza alle passioni.
 
==Kant==
Secondo Kant, per le nostre [[intuizione intellettuale|intuizioni]] è indispensabile che il nostro animo sia "afflitto" (affiziere''affiziert'', "affettato") dalle affezioni.<ref>I. Kant, ''Critica della ragion pura'', ''Estetica trascendentale'' (B 33)</ref> Quella della ragione sarebbe una falsa conoscenza senza le affezioni sensibili<ref>Cfr. I. Kant, id., ''Dialettica trascendentale''</ref> Se invece noi intendiamo le affezioni come passioni allora il loro ruolo è puramente negativo: esse sono, non diversamente da quanto aveva inteso Cartesio, «cancri della ragion pura pratica, per lo più inguaribili»<ref>I. Kant, ''Antropologia pragmatica'', (§ 81)</ref>.
 
Il concetto di affezione tuttavia fa nascere nella dottrina kantiana un problema relativo alla dicotomia fra fenomeno e [[noumeno|cosa in sé]]. Se l'affezione è tale nel senso per cui i sensi del soggetto vengono modificati dall'oggetto, poiché spazio e tempo sono parte della nostra intuizione sensibile come "a priori", indipendenti dall'esperienza, e il [[noumeno]] è per definizione inaccessibile ai sensi, dove mai l'affezione fisicamente modificherà la nostra sensibilità? Kant per uscire dalla difficoltà parla allora di affezione come il risultato di un rapporto ''causale'', intellettivo e non intuitivo sensibile, tra l'oggetto e il soggetto percipiente.<ref> I. Kant, ''Critica della Ragion pura'', Analitica trascendentale, 24</ref> Le categorie senza intuizione sono vuote, ma l'intuizione empirica senza le categorie non porta ad alcuna conoscenza.
 
==Note==