De providentia: differenze tra le versioni

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Stabilito sommariamente che il mirabile ordine del tutto non può essere casuale ma regolato da una ragione divina, Seneca fa rientrare anche i fenomeni fisici che sembrano turbarlo in quest'ordine perfetto, che contribuiscono parimenti pur nella loro apparenza perturbatrice a mantenerlo. Come l’l{{'}}''artifex'' (artista) sa trarre una perfetta opera d'arte da una determinata materia imperfetta, ed anzi trae a suo vantaggio le caratteristiche imperfette di quella materia, così il sommo ''artifex'' divino ha saputo comporre la perfezione dell'universo dalla materia, la cui condizione non poteva che essere imperfetta. A questa condizione generale di perfezione che si avvale delle imperfezioni particolari in cui ogni causa dipende da un'altra causa, è concatenata anche la condizione umana che si estrinseca nel destino d'ogni singolo uomo, per quanto vario e capriccioso possa sembrare, regolato dalla fortuna. Stolto è dunque volersi inutilmente sottrarre al destino accecati da desideri e passioni contrarie al suo avverarsi, saggio è invece seguirlo e sostenerlo:
{{Citazione|i buoni faticano, spendono, si spendono e volentieri anche; non sono trascinati dalla fortuna, la seguono e adeguano il passo ; se l’avessero conosciuta, sarebbero passati innanzi
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Importante immagine di questa ardua impresa che spetta al buono è il mito di [[Fetonte]], di cui Seneca cita i versi [[Ovidio|ovidiani]], il quale invece d'essere distolto dalla difficoltà del compito si sente incitato a intraprendere la corsa celeste. Questa allegorizzazione favorevole d'un mito che di solito viene visto negativamente come folle esempio di superbia è significativo indice della tendenza di Seneca alla sublimazione, fino a sfiorare punte per così dire di superomismo morale.
 
Quando proprio la fortuna è insopportabile per il buono e impedisce di vivere degnamente, la divinità gli è venuta incontro rendendo facile morire, di cui tanti e brevi sono i modi a differenza del nascere e con cui il buono può liberarsi per sempre dai colpi di quella. Qui l'esempio classicamente romano che Seneca riprende è il suicidio di [[Catone Uticense]], spettacolo meraviglioso per gli stessi Dei della virtù umana. E il finale di questo breve Dialogo è un autentico elogio alla morte liberatrice, di cui in date circostanze il suicidio è la proclamazione più alta e il più alto esempio di virtù. Stolto è invece, come afferma l’l{{'}}''[[explicit]]'', averne paura:
{{Citazione|Non arrossite dunque? Ciò che avviene così velocemente lungamente lo temete!
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