Velia Titta: differenze tra le versioni

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→‎Biografia: Pasquale Galliano Magno
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Dopo il ritrovamento del corpo di Giacomo, il 16 agosto 1924, Velia pretese che nessun fascista e nessuna autorità accompagnasse la salma fino al luogo della sepoltura, nel cimitero di Fratta Polesine (Rovigo), paese natale del marito.<ref>{{Cita libro|autore=Velia Titta Matteotti|curatore=Stefano Caretti|titolo=Lettere a Giacomo|anno=2000|editore=Nistri Lischi|città=Pisa|p=29}}</ref>
{{quote|Chiedo perciò mi sia concesso di estraniarmi dall’andamento di un processo che ha cessato di riguardarmi. […] Mi parrebbe accedendo all’invito, di offendere la memoria stessa di Giacomo Matteotti, per il quale la vita era cosa terribilmente seria. Quella memoria nella quale e per la quale, e solo per educare i figli all’esempio ed alla fermezza paterna, vivo ancora appartata e straziata|[https://www.citta-nostra.it/2016/01/19/un-documento-originale-del-delitto-matteotti/ Velia Matteotti al Presidente della Corte di Assise di Chieti]}}
 
Velia Titta, pur facendo le più ampie riserve per l'esercizio delle azioni civili a lei spettanti nei confronti di tutti gli imputati, non intese avallare il depistaggio con cui le indagini sul delitto finirono a Chieti con un rinvio a giudizio compiacente e circoscritto agli autori materiali dell'omicidio del marito: perciò revocò la costituzione di parte civile a [[Giuseppe Emanuele Modigliani]] e in data 29 marzo 1926 incaricò [[Pasquale Galliano Magno]] di seguire le pratiche per la restituzione delle cose sequestrate. Vi si legge: “confermo fin d'ora la mia riconoscenza per quanto potrà fare in materia che tanto mi sta a cuore“. E si legge ancora: “Colgo l'occasione di ringraziarla per ciò che ella ha fatto in questo doloroso frangente, convinta che le venga resa tanta stima e considerazione da tutti coloro che ancora hanno e possono apprezzare la bontà d'animo e la dirittura della coscienza”. All'uopo va detto che con l'istanza, scritta di suo pugno e datata 29 marzo 1926, Velia Matteotti faceva presente e lamentava che non le era stato ancora restituito “ciò che apparteneva al suo defunto marito” e che “si trattava di altissimo valore morale specialmente per la vedova e gli orfani del defunto”. E più oltre scriveva: ”Salvo errore le cose da restituire sono le seguenti: -lettera ferroviaria - una ciocca di capelli - falangetta - giacca e pantaloni (compresa la manica staccata)”. A conclusione dell'istanza dichiarava: “ la sottoscritta delega per il ritiro di quanto sopra l'avv. Pasquale Galliano Magno di Chieti”. Seguiva la firma “Velia Matteotti” e la data “Roma 29 marzo 1926”.
 
Successivamente il controllo delle autorità fasciste sulla famiglia Matteotti fu sempre strettissimo, provocando una dura protesta di Velia, che chiedeva libertà e rispetto. Rimasta sola, Velia subì le malversazioni dell'amministratore delle tenute di famiglia: risolse quindi di vendere le proprietà e di acquistare una grossa proprietà agricola, indebitandosi tanto che non sarebbe riuscita a far fronte al pagamento, senza la concessione di un grosso prestito a tasso agevolato, per il quale sembra certo che sia intervenuto lo stesso Mussolini.<ref>{{Cita libro|autore=Stefano Caretti|titolo=Il delitto Matteotti - Storia e memoria|anno=2004|editore=Lacaita|città=Manduria - Bari - Roma|p=120, 121, 122}}</ref> Come emerge dai rapporti di polizia, nel 1936 la vedova vendette tutte le sue proprietà e fu in grado di estinguere il mutuo contratto con un istituto di Torino.