Scienze sociali: differenze tra le versioni

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Le scienze umane inoltre vengono spesso etichettate anche con il termine di ''soft science'' ([[scienze molli]]) in quanto, a livello [[epistemologia|epistemologico]], non tutte queste discipline applicano in toto il [[metodo scientifico]] tipico delle cosiddette [[scienze dure]], sebbene a ben vedere siano a tutti gli effetti definibili come scienze<ref>Edelstein, D., ''Come vengono insegnate le tecnologie e l'innovazione? Le scienze umane e l'economia della conoscenza'', Ciberspazio e Diritto: Internet e le Professioni Giuridiche/Cyberspace and Law: Internet and Legal Practice, 14:39-49, 2013.</ref> in quanto corpo di [[conoscenza|conoscenze]] logicamente strutturate e metodologicamente rigorose.
=== Le discipline umanistiche ===
Le [[discipline umanistiche]], come quelle [[filosofia|filosofiche]], convenzionalmente non rientrerebbero tra le scienze propriamente dette, neppure sociali e/o umane, in quanto vengono studiate per lo più in modo analitico e speculativo, quindi non misurabile secondo le metodologie affermatesi prevalentemente in ambito di ''hard science''.<ref>Chiara Faggiolani, ''Come valutare la ricerca nelle scienze umane e sociali: contesto, obiettivi e metodi'' (doi: 10.1411/77187), Le Carte e la Storia (ISSN 1123-5624) Fascicolo 1, giugno 2014: "i principali metodi di valutazione della ricerca – ''peer review'' e bibliometria&nbsp;– sono nati per rispondere alle logiche della scienza accademica. Oggi di fronte al cambiamento di cui abbiamo parlato, entrambe le metodologie possono risultare inadeguate (per le scienze umane in particolar modo la bibliometria è assolutamente inapplicabile)".</ref>. "Tra questi procedimenti manca un denominatore comune; o, se ce n’è uno, esso è soltanto negativo – l’assenza di una [[Metodo sperimentale|verifica sperimentale]] diretta. Ciò non autorizza tuttavia a istituire una dicotomia tra scienze capaci di verifica e scienze prive di possibilità di verifica, facendo coincidere quest’ultime con le scienze “umane”. Il rapporto tra ipotesi e dimostrazione sperimentale si configura in maniera diversa secondo il procedimento impiegato: non soltanto il grado, ma anche il tipo di prova risulta variabile. Una verifica diretta non si ottiene neppure in tutte le scienze (cosiddette) naturali – del resto, come ci ha insegnato [[Willard Van Orman Quine|W.V.O. Quine]], tutte le teorie scientifiche sono empiricamente sotto-determinate: alla sua assenza le scienze “umane” suppliscono in vario modo, con forme di controllo dei risultati le quali mutano da una disciplina all’altra".<ref>Pietro Rossi, ''Scienze umane, scienze dello spirito, scienze della cultura'' (doi: 10.1413/23783), Rivista di filosofia (ISSN 0035-6239) Fascicolo 1, aprile 2007, p. 5.</ref>. La storia, intesa come "scienza storica", è la disciplina convenzionalmente ritenuta "umanistica" che più si avvicina per metodo e per obiettivi alle scienze sociali propriamente dette.
 
=== Epistemologia ===
Secondo [[Bachtin]] il fine delle scienze umane e sociali non può essere l’accuratezza di una conoscenza [[oggettività|oggettiva]], come si verifica per le [[scienze naturali]], poiché esse, le scienze sociali, comprendono, trasmettono e interpretano i discorsi di altri, ovvero hanno a che fare con una conoscenza costruita nelle [[Interazione sociale|interazioni]] e nei [[Dialogo|dialoghi]].<ref>M. Bachtin, ''The dialogic imagination'', Austin, University of Texas Press, 1981.</ref>. "Nella realtà della vita quotidiana l’accuratezza della conoscenza di cui disponiamo non va intesa allora nei termini di un’esattezza oggettiva, ma va riportata a questo contesto dialogante e argomentativo che la traduce, secondo Bachtin, nel superamento dell’estraneità della cognizione dell’altra persona attraverso la comprensione attiva e il controllo dell’ambiente sociale. Nella prospettiva dialogica l’accuratezza e la precisione della conoscenza fanno riferimento all’elaborazione congiunta dei punti di vista da parte di due differenti individui che, dialogando, li mettono a confronto".<ref>F. Emiliani, ''La realtà delle piccole cose. Psicologia del quotidiano'', Bologna, Il Mulino, 2008, pp. 114-115.</ref>.
 
La critica di [[Rorty]], invece, "si estende anche alla plausibilità della distinzione metodologica tra scienze naturali e scienze sociali. (...) Le scienze naturali sono sicuramente caratterizzate da una relativa stabilità e dall’adozione dello schema di previsione e controllo: ma l’adozione di tale schema è frutto di una decisione storicamente contingente. In questo quadro, assumiamo un atteggiamento da scienziato naturale (che Rorty chiama «epistemologico») quando sappiamo/vogliamo trattare gli eventi in modo sistematico e quando siamo indotti a confidare nella verità del nostro vocabolario. Assumiamo invece un atteggiamento da scienziato sociale (che Rorty chiama «ermeneutico») quando troviamo anomalo quello che succede, quando non riusciamo a descriverlo adeguatamente con i vocabolari di cui disponiamo. La distinzione importante, pertanto, non è quella tra le procedure di indagine delle cause fisiche e le procedure di indagine degli uomini, bensì quella, mai definitiva, tra il campo di analisi nei confronti del quale siamo certi di avere a disposizione un vocabolario stabile, e il campo nei confronti del quale siamo invece relativamente incerti sul vocabolario a disposizione. Questa distinzione tra vocabolari consolidati, «normalizzati», e vocabolari incerti, preparadigmatici e rivoluzionari, per applicare i termini di [[Thomas Kuhn]] alla distinzione di Rorty, al momento coincide grosso modo con la distinzione tra il campo delle scienze sociali ed il campo delle scienze naturali. Ma si tratta di una coincidenza storica, chiarisce Rorty. (...) La demarcazione tra scienze sociali e scienze naturali è dunque fittizia nella misura in cui pretende di assegnare a ciascun ambito cognitivo un metodo specifico ed una specifica relazione con la realtà, ed è un’asserzione storicamente contingente nella misura in cui si riconosce che la differenza di fatto sussiste".<ref>D. Sparti, ''Epistemologia delle scienze sociali'', Bologna, Il Mulino, 2002, pp. 231-234.</ref>.
 
== Note ==