Riforma del pensiero in Cina: differenze tra le versioni

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TrattasiCon dil'espressione '''riforma del pensiero''' si intende un sistema di coercizione usato nella [[Cina]] [[comunismo|comunista]], per costringere i dissidenti politici ad abbracciare l'ideologia del partito e ad integrarsi negli ingranaggi dello stesso. Secondo [[Robert Jay Lifton]], i cinesi usano per definire tale fenomeno l'espressione ''szu-hsiang kai-tsao'', traducibile come "rimodellamento ideologico", "riforma ideologica" o, appunto, "riforma del pensiero".
 
[[Margaret Thaler Singer]] (vedi ''Cults in Our Midst'') afferma che [[Edward Hunter]], nel [[1951]], introdusse in Occidente l'espressione "[[Lavaggio del cervello]]" pubblicando il libro ''Brainwashing in Red China'' (''Lavaggio del cervello nella Cina Rossa''). Il processo usato veniva chiamato ''hse nao'', che letteralmente significa "lavare il cervello" o "pulire la mente". Tale espressione è effettivamente usata, con accezione critica e molto negativa, dalle vittime delle persecuzioni in Cina, ma anche in contesti più generali, lontani dalla realtà cinese, a proposito delle sette religiose o del fanatismo.
 
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===Base filosofica e ideologica===
Secondo diversi [[filosofia|filosofi]] cinesi, fra i quali [[Mencio]] e [[Confucio]], l'uomo è buono per natura e diventa cattivo solo per egoismo o deviazione. La [[marxismo|teoria marxista-leninista]] spiega inoltre che gli uomini sono il prodotto dell'ambiente, per cui ogni azione è una reazione ad uno stimolo ambientale. Da queste basi, i cinesi pensarono che l'uomo potesse essere "rieducato" e che il modo più efficace per modificare il comportamento, fosse quello di modificare l'ambiente più prossimo.
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===Guerra di Corea===
 
Durante la [[Guerra di Corea]] cominciò il mito del lavaggio del cervello, in seguito a sorprendenti dichiarazioni filocomuniste da parte di militari americani che erano stati catturati; e il libro di Hunter (''Lavaggio del cervello nella Cina rossa'') divenne un bestseller. Secondo [[Massimo Introvigne]] (''Il lavaggio del cervello: realtà o mito?''), Hunter era in realtà un agente della CIA che contribuì ad esasperare i toni della propaganda anticomunista, nel clima della [[Guerra Fredda]] e del [[Maccartismo]].
 
Secondo [[Massimo Introvigne]] (''Il lavaggio del cervello: realtà o mito?''), Hunter era in realtà un agente della CIA che contribuì ad esasperare i toni della propaganda anticomunista, nel clima della [[Guerra Fredda]] e del [[Maccartismo]].
Come conferma Guy Wint (''La Cina e noi''), se il metodo sembrava abbastanza efficace soprattutto sui soggetti più deboli, facendo leva almeno in parte su dubbi e debolezze personali, perdeva però di efficacia quando la vittima veniva trasferita in un ambiente diverso. La stessa CIA si adoperò nella sperimentazione, molto probabilmente illegale, dimostrando la scarsa efficacia a lungo termine del "lavaggio del cervello" di cui agitava lo spettro. Si tenga tuttavia in debita considerazione la drammaticità di un condizionamento del comportamento, anche se temporaneo, nell'ambito di un teatro di guerra e dell'addestramento militare.
La stessa CIA si adoperò nella sperimentazione, molto probabilmente illegale, dimostrando la scarsa efficacia a lungo termine del "lavaggio del cervello" di cui agitava lo spettro. Si tenga tuttavia in debita considerazione la drammaticità di un condizionamento del comportamento, anche se temporaneo, nell'ambito di un teatro di guerra e dell'addestramento militare.
 
===Missionari occidentali===
 
Tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e la prima metà degli anni '50, la maggior parte dei missionari occidentali fu costretta ad abbandonare la Cina, in seguito alla salita al potere delle armate comuniste. Alcuni di questi scrissero testimonianze dei tentativi, talvolta estremi, di vero e proprio "''lavaggio del cervello''". Fortunato Tiberi (''Come divenni comunista'', 1953) descrive la sua esperienza come divisa in 5 periodi "insieme distinti e concatenari dal filo di una logica tremenda": nei primi due è completamente isolato, tenuto a dieta di logoramento, seduto immobile o con le mani in catene, costretto a pensare ai propri "delitti".

Si aggiungono torture psico-fisiche (percosse, accoccolamenti che slogano le ossa, privazione del sonno), interrogatori frequenti e prolungati, che causano delirio e allucinazioni. La vittima "confessa" i propri crimini. Nel terzo periodo può tornare a mangiare e dormire normalmente, ma deve studiare il marxismo in modo continuo, esasperante e monotono, conversando con squadre di istruttori che si danno il turno. Nel quarto periodo è costretto a scrivere un diario dei crimini confessati, rivisitati in chiave marxista. L'ultimo periodo consiste in un ritorno dei maltrattamenti e nella proposta di liberazione subordinata alla piena e "volontaria" collaborazione della vittima.
 
===Controllo del popolo===
 
A prescindere dai tentativi più o meno riusciti di vero o presunto "Lavaggio del cervello", i cinesi costruirono un sistema di controllo della popolazione sulla base di organizzazioni sociali e poliziesche preesistenti come ''lichia'' e ''paochia'' (dieci famiglie erano raggruppate in un ''p'ai'', dieci ''p'ai'' formavano un ''chia'' e dieci ''chia'' costituivano un ''pao''). I capi villaggio e l'intera gerarchia confuciana furono sostituiti dai quadri di partito e dalla "nomenklatura" cinese, e l'imponente macchina della propaganda si insinuò nella vita dei cittadini. Gli studenti e gli analfabeti impararono a scrivere attraverso le opere di Mao, che superò sia Hitler che Stalin nel culto della personalità, soprattutto fra i giovani.

Gli adulti, specie le persone meno ignoranti, sembravano condurre due vite distinte: una pubblica, in cui manifestavano solidarietà al regime e conformismo ideologico, evitando problemi e punizioni, ed una privata in cui conservavano la propria consapevolezza. Se tale atteggiamento, caratteristico di molte dittature, è particolarmente evidente in Cina, lo si deve ancora una volta alla sua cultura tradizionale, ovvero alla "faccia" che la persona espone pubblicamente.
 
===Laogai===
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Altri fattori, anche banali, vanno però considerati: lo scarso movimento della popolazione (per la povertà, la carenza di trasporti, la stessa repressione del regime), la mancanza della televisione, il fatto che Mao Zedong non parlò mai alla radio. Gli studenti conobbero Mao e il partito solo attraverso la lente deformante della propaganda e non poterono avere contatti con l'esterno. Nel 1966, Mao Zedong fu in grado di mobilitare rapidamente oltre 30 milioni di studenti in tutto il paese, 11 milioni dei quali si recarono a Pechino in 8 giganteschi raduni, brandendo il famoso [[Libretto rosso]].
 
Non c'è dubbio che vi sia una stretta correlazione tra l'indottrinamento politico, la Riforma del Pensiero e gli orrori della Rivoluzione Culturale. Se si sia trattato di semplici eccessi (come alcuni autori, per compiacenza politica o faziosità ideologica, hanno sostenuto) o di conseguenza diretta dell'ideologia comunista (interpretazione, nel migliore dei casi, altrettanto superficiale) non è materia di discussione in questa sede. Di certo il dibattito intorno alle ideologie e ai totalitarismi del 900 non può ignorare quanto le stesse Guardie Rosse ci dicono in proposito.
 
Se si sia trattato di semplici eccessi (come alcuni autori, per compiacenza politica o faziosità ideologica, hanno sostenuto) o di conseguenza diretta dell'ideologia comunista (interpretazione, nel migliore dei casi, altrettanto superficiale) non è materia di discussione in questa sede. Di certo il dibattito intorno alle ideologie e ai totalitarismi del 900 non può ignorare quanto le stesse Guardie Rosse ci dicono in proposito. William Hinton (''La guerra dei cento giorni - Rivoluzione culturale e studenti in Cina'', 1975) ha intervistato gli studenti del politecnico Tsingua di Pechino, che si affrontarono con coltelli e lance, fucili, bombe a mano, mine, bottiglie di gas e acidi e perfino mitragliatori e armi da guerra. La vicenda si concluse con l'assedio alla facoltà di scienze, dove si rifugiarono 90 ragazzi. La fazione antagonista tentò in tutti i modi di compiere un massacro: piazzò dei cecchini, bloccò le uscite con dei mitragliatori e diede fuoco all'edificio; alcuni studenti armati di bombe a mano si travestirono da pompieri per ingannare i "nemici" e riuscire ad entrare. Dopo il ritorno alla normalità, gli studenti discussero gli avvenimenti per mesi in dibattiti politici collettivi. Illuminante è la loro spiegazione di cosa è "giusto" e cosa non lo è, del perché fosse "scorretto" far bruciare vivi i propri compagni di corso e dei limiti entro i quali tali concetti si manifestano: «Studiavamo le opere sulla guerriglia e studiavamo gli scritti di Mao sulla tattica, la politica nei confronti dei prigionieri e qualsiasi altro aspetto della guerra. Nella Rivoluzione Culturale, Mao aveva più volte chiarito che era scorretto ricorrere alla violenza. Ma noi sostenevamo che questa proibizione si riferiva solo ai contrasti in seno al popolo. Contro il nemico di classe si poteva fare qualsiasi cosa, e noi stavamo combattendo nemici di classe! [...] All'esterno, dove esistevano soprattutto contraddizioni in seno al popolo, i combattimenti violenti erano sbagliati, ma qui, dove ci trovavamo faccia a faccia con il nemico, i combattimenti violenti erano giusti.»
William Hinton (''La guerra dei cento giorni - Rivoluzione culturale e studenti in Cina'', 1975) ha intervistato gli studenti del politecnico Tsingua di Pechino, che si affrontarono con coltelli e lance, fucili, bombe a mano, mine, bottiglie di gas e acidi e perfino mitragliatori e armi da guerra. La vicenda si concluse con l'assedio alla facoltà di scienze, dove si rifugiarono 90 ragazzi. La fazione antagonista tentò in tutti i modi di compiere un massacro: piazzò dei cecchini, bloccò le uscite con dei mitragliatori e diede fuoco all'edificio; alcuni studenti armati di bombe a mano si travestirono da pompieri per ingannare i "nemici" e riuscire ad entrare. Dopo il ritorno alla normalità, gli studenti discussero gli avvenimenti per mesi in dibattiti politici collettivi.
 
Se si sia trattato di semplici eccessi (come alcuni autori, per compiacenza politica o faziosità ideologica, hanno sostenuto) o di conseguenza diretta dell'ideologia comunista (interpretazione, nel migliore dei casi, altrettanto superficiale) non è materia di discussione in questa sede. Di certo il dibattito intorno alle ideologie e ai totalitarismi del 900 non può ignorare quanto le stesse Guardie Rosse ci dicono in proposito. William Hinton (''La guerra dei cento giorni - Rivoluzione culturale e studenti in Cina'', 1975) ha intervistato gli studenti del politecnico Tsingua di Pechino, che si affrontarono con coltelli e lance, fucili, bombe a mano, mine, bottiglie di gas e acidi e perfino mitragliatori e armi da guerra. La vicenda si concluse con l'assedio alla facoltà di scienze, dove si rifugiarono 90 ragazzi. La fazione antagonista tentò in tutti i modi di compiere un massacro: piazzò dei cecchini, bloccò le uscite con dei mitragliatori e diede fuoco all'edificio; alcuni studenti armati di bombe a mano si travestirono da pompieri per ingannare i "nemici" e riuscire ad entrare. Dopo il ritorno alla normalità, gli studenti discussero gli avvenimenti per mesi in dibattiti politici collettivi. Illuminante è la loro spiegazione di cosa è "giusto" e cosa non lo è, del perché fosse "scorretto" far bruciare vivi i propri compagni di corso e dei limiti entro i quali tali concetti si manifestano: «Studiavamo le opere sulla guerriglia e studiavamo gli scritti di Mao sulla tattica, la politica nei confronti dei prigionieri e qualsiasi altro aspetto della guerra. Nella Rivoluzione Culturale, Mao aveva più volte chiarito che era scorretto ricorrere alla violenza. Ma noi sostenevamo che questa proibizione si riferiva solo ai contrasti in seno al popolo. Contro il nemico di classe si poteva fare qualsiasi cosa, e noi stavamo combattendo nemici di classe! [...] All'esterno, dove esistevano soprattutto contraddizioni in seno al popolo, i combattimenti violenti erano sbagliati, ma qui, dove ci trovavamo faccia a faccia con il nemico, i combattimenti violenti erano giusti.»
 
==Bibliografia==