Enrico Gras: differenze tra le versioni

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Nel 1976 riceve il Premio Chianciano della critica radiotelevisiva.
 
Ha lavorato come regista e sceneggiatore di cinema e televisione per più di 40 anni dedicandosi principalmente all’attività di documentarista. E’È stato un regista alquanto « misterioso » come più volte è stato definito da chi aveva avuto l’occasione di conoscerlo, poiché nelle occasioni in cui si è trovato al centro dell’attenzione internazionale, (è stato celebrato da Bazin oltre ad aver vinto numerosi premi internazionali ) si è prontamente ritratto dai riflettori della celebrità, preferendo continuare il suo lavoro in una dimensione appartata, anziché sfruttare le occasioni che si trovavano a portata di mano. Un regista, che ha sempre amato dirigere i suoi film in collaborazione con amici con i quali ha costituito dei lunghi sodalizi, e che ha sempre mostrato un sostanziale disinteresse verso il cinema a soggetto. Il contributo apportato dall’opera di Enrico Gras al cinema e alla televisione è di notevole rilevanza : grazie ai suoi primi lavori, insieme ad Emmer negli anni della guerra, si aprirono grandi prospettive teoriche sul rapporto tra Arte e Cinema. Gras e i suoi colleghi del tempo svilupparono in seguito il discorso sul « documentario esotico » che permetteva di proporre allo spettatore splendide immagini di luoghi lontani, in un’epoca in cui non esisteva ancora l’inflazione televisiva. Grazie all’opera di Enrico Gras è stato possibile conoscere il cosiddetto « documentario spettacolare », un tipo di documentarismo magniloquente e improntato sulla proiezione di immagini di grande effetto e impatto scenico, in grado di sbalordire ogni genere di pubblico e che portò all’esaltazione delle potenzialità spettacolari del cinema in un contesto documentaristico; questo fu, tra l’altro, anche il modello seguito dal celebre [[Folco Quilici]]. Tuttavia è proprio quest’aspetto di immagini forti, impostate per lo più su lotte cruente tra animali, a suscitare oggigiorno orrore e critiche negative. La sensibilità e l’educazione al rispetto animale, maggiormente sentito oggi rispetto ad allora, comporta severi giudizi di pubblico. L’innovazione tecnica più importante introdotta dall’opera del regista genovese fu senz’altro quella del [[Cinemascope]] e del [[Ferraniacolor]]. Tutti i film di Gras e Craveri sono infatti in Cinemascope e Ferraniacolor e in particolare “''Continente perduto''” fu il primo film italiano che utilizzò questa tecnica innovativa, impiegando le pesantissime lenti Bausch and Lomb della Fox davanti agli obbiettivi. Anche negli anni della televisione continuò insieme a Craveri a produrre programmi di carattere teledocumentaristico con il fine di educare, senza però privare il documentario di quei caratteri tipicamente cinematografici che avevano caratterizzato tutto il suo lavoro.
 
== Biografia ==
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Con Emmer in uno scantinato, realizzò i suddetti documentari d’arte in condizione del tutto avventurose: con una vecchia Pathé degli anni ’10 e una truka ricavata da un tornio appeso al muro nacquero così i loro due primi successi: “''Racconto di un affresco''” e “''Il Paradiso terrestre''”, e non avendo i soldi per recarsi a fare le riprese sul posto, si limitarono a riprendere le immagini dalle fotografie di Alinari, reinventandole in un racconto di natura essenzialmente cinematografica. Emmer ricorda come Gras volesse addirittura rifare gli affreschi di Giotto in animazione, e questo da forse l’idea di quanto il cinema fosse per lui una sorta di reinvenzione privata della realtà.
Enrico Gras non ebbe il tempo di godersi le attenzioni suscitate da quei piccoli film. Venne infatti chiamato al servizio militare e una volta arruolato venne inviato come ufficiale dell’Esercito Italiano a Rodi in Grecia. Nel 1943 l’attività cinematografica venne quindi bruscamente interrotta a causa della seconda Guerra Mondiale. Seguirono le tristi vicende della storia italiana sviluppatesi in seguito all’armistizio del settembre ’43 ed Enrico venne fatto prigioniero dai tedeschi e deportato nel campo di concentramento di Dachau dove rimase fino al maggio del ‘45 quando fu liberato dalle truppe americane. Fu quello un periodo terribile dove fu a diretto contatto con gli orrori del nazismo e questo segnò profondamente il suo già difficile carattere. Gras non parlò mai volentieri dell’esperienza della guerra e tantomeno di quella in campo di concentramento.
Al ritorno dalla guerra nell’agosto del ’45 scoprì che Emmer era riuscito ad evitare il servizio militare emigrando in Svizzera e che si era prodigato per far conoscere quei due film. Emmer aveva infatti stretto amicizia con Henri Langlois, già conosciuto alla Cineteca milanese, e nell’immediato dopoguerra si recava spesso a Parigi, dove i loro documentari d’arte suscitarono gli entusiasmi di molti intellettuali. Secondo [[André Bazin]], i film di Gras ed Emmer compiono quella che definirà la “prima rivoluzione dei film sull’arte (…) così splendidamente sviluppata nelle sue conseguenze da Alanis Resnais”. “il quadro è centripeto, lo schermo è centrifugo – scriverà nel saggio ''Peinture et cinéma'' – ne consegue che se , rovesciando il processo pittorico, si inserisce lo schermo nel quadro, lo spazio del dipinto perde il suo orientamento e i suoi limiti per imporsi alla nostra immaginazione come indefinito. Senza perdere gli altri caratteri plastici dell’arte, il dipinto si trova contaminato dalle proprietà spaziali del cinema, partecipa di un universo pittorico virtuale che deborda da tutti i lati. E’È su questa illusione mentale che si è basato il lavoro di Luciano Emmer ed Enrico Gras, ndt nelle fantastiche ricostruzioni estetiche che sono in gran parte all’origine del film d’arte contemporanea e specialmente nel Van Gogh di Alanis Resnais”. In questo modo secondo Bazin, “il cinema non gioca affatto il ruolo subordinato e didattico delle fotografie in un album o delle proiezioni fisse in una conferenza. Questi film sono essi stessi delle opere. La loro giustificazione è autonoma. Non bisogna giudicarli affatto solo in riferimento alla pittura che utilizzano, ma in rapporto all’anatomia, o piuttosto all’istologia di questo nuovo genere estetico, nato dalla congiunzione della pittura e del cinema.
Non si trattava di un entusiasmo isolato, infatti il primo numero della rivista ''Revue du Cinéma'' del febbraio ’46, viene ampiamente dedicato proprio al “caso” parigino del momento: il rapporto “teorico” tra pittura e cinema, sviluppatosi dalla proiezione dei documentari di Gras ed Emmer. Vi intervengono ampiamente [[Jean Gorge Auriol, Piero Bargellini]] e successivamente anche [[Pierre Kast]] (''Ecrain Francais'', agosto ’46), [[Herbert Margolis]] (''Sight&Sound'' del ’47) e poi [[Kracauer, Raggianti Carné e Prévert]]. Gli intellettuali del cinema si eccitano davanti alle prospettive teoriche che vengono aperte da quei piccoli film. All’origine di tutto c’è proprio la gran voglia di far cinema di Emmer e Gras, il desiderio istintivo di creare un film dotato di una vita autonoma là dove si era solito attribuirgli un ruolo secondario e subordinato.
Sostenuti dall’entusiasmo internazionale i due riprendono quindi nel dopoguerra la loro attività documentaristica, e per un paio di questi film ("''La leggenda di Sant’Orsola''" e "''Romantici a Venezia''") lo stesso [[Jean Cocteau]] chiede di poter scrivere il testo da accompagnare alle immagini. In questi anni la sorella minore di Gras, Laura, dimostrò grande interesse per il cinema e per il lavoro del fratello e collabora con lui nella lavorazione di alcuni film tra cui “''Inquietudine''” diretto da Carpignano (cognato di Emmer), girato un po' a Milano e un po’ a Merate e di cui Enrico aveva scritto al sceneggiatura.