Kharāj: differenze tra le versioni

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Le conversioni che cominciarono a prodursi nel corso dello stesso VII secolo e, ancor di più, nel corso del secolo successivo, crearono enormi problemi all'erario islamico (''bayt al-māl'') perché diventare musulmani faceva decadere dall'obbligo del versamento del ''kharāj'', essendo il musulmano tenuto al solo pagamento della ''[[zakat|zakāt]]''.
 
Questo creò un paradossale atteggiamento delle autorità musulmane, tutt'altro che liete di assistere a conversioni massicce che provocavano un vero e proprio dissesto economico alla ''[[Umma]]'', tanto da giungere a forme di divieto di conversione e ad azioni di forza per rintracciare i contadini - convertiti o meno - che avessero cercato rifugio e nuove occasioni di lavoro in città anche assai lontane dai loro luoghi di origine ("campione" di questa politica fu il ''[[waliWali (governatore)|wālī]]'' di [[Kufa]] [[al-Hajjaj ibn Yusuf|al-Ḥajjāj ibn Yūsuf]], senza dimenticare che numerosi proprietari appartenenti all<nowiki>'</nowiki>''Ahl al-Kitāb'' preferirono sovente vendere i propri terreni a musulmani, incassando un controvalore non tassabile, anche a prezzi assai convenienti per gli acquirenti.
 
Tale problema - ragione fondamentale della successiva "rivoluzione [[Abbasidi|abbaside]]" - sarà risolto solo all'epoca del [[Califfo]] [[Harun al-Rashid|Hārūn al-Rashīd]], allorché il giurista [[Abu Yusuf Ya'qub|Abū Yūsuf Ya‘qūb]] approntò su indicazione califfale un testo diventato fondamentale per la disciplina di tale imposta: il ''Kitāb al-kharāj'' (Il libro del ''kharāj''), nel quale si proponeva che l'imposta non fosse più condizionata dalla fede del proprietario, trasformando il ''kharāj'' a una vera e propria imposta fondiaria.