De providentia: differenze tra le versioni

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Il '''''De providentia''''' è il primo libro dei ''[[Dialoghi (Seneca)|Dialoghi]]'' di [[Lucio Anneo Seneca]] (64 ca.circa)
 
Il ''De providentia'' non tratta invero tutta la complessa materia della provvidenza, ma, come è indicato nel sottotitolo, tratta solo la questione parziale di come mai in presenza d’un ordine provvidenziale pure i buoni siano affetti da sventure:
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|lingua=la
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Questo dialogo fu scritto ben probabile negli ultimi anni di vita di Seneca – si pensa il 64 d.C. – quando ormai era avvenuta la rottura con Nerone e Seneca era un privato privo d’ogni potere, inviso e sospetto all’imperatore stesso. Caduto il disegno politico di conciliazione del potere imperiale con la funzione di guida senatoriale, a Seneca rimaneva solo più la rivendicazione dell'indipendenza morale di fronte a qualunque situazione politica. Sicché il precettore politico di Nerone si rannicchia nel precettore morale di Lucilio  – il più giovane cavaliere romano a cui sono dedicati questo dialogo e le tarde ''Epistulae'' – in una prospettiva non più di libertà politica ma puramente morale. Ciò vale sia per questo Dialogo che per le ''Epistulae''. Quella critica del potere romano che altrove s’era manifestata piuttosto nell’astio e risentimento di chi a quel potere aspirava e ne era stato escluso, qui e nelle ''Epistulae'' è invece puro ''contemptus'', cioè quel disprezzo che è anzitutto distacco e allontanamento da qualcosa che si giudica estraneo e da meno di sé. Se i tanti indizi che portano molti critici a datare tardi questo dialogo colgono nel segno, l’elogio finale della morte come liberazione suprema è l’anticipazione vicina nel tempo di quel brindisi a Giove Liberatore innalzato quando Seneca pose fine alla sua vita per ordine di [[Nerone]].
 
 
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[[en:De Providentia]]