Dopo unaver resocontoelogiato elogiativo dellala condotta passata della Chiesa corintadi Corinto, Clemente si addentra in unane denuncia dei vizi e inscrive una lode delle virtù, e illustraillustrando i suoi vari argomenti con copiosenumerose illustrazionicitazioni dalle scritture del Vecchio Testamento. Queste citazioni, come quelle degli altri autori del tempo, si basano sulla [[versione dei Settanta]] e, poiché il Canone non era stato ancora definito, comprendono anche testi non canonici<ref>Dag Tessore, Introduzione, in Didachè-Prima lettera di Clemente ai Corinzi-A Diogneto, Città Nuova, 1998</ref>. Perciò egli spiana la strada al suo tardo rimprovero dei presenti disordini, che trattiene fin quando due terzi della sua epistola sono completati. Clemente è eccessivamente discorsivo, e la sua lettera raggiunge una lunghezza doppia rispetto alla ''[[Lettera agli Ebrei]]''. Molte delle sue esortazioni generali sono molto indirettamente connesse con l'argomento pratico al quale la lettera è diretta, ed è molto probabile che venne stilata basandosi ampiamente sulle [[Omelia|omelie]] con le quali era solito edificare i suoi seguaci cristiani a Roma.
Secondo la lettera (1.7), la Chiesa di Roma, per quanto sofferente delle persecuzioni, venne fermamente tenuta assieme da fede e amore, ed esibì la sua unità in un culto disciplinato. L'epistola venne letta pubblicamente di tanto in tanto a Corinto, e per il [[IV secolo]] il suo uso si era diffuso ad altre chiese. La si trova allegata al ''[[Codex Alexandrinus]]'' (Codice Alessandrino), ma ciò non implica che raggiunse mai il rango canonico.