Giudizio di fatto e di diritto: differenze tra le versioni

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* la posizione della norma, ossia la sua individuazione, con un'operazione di [[interpretazione]] nel caso debba essere ricavata da un [[atto normativo]], e la riconduzione del fatto alla [[fattispecie]] astratta in essa prevista (''[[sussunzione (diritto)|sussunzione]]'');
* la posizione del fatto, ossia la sua concreta individuazione nelle proprietà che lo caratterizzano e formulazione nel linguaggio della norma, attraverso un'attività di carattere conoscitivo fondata su ''[[prova (diritto)|prove]]'' o elementi di prova.
 
La distinzione tra giudizio di fatto e di diritto si riflette nella [[motivazione (diritto)|motivazione]] della sentenza, la quale sarà quindi articolabile in:
*''motivazione in fatto'', consistente in una procedura argomentativa volta, sulla base dalle prove raccolte, a [[convinzione|convincere]] della verità (o, quanto meno, della plausibilità) della ricostruzione del passato fatta dal giudice;
*''motivazione in diritto'', consistente in un discorso prescrittivo volto a giustificare la correttezza dell'individuazione della norma operata dal giudice e a convincere sulla fondatezza dell'interpretazione della disposizione da cui il giudice ha ricavato la norma stessa.
 
La competenza a decidere su questioni di fatto e di diritto può essere attribuita a giudici diversi: è ciò che accade in quegli ordinamenti, soprattutto di [[common law]], in cui le prime sono demandate ad una [[giuria]], composta da giudici laici, le seconde ad un giudice o ad un [[collegio (diritto)|collegio]] di giudici professionali.
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==Bibliografia==
* Mannarino N., ''La prova nel processo''., Wolters Kluwer Italia, 2007. ISBN 9788813272579
* Santoriello C., ''Il vizio di motivazione tra esame di legittimità e giurisdizione'', Wolters Kluwer Italia, 2008. ISBN 9788859803102
 
==Voci correlate==