Trittico dell'Umanità: differenze tra le versioni

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Con 6.062 biglietti emessi, a 15 lire e 10 soldi il biglietto, la lotteria di quadri di Régnier fruttò la considerevole somma di 12.646 ducati che andò interamente a beneficio dei figli del pittore, morto meno di un anno dopo il [[20 novembre]] [[1667]] nella sua amata Venezia.
 
Benché non si conosca un elenco contenetecontenente i nomi degli aggiudicatari dei dipinti, ciò non toglie che molte opere siano identificabili, in anni successivi, all’interno di altre importanti collezioni veneziane. In particolare il ''Creatore sull’iride'' del Correggio transitò nelle mani del cavalier Antonio Barbaro, grande condottiero e governatore di [[Corfù]]. Amico del Régnier dal quale si fece fare due ritratti, Barbaro era uomo di grandi interessi culturali e di gusti raffinati sostenuti da ampie possibilità economiche.
 
Ormai prossimo alla morte e privo di discendenti, nel ottobre del 1677, Antonio Barbaro decise di nominare suo erede universale il giovane Carlo Gritti, figlio del nobil huomo Tridan Gritti, consegnandogli assieme all’intero patrimonio la primogenitura cioè la discendenza della stirpe non essendosi il Barbaro mai sposato. Il ''Creatore sull’iride tra angeli'', giunse così in possesso della famiglia Gritti di Santa Maria Zobenigo, congiuntamente agli altri beni già appartenuti al Barbaro. La tela per oltre un secolo rimase nell’abitazione di famiglia in Santa Maria Zobenigo a Venezia, per poi esser alienata nella seconda metà del XVIII secolo, per ripianare alcuni debiti contratti dai Gritti. Nel terzo quarto del Settecento la tela allegriana fu acquistata, assieme ad altri due quadri, dall’antiquario veneziano Giovan Maria Sasso (Venezia 1742-1808). Secondo quanto riferito da Giovanni Antonio Armano (Venezia 1751–post 1823) a Luigi Pungileoni, il Sasso pagò la tela “''quattordici miserabili zecchini''”, facendo leva sullo scarso interesse dato dai Gritti al dipinto e sullo stato precario di conservazione. Poco tempo dopo l’acquisizione da parte del Sasso, la tela passò al dottor Giovan Pietro Pellegrini di Venezia, cultore di pitture antiche. Da questi nel [[1782]] la comperò Giovanni Antonio Armano che la tenne fino all’agosto del [[1811]].