Assedio di Roma (546): differenze tra le versioni

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=== Sacco ===
Nel frattempo [[Bessa (generale)|Bessa]], intento più che mai ad accumulare ricchezze vendendo il frumento sempre a più caro prezzo, approfittando della fame che affligeva i Romani, e tutto occupato ad arricchirsi, continuava a trascurare la difesa e la sicurezza delle mura della città, che secondo [[Procopio di Cesarea|Procopio]] era l'"ultimo de' suoi pensieri": cosicché, secondo Procopio, non retti da freno, i soldati a difesa delle mura vagavano oziosi, e spesso si addormentavano senza che il comandante le rimproverasse; inoltre, mancavano i cittadini a cui affidare la difesa delle mura, essendone rimasti pochissimi entro le mura e tutti ridotti in stato pietoso dalla fame.<ref name=ProcIII20>Procopio, ''La guerra gotica'', [[s:La Guerra Gotica/III/20|III,20]].</ref>
Il clero ariano venne bandito dalla Città Eterna mentre la fame imperversava dentro le mura. Quattro sentinelle isauriche calarono dalle mura e proposero al re goto di introdurre le sue truppe nella città. Accettata l'offerta, i quattro traditore aprirono la [[Via Asinaria]] ai Goti, che riuscirono in questo modo a espugnare la città.
 
Nel frattempo, quattro Isauri, posti a difesa della porta Asinaria, durante la notte, osservati i compagni addormentarsi, e, intenzionati a tradire Bisanzio, decisero di agire: calarono dai merli al suolo parecchie funi e con esse scesero fuori dalla città per recarsi da Totila promettendogli di introdurlo agevolmente in città con tutto l'esercito ostrogoto.<ref name=ProcIII20/> Re Totila, promettendo loro grandi ricompense una volta conquistata la città, inviò con essi due Ostrogoti ad esaminare il luogo indicatogli come idoneo all'espugnazione della città: questi scalarono le mura con le funi ed ebbero la conferma dagli isauri traditori di quanto fosse agevole scalare le mura con le funi di notte senza pericolo alcuno; scesi giù dalle mura con le funi, i due ostrogoti esposero al loro re gli sviluppi della faccenda, ma Totila, sebbene provasse un piacere sommo, sospettoso degli Isauri, non volle prestarvi molta fede.<ref name=ProcIII20/> Pochi giorni dopo, i quattro traditori, quindi, ritornarono da Totila cercando di nuovo di convincerlo: Totila inviò di nuovo con loro due altri ostrogoti perché tornassero ad osservare meglio ogni cosa; questi confermarono le prime notizie.<ref name=ProcIII20/> Nel frattempo degli esploratori bizantini catturarono dieci guerrieri ostrogoti conducendoli prigionieri a Bessa, il quale, interrogatili sui piani di Totila, venne a sapere che egli sperava di impadronirsi della città grazie al tradimento di alcuni Isauri, ma Bessa e Conone, non prestatovi per nulla fede, non presero provvedimenti, né tennero sotto controllo gli Isauri, che così visitarono per la terza volta il re ostrogoto, finalmente convincendolo.<ref name=ProcIII20/>
Entrato in città Totila visitò la tomba di San Pietro e, mentre pregava, 25 soldati e 50 cittadini venivano uccisi dai Goti nel vestibolo del luogo di culto. L'arcidiacono Pelagio implorò a Totila di essere clemente con i Romani. Totila non permise ai suoi soldati di violare la castità delle donne romane ma permise loro di saccheggiare la città. Un terzo delle mura fu abbattuto per ordine del re goto, che progettava di distruggere completamente la città per trasformarla in un pascolo. Belisario però, venuto a conoscenza di ciò, scrisse al suo nemico implorandogli di rispettare i monumenti di Roma, che testimoniavano la gloria passata di quella che un tempo era la ''[[Caput mundi]]''. Totila, persuaso da Belisario, decise di risparmiare Roma e la lasciò per andare a soggiogare altre parti dell'Italia.
 
Ora Totila, condusse tutte le sue truppe presso la porta Asinaria ingiungendo a quattro dei suoi di scalare con le funi le mura in compagnia degli Isauri, approfittando del fatto che erano le ore notturne in cui, dormendo gli altri tutti, la difesa delle mura era affidata proprio agli Isauri traditori.<ref name=ProcIII20/> Gli Ostrogoti, dunque, preso possesso delle mura, pervennero alla porta ed a colpi di scure fecero a pezzi la spranga di legno, permettendo a Totila con tutto l'esercito ostrogoto di entrare in città; Totila, tuttavia, sospettando ancora di un tranello, tenne i suoi soldati in atteggiamento prudente affinché non sbandassero.<ref name=ProcIII20/> Quando l'esercito ostrogoto entrò in città, i soldati bizantini e i loro comandanti, Bessa e Conone, fuggirono dalla città per le varie uscite, e i rimasti cercarono disperatamente rifugio nei luoghi di culto.<ref name=ProcIII20/> Tra i patrizi, Basilio, Demetrio e coloro che avessero cavallo, seguirono il fuggente Bessa; mentre Olibrio, Massimo, Oreste ed altri cercarono rifugio nella [[Basilica di San Pietro|basilica dell'apostolo Pietro]].<ref name=ProcIII20/> In ogni modo, in quella notte, secondo Procopio, si trovavano in città non più di cinquecento individui, i quali ebbero appena il tempo di rifugiarsi nelle chiese, essendo il resto della popolazione o fuggita o deceduta per la fame e per gli stenti.<ref name=ProcIII20/> Totila, quando seppe che Bessa e il presidio bizantino erano fuggiti, si mostrò soddisfatto, ma non permise il loro inseguimento dicendo: « E qual maggior contento spereremmo del vedere il nemico in fuga ? »<ref name=ProcIII20/>
 
Era l'alba quando Totila si recò a pregare nella basilica dell'apostolo Pietro, quando gli Ostrogoti avevano già ucciso di spada venti soldati e sessanta cittadini.<ref name=ProcIII20/> All'entrata in chiesa, venne incontro al re ostrogoto il diacono Pelagio con i Vangeli in mano, e in atteggiamento supplichevole, supplicando Totila di perdonare i Romani ponendo fine ad ogni strage.<ref name=ProcIII20/> Totila, piegatosi alle istanze di Pelagio, ordinò ai suoi guerrieri di cessare ogni strage, permettendo però loro di mettere a sacco liberamente il resto: gli Ostrogoti si impadronirono quindi delle ricchezze custodite nelle case dei senatori, in particolare del denaro illecitamente accumulato da Bessa vendendo a carissimo prezzo il frumento, e i senatori romani si videro ridotti alla condizione di mendicare dagli stessi nemici la vita, con servile e grossolana veste indosso e picchiando d'uscio in uscio.<ref name=ProcIII20/> Gli Ostrogoti volevano uccidere la senatrice Rusticiana, vedova di Boezio, la quale aveva distribuito ai poveri ogni suo avere, accusandola di aver fatto distruggere, con larghi doni ai comandanti dell'esercito bizantino, la statua di Teoderico per vendicarsi dell'uccisione di Simmaco e Boezio, padre e consorte suoi.<ref name=ProcIII20/> Totila, tuttavia, impedì che fosse in conto alcuno oltraggiata, né permise agli Ostrogoti di violentare né vergini né vedove, dimostrando dunque come virtù, secondo Procopio, la continenza.<ref name=ProcIII20/>
 
Entrato in città Totila visitò la tomba di San Pietro e, mentre pregava, 25 soldati e 50 cittadini venivano uccisi dai Goti nel vestibolo del luogo di culto. L'arcidiacono Pelagio implorò a Totila di essere clemente con i Romani. Totila non permise ai suoi soldati di violare la castità delle donne romane ma permise loro di saccheggiare la città. Un terzo delle mura fu abbattuto per ordine del re goto, che progettava di distruggere completamente la città per trasformarla in un pascolo. Belisario però, venuto a conoscenza di ciò, scrisse al suo nemico implorandogli di rispettare i monumenti di Roma, che testimoniavano la gloria passata di quella che un tempo era la ''[[Caput mundi]]''. Totila, persuaso da Belisario, decise di risparmiare Roma e la lasciò per andare a soggiogare altre parti dell'Italia.
 
Roma venne così recuperata da Belisario, che respinse un ulteriore tentativo di riconquista da parte di Totila; essa venne di nuovo riconquistata dai Goti poco dopo, ma venne riconquistata da Narsete tra il [[552]] e il [[553]]. Roma, con la fine della guerra, venne annessa con l'Italia intera all'Impero romano d'Oriente.