Metodo storico-critico: differenze tra le versioni

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I diversi principi del metodo storico-critico, fin dal [[1700]] furono pensati, esaminati e applicati principalmente dai [[Protestantesimo|protestanti]], i quali, spronati dal principio della [[sola scriptura]], si sentirono nella necessità di dedicarsi allo studio della formazione e interpretazione della Bibbia; furono anche sollecitati dalle ricerche, spesso confluenti nell’[[agnosticismo]], degli ambienti [[illuminismo|illuministici]]. Per decenni, i risultati dell’applicazione del metodo storico-critico, nell’ambito della ricerca del [[Gesù storico]], furono sinonimo di banalizzazione e destoricizzazione dei contenuti biblici. Tutto questo spinse anche la cultura cattolica a prendere a cuore il nuovo metodo, che in origine veniva guardato con sospetto.
 
In seguito gli ambienti della [[Chiesa cattolica]], specialmente dopo la creazione della [[Pontificia Commissione Biblica]] ([[1902]]), cominciarono ad indicare nel metodo storico-critico un alleato per la comprensione della Bibbia come conferma della fede professata. Nella sua enciclica [[Providentissimus Deus]] (Dio totalmente Provvidente) (primo di novembre [[1893]]) papa [[papa Leone XIII]] spinse l’ambiente della docenza cattolica ad essere “più dotti e provveduti” nello studio della Bibbia.
 
Cinque decenni più tardi, dopo la fondazione dell’[[Pontificio Istituto Biblico]] ([[1009]]), [[Pio XII]] nel suo [[Divino Afflante Spiritu]] (30 settembre [[1943]] (Ispirati dal Divino Spirito) lodò e stimolò l’applicazione de “l’arte della [[ecdotica|storia del testo]]”.<ref>”Il suo scopo, infatti, è quello di ristabilire per quanto possibile il testo originale, purificarlo dalle deformazioni introdottesi a causa di copisti, e di liberarlo dalle glosse e commenti infiltratisi nel testo [...]. È vero che di tal critica alcuni decenni or sono non pochi abusarono a loro talento, non di rado in guisa che si direbbe abbiano voluto introdurre nel sacro testo i loro preconcetti". [...] </ref>