Giacomo De Franchi Toso: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Riga 44:
 
=== Il dogato e gli ultimi anni ===
Il suo mandato dogale - il sessantaquattresimo in successione biennale e il centonovesimo nella storia repubblicana - fu tra gli eventi pubblici caratterizzato dalla tentata congiura del nobile Stefano Raggio ai danni di diversi esponenti della nobiltà genovese e, tra questi, pure il doge Giacomo De Franchi Toso. Furono infatti i nobili Ottaviano Sauli e Tobia Pallavicini ad accusare il Raggio di tutta la macchinazione che prevedeva un attentato e quindi l'uccisione di quella fazione considerata "anti francese" in occasione della processione del Ciorpus''Corpus Domini''. Un'accusa che, aggravata dalla presenza del nome di Raggio in una lettera di Gian Paolo Balbi (un altro sospettato di congiura Gian Paolo Balbi), spinse l'arrestato Stefano Raggio al suoicidiosuicidio in carcere con un rasoio da barba. Tuttavia un passaggio delle due lettere inviate dallo stesso doge Giacomo De Franchi Toso a [[Roma]] al rappresentante della [[Repubblica di Genova]], Giovanni Battista Lazagna, datate il 1° luglio e 8 luglio, asseriscono del salvataggio ''in estremis'' di Stefano Raggio dal suicidio, della sua momentanea cura per assistere al processo per direttisimadirettissima e quindi della sua condanna per impiccagione con l'accusa di alto tradimento e tentato omicidio a danno del doge. Con due diverse versioni dei fatti, l'unica cosa certa fu l'esposizione del corpo impiccato di Stefano Raggio il 7 luglio [[1650]] nella pubblica piazza.
 
Ma un altro episodio "di Stato", e più grave per la sua risonanza europea, si ebbe durante il suo mandato nel corso del [[1649]]. Il passaggio di truppe sabaude nel territorio genovese di [[Pieve di Teco]], su concessione del capitano pievese, irritò l'ambasciatore di [[Spagna]] dimorante a Genova che nel breve ne chiese lumi direttamente al doge De Franchi Toso. Quest'ultimo, vista la reazione del diplomatico spagnolo, convocò presso il [[Palazzo Ducale (Genova)|palazzo Ducale]] il responsabile del presidio di Pieve di Teco ma ciò non bastò a placare le nuove polemiche per la scarsa incisività del doge che, per tutta risposta, replicò al diplomatico l'effettiva indipendenza della repubblica genovese nelle leggi, nei comportamenti e nelle scelte rispetto alla corona spagnola. Tale "durezza" della massima carica dello stato fu di li a poco "punita" dal governo di [[Madrid]] che, interrotte le trattative con i Genovesi per la cessione del territorio lunigianese di [[Pontremoli]], definitivamente cedette il feudo al [[Granducato di Toscana]].
 
Anche in campo religioso il doge Giacomo De Franchi Toso cercò di far valere il proprio ruolo istituzionale, e quindi della sovranità della repubblica, denunciando più volte con lettere ufficiali gli abusi in materia di giurisdizione civile commessi dal [[Arcidiocesi di Genova|clero genovese]], ed in particolare del cardinale [[Stefano Durazzo]] che già la [[Santa Sede]] allontanò da Genova per un certo periodo. In altri scritti dell'estate 1649 inviate al priprioproprio rappresentante genovese Giovanni Battista Lazagna chiese ufficialmente al pontefice [[Innocenzo X]] di rimuovere definitivamente il cardinal Durazzo dalla scena genovese.
 
Cessato il dogato il 1° agosto 1650 e nominato procuratore perpetuo, lavorò ancora per lo stato genovese stringendo rapporti economici con il [[Banco di San Giorgio]]. Allo scoppio di una nuova [[pestilenza]] nel territorio della Liguria nel [[1657]], fu nominato commissario della Sanità cercando di arginare l'emergenza e di predisporre nuove misure pubbliche. Egli stesso contagiato dalla peste morì a Genova nello stesso anno. Il corpo di Giacomo De Franchi Toso fu tumulato nella [[chiesa di San Francesco di Castelletto]], luogo di sepoltura di altri dogi e componenti della sua famiglia.
 
== Vita privata ==