Gruppo 7: differenze tra le versioni

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Il '''Gruppo 7''' è stato un gruppo di architetti [[italia]]ni, che capitanato e animato da [[Carlo Enrico Rava]] fu costituito nel [[1926]].<ref>[[Alberto Sartoris|Sartoris, Alberto]]: Giuseppe Terragni dal vero. In: Ciucci, Giorgio (a cura): Giuseppe Terragni. Opera completa. Milano 1996, p. 16.</ref> Oltre Rava vi hanno fatto parte gli architetti [[Figini e Pollini|Luigi Figini]], [[Guido Frette]], [[Sebastiano Larco]], [[Gino Pollini]], [[Giuseppe Terragni]] e [[Ubaldo Castagnoli]], sostituito l'anno dopo da [[Adalberto Libera]].<ref>cfr. Storia dell'architettura italiana. Il primo Novecento. Milano 2004, pp. 520-521.</ref> Anche [[Giuseppe Pagano Pogatschnig|Giuseppe Pagano]], pur non aderendo direttamente al gruppo ne sostenne le posizioni, condividendo le tesi del movimento. Si trattava di un collettivo di professionisti che si propone rinnovare il pensiero architettonico corrente e la ricerca formale e funzionale dell'edilizia italiana attraverso l'adozione del [[razionalismo]].
 
In occasione della Prima Esposizione Italiana di Architettura Razionale, che si tenne, promossa da Adalberto Libera e [[Gaetano Minnucci]], nel [[1928]] a Roma, il Gruppo 7 si ampliò con la fondazione del '''MIAR''' (Movimento italiano architettura razionale), che comprendeva una cinquantina di architetti divisi per ambito regionale.
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===Gruppo 7===
Con una serie di articoli sulla rivista ''Rassegna Italiana'' nel dicembre del [[1926]], il "Gruppo 7" si presentò al pubblico, dettando nuovi principi per l'[[architettura]] che si rifacevano a quelli del [[Movimento Moderno]] in [[Europa]]. Si trattava di un nuovo modo di vedere l'architettura, caratterizzato dalla ricerca della forma pura, essenziale, che esprimesse la funzione degli spazi, e dal rigetto dell'ornamento e della [[decorazione]]. In questi scritti si teorizzava:
* che "''dall’uso costante della razionalità, dalla perfetta rispondenza dell'edificio agli scopi che si propone, siamo certi debba risultare, appunto per selezione, lo stile''"<ref name="Zevi">cfr. Bruno Zevi. Storia dell'architettura moderna. Torino 2001, p. 182.</ref>;
* che "''l'architettura ...non può più essere individuale''", per poterla ricondurre "''alla diretta derivazione delle esigenze del nostro tempo''"<ref name="Zevi">cfr. Bruno Zevi. Storia dell'architettura moderna. Torino 2001, p. 182.</ref>;
* che "''all’[[Eclettismo (arte)|eclettismo]] elegante dell'individualismo opponiamo lo spirito della costruzione in serie''"<ref name="Zevi">cfr. Bruno Zevi. Storia dell'architettura moderna. Torino 2001, p. 182.</ref>.
 
Contemporaneamente si richiamava il valore della tradizione:
* "''Da noi esiste un tale substrato classico e lo spirito della tradizione (non le forme le quali sono ben diversa cosa) è così profondo in [[Italia]], che evidentemente e quasi meccanicamente la nuova architettura non potrà non conservare una tipica impronta nostra''"<ref name="Zevi">cfr. Bruno Zevi. Storia dell'architettura moderna. Torino 2001, p. 182.</ref>.
 
Il Gruppo 7, quindi, propendeva per una mediazione tra tradizione e "spirito nuovo", tra [[classicismo (arte)|classicismo]] e [[Funzionalismo (filosofia)|funzionalismo]], riprendendo dal classico la struttura geometrica, il ritmo, la proporzione, la raffinatezza dei materiali e dei particolari architettonici. Con la sua iniziativa il Gruppo 7 aprì quello che poi lo stesso [[Giuseppe Terragni|Terragni]] definì il periodo 'squadrista' dell'architettura italiana, che tra il 1926 e il 1931, soprattutto però durante gli anni 1931/32, vide lo scontro tra razionalisti e accademici con la seguente polemica nazionale sulle ragioni della modernità.<ref>cfr. Pier Luigi Nervi. Architettura come sfida (a cura di [[Carlo Olmo]] e [[Cristiana Chiorino]]). Milano 2010, p. 5.</ref>
 
Un esempio di applicazione di questi principi è la [[Casa del Fascio (Como)|Casa del Fascio]] di [[Como]], di [[Giuseppe Terragni]], {{citazione necessaria|dove la [[facciata]] è disegnata sulla [[sezione aurea]] e dove le forme e le strutture moderne si fondono con un impianto volumetrico ed un equilibrio dello [[spazio architettonico]] classici. }}
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Nel [[1931]] venne organizzata da [[Pietro Maria Bardi]] una seconda esposizione dell'architettura razionale, inaugurata da [[Mussolini]], alla sua Galleria d'Arte di [[Roma]], in seguito alla quale nacque una vivace polemica con i tradizionalisti. Ad alimentare questo scontro contribuì il "Tavolo degli orrori", fotomontaggio che rappresentava con sarcasmo la "vecchia" Italia, in cui a brani di romanzi e giornali dell'epoca, cartoline e fotografie del 1860, erano accostate le opere architettoniche pseudoclassiche e pseudobarocche di [[Armando Brasini]], [[Cesare Bazzani]], [[Gustavo Giovannoni]], e pseudomoderne di [[Marcello Piacentini]].
 
Il tentativo di mediazione sulla base del concetto di [[stile]], svuotando il Movimento Moderno dei caratteri di impegno sociale e di trasformazione dell'ambiente costruito, a favore di un esplicito richiamo e identificazione con i principi fascisti, fallisce. Il sindacato fascista architetti ritira l'appoggio alla mostra e contemporaneamente, per agevolare una scissione all'interno del Gruppo, fonda il RAMI, Raggruppamento Architetti Moderni Italiani, in cui confluiscono parte dei membri del MIAR<ref>cfr. Bruno Zevi. Storia dell'architettura moderna. Torino 2001, p. 187.</ref>. Il 'fronte razionalista', di cui il MIAR è il rappresentante, si spezza con lo scioglimento del movimento nel corso dello stesso anno.<ref>cfr. Storia dell'architettura italiana. Il primo Novecento. Milano 2004, pp. 524-525.</ref>
 
===Fine del movimento===