Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia: differenze tra le versioni

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[[File:Ouverture des États généraux de 1789 à Versailles.jpg|thumb|right|230px|Apertura degli [[Stati Generali]] a [[Versailles]] nel [[1789]].]]
La critica serrata che Burke muove nelle ''Riflessioni'' alla [[Rivoluzione francese]] parte da un nodo ed un presupposto fondamentali. Secondo lo statista anglo-irlandese, la rivoluzione francese è irrimediabilmente destinata al disastro, perché essa poggia le proprie fondamenta ideologiche su nozioni astratte, che hanno la pretesa di essere razionalmente fondate, ma che al contrario ignorano la complessità della natura umana e della [[società (sociologia)|società]].<ref name="Reflections"/> [[Edmund Burke|Burke]] considerava la [[politica]] da un punto di vista pragmatico, e rigettava le idee ed il [[razionalismo]] astratto dei filosofi dell'[[Illuminismo]], come il [[Jean Antoine Caritat|marchese di Condorcet]], secondo i quali la [[politica]] poteva essere ridotta ad un mero sistema basato sulla [[matematica]] e su di un rigida [[logica]] deduttiva. Formatosi sugli scritti di [[Cicerone]], [[Aristotele]], [[Platone]], [[Agostino d'Ippona|Sant'Agostino]] e [[Montesquieu]], Burke credeva in un governo basato sul "sentimento degli uomini", piuttosto che sul freddo raziocinio. Per tale motivo ricorrono spesso, nelle ''Riflessioni'', giudizi negativi e di aperta condanna contro tutti quegli esponenti dell'[[Illuminismo]], soprattutto francese, come [[Voltaire]], [[Jean-Jacques Rousseau|Rousseau]], [[Claude-Adrien Helvétius|Helvétius]], [[Anne Robert Jacques Turgot|Turgot]], che negavano o snaturavano i concetti del [[Peccato originale|Peccato Originale]] e della [[Divina Provvidenza]], e dell'azione di quest'ultima all'interno della società umana.<ref name="Reflections"/>
 
{{quote|Per quattrocento anni [noi inglesi] siamo andati avanti, ma non posso credere che non siamo materialmente cambiati. Grazie alla nostra diffidenza verso le innovazioni, grazie alla neghittosità del nostro carattere nazionale, ancora possediamo la tempra dei nostri padri. Noi non abbiamo perduto - come io credo - la liberalità e la dignità di pensiero del quattordicesimo secolo, né però abbiamo fatto di noi stessi dei selvaggi. Noi non siamo i proseliti di Rousseau né i discepoli di Voltaire; Helvétius non ha attecchito tra noi. Gli atei non sono i nostri predicatori, né i folli i nostri legislatori.<ref>[http://books.google.it/books?id=TtUuAAAAMAAJ&printsec=frontcover&dq=reflection+on+revolution+french#PRA1-PA127,M1 ''Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia'', pp. 127]-[http://books.google.it/books?id=TtUuAAAAMAAJ&printsec=frontcover&dq=reflection+on+revolution+french#PRA1-PA128,M1 128].</ref>|''Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia''}}