Michele Fassio: differenze tra le versioni
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==Biografia==
[[squadrismo|Squadrista]]<ref>"L'operaio Michele Fassio nuovo Podestà di Torino", ''[[La Stampa]]'', 28 novembre 1944</ref> e collaboratore del ''[[Il Maglio|Maglio]]'', organo del [[fascismo]] [[Torino|torinese]]<ref>Carlo Chevallard, ''Diario, 1942-1945 : cronache del tempo di guerra'', a cura di Riccardo Marchis, Torino: BLU Edizioni, 2005,</ref>, negli anni venti lasciò Torino in cerca di lavoro trasferendosi a [[Brescia]] presso la sorella e in seguito a [[Ventimiglia]]<ref>{{cita|Nicola Adduci|p. 428}}</ref>. Allontanato dalla città con un foglio di via rientrò a Torino dove trovò lavoro come panettiere. Poi divenne operaio fonditore presso la [[FIAT]]<ref>{{cita|Nicola Adduci|p. 428}}</ref>.
Già dopo la [[Ordine del giorno Grandi|caduta di Mussolini]] avvenuta il 25 luglio 1943 nel corso dell'estate Fassio aveva incominciato ad incontrarsi clandestinamente con altri fascisti nei locali della [[Gioventù italiana del littorio|ex GIL]]<ref>{{cita|Fabrizio Vincenti|p. 18
Il 2 dicembre 1944, per decisione del federale del [[
Il mattino del 26 aprile, mentre si recava in [[Municipio]], fu arrestato dai [[Vigili Urbani]] che nel frattempo erano passati agli ordini del CLN<ref>{{cita|Michele Tosca vol II|p. 113}}</ref><ref>{{cita|Fabrizio Vincenti|p. 274}}</ref>. Fassio fu rinchiuso nel suo ufficio, ma avendo i carcerieri dimenticato di staccare il telefono, riuscì a mettersi in contatto con la prefettura richiedendo aiuto prima di venir spostato nelle cantine insieme ad altri prigionieri<ref>{{cita|Michele Tosca vol II|p. 113}}</ref>. La telefonata sortì l'effetto desiderato e dalla prefettura arrivò una autoblinda della [[Guardia Nazionale Repubblicana]] sotto il comando del capitano Milanaccio. L'autoblinda fu pertanto attaccata dai partigiani che si risolse ad attaccare anch'essa sfondando il portone del Municipio e provocando la fuga degli occupanti<ref>{{cita|Michele Tosca vol II|p. 113}}</ref><ref>{{cita|Fabrizio Vincenti|p. 274}}</ref>. Fassio fu pertanto liberato e scortato alla caserma Bergia, da lì si trasferì poi a Chivasso mentre il capitano Milanaccio si arroccò in caserma con i reparti del "''Gruppo Corazzato Leonessa''"<ref>{{cita|Michele Tosca vol II|p. 114}}</ref>.
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