Michele Fassio: differenze tra le versioni

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Il 2 dicembre 1944, per decisione del federale del [[PFR]] [[Giuseppe Solaro]], fu nominato podestà di Torino al posto di [[Matteo Bonino]] e rimase in carica fino alla [[caduta della Repubblica Sociale Italiana]], il 26 aprile [[1945]]. La nomina avvenne a sua insaputa e gli fu comunicata da una mascotte della [[Brigata Nera]] torinese che lo aveva incontrato presso la [[caserma Cernaia]]<ref>{{cita|Fabrizio Vincenti|p. 221}}</ref>. La nomina di podestà tratti dall'ambito sindacale e operaista seguiva l'indirizzo impresso dal governo della RSI e portò a breve alla nomina anche di altri operai alla guida di altri capoluoghi di provincia<ref>{{cita|Nicola Adduci|p. 268}}</ref> e alla svolta rappresentata dalla [[Socializzazione dell'economia]]<ref>{{cita|Nicola Adduci|p. 268}}</ref>.
 
Il mattino del 26 aprile, mentre si recava in [[Municipio]], fu arrestato dai [[Vigili Urbani]] che nel frattempo erano passati agli ordini del CLN<ref>{{cita|Michele Tosca vol II|p. 113}}</ref><ref>{{cita|Nicola Adduci|p. 428}}</ref><ref>{{cita|Fabrizio Vincenti|p. 274}}</ref>. Fassio fu rinchiuso nel suo ufficio, ma avendo i carcerieri dimenticato di staccare il telefono, riuscì a mettersi in contatto con la prefettura richiedendo aiuto prima di venir spostato nelle cantine insieme ad altri prigionieri<ref>{{cita|Michele Tosca vol II|p. 113}}</ref>. La telefonata sortì l'effetto desiderato e dalla prefettura arrivò una autoblinda della [[Guardia Nazionale Repubblicana]] e un carro armato<ref>{{cita|Nicola Adduci|p. 428}}</ref> sotto il comando del capitano Giovanni Milanaccio. L'autoblinda fu pertanto attaccata dai partigiani che si risolse ad attaccare anch'essa sfondando il portone del Municipio e provocando la fuga degli occupanti<ref>{{cita|Nicola Adduci|p. 335337}}</ref><ref>{{cita|Michele Tosca vol II|p. 113}}</ref><ref>{{cita|Fabrizio Vincenti|p. 274}}</ref>. Fassio fu pertanto liberato e scortato alla caserma Bergia, da lì si trasferì poi a Chivasso mentre il capitano Milanaccio si arroccò in caserma con i reparti del "''Gruppo Corazzato Leonessa''"<ref>{{cita|Michele Tosca vol II|p. 114}}</ref>.
 
Il 20 febbraio [[1946]] fu condannato a 20 anni di carcere per [[collaborazionismo]]<ref>"20 anni di reclusione all'ex podestà Fassio", ''La Stampa'', 21 febbraio 1946</ref><ref>{{cita|Nicola Adduci|p. 428}}</ref>. La sentenza fu annullata dalla [[Corte di Cassazione]] e il 16 giugno 1947 fu scarcerato<ref>{{cita|Nicola Adduci|p. 428}}</ref>. Nel 1953 si candidò alle elezioni politiche nelle liste del [[Movimento Sociale Italiano]] ottenendo oltre mille preferenze non venendo però eletto<ref>{{cita|Nicola Adduci|p. 428}}</ref>.