Aleksandr Porfir'evič Borodin: differenze tra le versioni

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Nella primavera del [[1861]], durante le vacanze partì per l’[[Italia]] allo scopo di conoscere sul posto i fenomeni vulcanici, il processo di formazione ed estrazione dello [[zolfo]] e dell’[[acido borico]]. Raccolse, inoltre, una collezione di lave dal [[Vesuvio]] e dal [[Monte Somma]] ed altri campioni di minerali mancanti nel museo accademico in Russia<ref>Dianin, “Aleksandr Porfir'evič Borodin”, op.cit., p. 364</ref>.
 
Nell’ottobre dello stesso anno si diresse nuovamente in Italia: collaborò con diversi chimici italiani tra cui [[Stanislao Cannizzaro|Cannizzaro]], [[Raffaele Piria|Piria]], [[Cesare Bertagnini|Bertagnini]], [[Sebastiano De Luca|De Luca]] e [[Paolo Tassinari|Tassinari]]. Svolse alcuni lavori analitici presso il laboratorio universitario di [[Pisa]] che, a suo avviso offriva diversi vantaggi rispetto agli altri laboratori: non era pubblico e di conseguenza non era organizzato in base a criteri commerciali e di calcolo, come lo erano invece quelli germanici. Inoltre, notò che gli scienziati italiani non si erano abituati a quel sistema di "sfruttamento" che riportava la scienza al livello di artigianato<ref>Dianin, “Aleksandr Porfir'evič Borodin”, op.cit., p. 365</ref>.
 
Significativa fu la scoperta nel laboratorio di una rara riserva di recipienti di [[platino]], che lo indusse ad intraprendere un serio lavoro sulle combinazioni di [[fluoro]], mai affrontato prima per mancanza di mezzi<ref>Dianin, “Aleksandr Porfir'evič Borodin”, op.cit., p. 365</ref>. Si trattava di combinazioni molto interessanti e poco studiate, in quanto il fluoro ha la capacità di entrare in reazione con quasi tutte le sostanze, così da corrodere i recipienti di vetro e porcellana e provocare duplici combinazioni che ostruiscono al massimo la depurazione e l’analisi dei prodotti di fluoro<ref>Dianin, “Aleksandr Porfir'evič Borodin”, op.cit., p. 366</ref>.
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