Paolo Sollier: differenze tra le versioni

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== Biografia ==
[[File:Associazione Calcio Perugia - Paolo Sollier + Giancarlo Raffaeli.jpg|thumb|left|Sollier sfoglia il ''[[Quotidiano dei lavoratori]]'' a metà [[Anni 1970|anni settanta]], assieme al compagno di squadra [[Giancarlo Raffaeli]].]]
 
Figlio di un dipendente dell'azienda elettrica, crebbe a [[Torino]] nel quartiere della [[Vanchiglietta]] dove, giovanissimo, fu un attivista di [[Mani Tese]]. Lasciata l'associazione, nel [[1968]] si iscrisse alla Facoltà di Scienze Politiche, che però abbandonò dopo un anno per lavorare alla [[FIAT]] di [[Mirafiori]]; successivamente, svolse l'attività di calciatore a tempo pieno, senza però rinunciare all'impegno politico: «la critica principale che mi è stata rivolta [è come si conciliava la mia militanza a sinistra con i guadagni da calciatore], ma il mio era lo stipendio di un buon impiegato. Se mi sentivo un privilegiato era per un altro motivo, perché facevo il lavoro dei miei sogni, il calciatore. Una fortuna che capita a pochi».<ref name="Salvio" >{{cita news|titolo=A Berlusconi direi sempre no|pubblicazione=SportWeek|autore=Fabrizio Salvio|data=14 marzo 2015|pagina=33}}</ref>
 
[[File:Associazione Calcio Perugia - Paolo Sollier + Giancarlo Raffaeli.jpg|thumb|left|Sollier sfoglia il ''[[Quotidiano dei lavoratori]]'' a metà degli [[Anni 1970|anni settanta]], assieme al compagnocon diil squadracollega [[Giancarlo Raffaeli]].]]
 
La sua notorietà è dovuta principalmente al libro ''Calci e sputi e colpi di testa'' pubblicato nel [[1976]], nel quale il calciatore racconta la propria militanza in [[Avanguardia operaia]] e descrive il mondo del calcio da un punto di vista alternativo rispetto ai colleghi: nell'occasione, venne deferito dalla [[FIGC]]. Diventa emblematico il suo saluto col [[pugno chiuso]] rivolto ai tifosi del [[Associazione Calcio Perugia|Perugia]], saluto che gli provoca l'antipatia delle tifoserie di segno politico opposto; ebbe a ricordare anni dopo: «non era propaganda. Non era un gesto indirizzato ai tifosi ma a me stesso, per ricordarmi ogni volta chi fossi e da dove venivo. E per far sapere ai miei amici che restavo quello di sempre. Il ragazzo che al campetto, tanti anni prima, così si rivolgeva a loro. Con quello che per noi era un segno di riconoscimento».<ref name="Salvio" />