Pietro Secchia: differenze tra le versioni

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Nato da una famiglia [[Operaio|operaia]] (il padre era un militante del [[Partito Socialista Italiano]]), '''Pietro Secchia''' frequentò brillantemente il [[liceo classico]], ma per la sua povertà fu ben presto costretto a cercarsi un lavoro: già nel [[1917]] fu assunto come [[impiegato]] per poi divenire [[operaio]] in un'industria [[Lana|laniera]].
 
Nel [[1919]] si iscrisse alla [[FIGS]] (l'organizzazione giovanile socialista) e con essa partecipò agli [[scioperi]] del [[Biennio rosso in Italia|biennio rosso]] ([[1919]]-[[1920]]). Nell'agosto del [[1922]] aderì allo sciopero legalitario contro il [[Governo Facta II|governo Facta]]: fu per questo licenziato ed in seguito si scontrò insieme ai suoi compagni con un gruppo di fascisti, scontro dalnel quale ebbero la peggio. All'impegno [[Sindacato|sindacale]], intanto, aveva aggiunto quello politico: nel [[1921]] aderì al nuovo [[Partito Comunista d'Italia]], di cui nel [[1928]] divenne membro del [[Comitato centrale]].
 
Per aver manifestato pubblicamente la sua avversione verso il [[duceBenito Mussolini]] e il suo regime, fu arrestato nell'aprile del [[1931]] e, nel febbraio [[1932]], condannato a diciassette anni e nove mesi di [[reclusione]] dal [[Tribunale Speciale]]. Sempre del 1931 è il suo volume ''[[La lotta della gioventù proletaria contro il fascismo]]'', pubblicato a [[Berlino]] a cura dell'Internazionale giovanile comunista.
 
[[Amnistia]]toAmnistiato, nel [[1936]] fu inviato al [[confino]] nell'[[Ponza (isola)|isola di Ponza]] e poi a [[Isola di Ventotene|Ventotene]]. Dopo l'arresto di Mussolini e la caduta del regime, il 19 agosto del [[1943]] fu liberato, insieme con gli altri detenuti e confinati politici, con un provvedimento del governo [[governo Badoglio]]. Il provvedimento, inizialmente più restrittivo, era stato poi esteso, fino a comprendere anche i carcerati comunisti ed [[Anarchia|anarchici]], per le pressioni degli esponenti dei partiti antifascisti.
 
Tornato in libertà, partecipò alla [[Resistenza italiana|Resistenza]] entrando a far parte, con [[Luigi Longo]], [[Gian Carlo Pajetta]], [[Giorgio Amendola]] e [[Antonio Carini]], del Comando generale delle [[Brigate Garibaldi|Brigate d'assalto Garibaldi]]<ref>Fonte: Luigi Longo, ''I centri dirigenti del PCI nella Resistenza'', Roma, Editori Riuniti, 1973, pag. 38.</ref> e fu autore di molti articoli pubblicati sui giornali ''La nostra lotta'', ''Il Combattente'', ''[[L'Unità (quotidiano)|l'Unità]]'', raccolti successivamente, nel [[1954]], nel volume ''I comunisti e l'insurrezione''.
 
Pur sostenendo una politica rivoluzionaria che preparasse la prospettiva di un'insurrezione armata, come Longo ed altri partigiani comunisti, aderì nel [[1944]] alla cosiddetta ''[[svolta di Salerno]]'' di [[Palmiro Togliatti]], che spinse il PCI alla collaborazione con gli altri partiti antifascisti e con le istituzioni del [[Regno del Sud]].
 
{{quote|Qual era la situazione concreta che si presentava al partito nel 1944 e prefigurava i suoi nuovi compiti durante e dopo la Liberazione? Certamente, non era possibile un radicamento del partito se questo avesse mantenuto i connotati del partito di propaganda e agitazione che lo avevano caratterizzato fino all'organizzazione della Resistenza: non bisognava disconoscere che quel partito aveva avuto grandi meriti storici, ma bisognava mutarne la fisionomia come forza politica di massa. La linea politica, allora, non poteva non avere il respiro unitario che Togliatti le dava, tanto più che questo agevolava il compito dei comunisti all'interno degli organismi del CLN e faceva venir fuori con evidenza le sedimentazioni reazionarie dei raggruppamenti moderati, i liberali e i democristiani in primis. Ciò che non poteva venire a mancare era l'obiettivo di prospettiva: ma di prospettiva appunto bisognava parlare, non essendoci le condizioni oggettive per trasformare l'insurrezione in rivoluzione popolare per il comunismo, dovendosi lavorare ancora innanzi tutto per la stessa insurrezione, con il concorso di quelle stesse forze che pur le remavano contro. Nella lettura di Secchia, l'unità delle opposizioni era funzionale alla democrazia progressiva, terreno più favorevole per la prospettiva strategica, che avrebbe permesso il radicamento popolare del 'partito nuovo', senza che questo mutasse le caratteristiche di partito di classe: nel senso di non smarrire mai anche la funzione di avanguardia da parte dei quadri e la ricerca della direzione ([[egemonia culturale|egemonia]]) della classe operaia sull'intero movimento delle masse. Secchia era infatti ben consapevole delle insufficienze e limiti del partito cospirativo, specie per quanto riguardava l'organizzazione e il rapporto con le masse durante gli anni del regime mussoliniano.<ref>Ferdinando Dubla, ''La Resistenza accusa ancora'', Nuova Editrice Oriente, 2002, pp. 76-77.</ref>}}
 
=== Dal dopoguerra al 1973 ===