Sacco di Roma (390 a.C.): differenze tra le versioni

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Mentre l'assedio dei Galli continua, senza che le reciproche posizioni mutassero, a Veio si decise di inviare un messaggero a Roma, Ponzio Comino, affinché portasse al Senato la proposta di nominare Furio Camillo dittatore. Ponzio riuscì a rompere l'assedio ed il Senato poté nominare Camillo dittatore per la seconda volta.<ref>Tito Livio, ''Ab Urbe Condita'', V, 4, 45.</ref> Subito dopo la leggenda narra che le [[oche capitoline|oche sacre]] del [[Tempio di Giunone Moneta|tempio capitolino di Giunone]] avvisarono [[Marco Manlio Capitolino|Marco Manlio]], [[console romano|console]] del [[392 a.C.]], del tentativo di ingresso da parte dei Galli assedianti, facendo così fallire il loro piano. Intanto, mentre il dittatore preparava le necessarie operazioni belliche, Roma, ormai allo stremo per la fame, trovò un accordo con i Galli, che erano stati colpiti da un'improvvisa epidemia.
Dopo diverse trattative, il tribuno [[Quinto Sulpicio Longo]] e il capo dei Galli, [[Brenno]], giunsero ad un l'accordo, in base al quale i Galli sarebbero ripartiti senza arrecare ulteriori distruzioni in cambio di un riscatto pari a 1.000 libre d'oro puro.<ref>Tito Livio, ''Ab Urbe Condita'', V, 4, 48.</ref> In questo contesto si sarebbero verificati i famosi episodi della bilancia truccata da parte dei Galli per ottenere più oro, con Brenno che fa pesare anche la sua spada in segno di spregio, urlando: "[[Vae victis]]!" ("Guai ai vinti!"). Nel racconto di Livio, [[Marco Furio Camillo]] si oppose alla concessione del riscatto, in quanto stabilito illegalmente in sua assenza, e si preparò a dare battaglia ai Galli.<ref>Tito Livio, ''Ab Urbe Condita'', V, 4, 49.</ref>
{{Citazione|Non con l'oro si difende l'onore della patria, bensì col ferro delle armi!||Non auro, sed ferro, recuperanda est patria!|lingua=la}}