Meridionalismo: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Pil56-bot (discussione | contributi)
m smistamento lavoro sporco e fix vari
Riga 4:
 
== Impostazione metodologica ==
Grazie all'apporto di studiosi e politici<ref name="treccani"/>, quali [[Giustino Fortunato]], [[Sidney Sonnino]], [[Leopoldo Franchetti]], [[Antonio Gramsci]] e [[Francesco Saverio Nitti]]<ref name="musella37">{{Cita|Luigi Musella|p. 37}}.</ref>, si è sviluppata un'ampia ed eterogenea letteratura<ref>{{Cita|Luigi Musella|p. 43}}.</ref>, ancora dotata di una notevole vitalità, concernente il Meridionalismo.
 
L'analisi si è spesso orientata allo studio delle condizioni del Mezzogiorno prima dell'annessione al nascente [[Regno d'Italia (1861-1946)|Regno d'Italia]]. Tali condizioni erano percepite generalmente come retrograde e, secondo Richard Drake «i meridionalisti erano scrittori accomunati dall'interesse a riformare le condizioni retrograde del meridione d'Italia. {{chiarire|Le origini del movimento risalgono alla metà del XVIII secolo|chi sarebbero secondo il Drake i meridionalisti del '700? O quali sarebbero i loro studi?}}»<ref>{{Cita news |autore= Richard Drake |titolo= Apostoli del meridionalismo |pubblicazione = Nuova Storia Contemporanea |mese = gennaio-febbraio |anno = 2011}}</ref>. Pertanto, lo stato di arretratezza delle [[Due Sicilie]] sarebbe stato preesistente alla perdita dell'[[indipendenza]]<ref>{{Cita|Luigi Musella|pag. 38}}</ref> e la mancata integrazione del Meridione nella struttura economica del nuovo stato sarebbe dovuta anche a fattori di carattere sociale<ref>{{Cita|Luigi Musella|pag. 77}}</ref>. A grandi linee, sono ascrivibili a questo tipo di approccio molti rappresentanti del meridionalismo di ispirazione liberale e positivista (come [[Pasquale Villari]], Giustino Fortunato, Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino), di quello di matrice liberal-socialista (come [[Gaetano Salvemini]]) e marxista (fra cui Antonio Gramsci ed [[Emilio Sereni]]) e di quello cattolico (come [[Luigi Sturzo]]).
 
Ognuno di essi, però, propose peculiari interpretazioni e sviluppò diverse rappresentazioni di origini e cause delle problematiche del Mezzogiorno e ciò, in particolare, nel descrivere il mancato sviluppo economico del Sud a dispetto di quello avutosi nell'Italia centro-settentrionale.
 
Una posizione a sé stante fu quella assunta da Francesco Saverio Nitti (e da alcuni scrittori napoletani, fra cui [[Ferdinando Russo]]), che, pur denunciando il basso profilo culturale della classe dirigente del Meridione preunitario, mise ripetutamente in evidenza i progressi economici che il Mezzogiorno borbonico aveva sperimentato prima di entrare a far parte del nascente Regno d'Italia.
 
Opinione diffusa tra la grande maggioranza dei meridionalisti e condivisa anche da una parte rilevante degli storici, economisti e intellettuali contemporanei è che l'inadeguatezza (o, per alcuni, il completo fallimento) della politica governativa della nuova Italia e delle sue classi dirigenti nei confronti del Mezzogiorno, abbia in vario modo impedito, compromesso o rallentato uno sviluppo organico del Meridione sotto il profilo sia economico, sia sociale. Generalmente condivisa dai meridionalisti e da molti storici ed economisti è anche l'opinione secondo la quale la politica dello Stato italiano nel Sud del paese sia stata sempre fortemente condizionata dalle istanze di una serie di gruppi d'interesse (fra cui quelli dei [[latifondo|proprietari terrieri]], della finanza nazionale e internazionale e della grande industria settentrionale) e dalle varie forme di consociativismo fra i centri del potere nazionale e le oligarchie locali, che spesso hanno assunto chiare connotazioni di illegalità<ref>Fra i primi a muovere denunce in proposito vi fu Salvemini che, agli inizi del [[XX secolo|Novecento]], scriveva: «Il ministero Giolitti-Zanardelli nell'Italia meridionale non ha cambiato in nulla i vecchi metodi di tutti i governi bisognosi di manipolarsi pur che sia una maggioranza parlamentare: nei collegi dei deputati ministeriali, difesa energica e sfacciata delle camorre amministrative ministeriali; nei collegi dei deputati risolutamente antiministeriali, alleanza colle camorre amministrative opposte travestite da partito liberale; nei collegi dei deputati incerti – e sono i più – minacce per obbligarli a imbrancarsi nella maggioranza [...]» Da: {{Cita news |autore= [[Gaetano Salvemini]] |titolo = Nord e Sud nel Partito socialista italiano |pubblicazione = [[Critica Sociale]] |giorno = 16 |mese = dicembre |anno = 1902}}</ref>
Riga 25:
=== Dall'Unità d'Italia alla seconda guerra mondiale ===
[[File:Giustino Fortunato.jpg|thumb|upright=0.7|Giustino Fortunato]]
* [[Giustino Fortunato]] deputato, poi senatore del [[Regno d'Italia]] fu, con Pasquale Villari, il primo fra i grandi meridionalisti propriamente detti. Lucano di origine e convinto sostenitore dello stato unitario, non mancò di evidenziare come l'Unità d'Italia fosse stata la rovina economica del Mezzogiorno: «...L'unità d'Italia è stata e sarà - ne ho fede invitta - la nostra redenzione morale. Ma è stata, purtroppo, la nostra rovina economica. Noi eravamo, il 1860, in floridissime condizioni per un risveglio economico, sano e profittevole. L'unità ci ha perduti. E come se questo non bastasse, è provato, contrariamente all'opinione di tutti, che lo Stato italiano profonde i suoi benefici finanziari nelle province settentrionali in misura ben maggiore che nelle meridionali.<ref>{{cita|Carteggio 1865-1911 |pp. 64-65}}.</ref> In altre occasioni l'intellettuale e uomo politico lucano si espresse tuttavia in termini ben diversi: «...io credo che il problema sociale delle Isole come in tutto il Mezzogiorno è "il problema della miseria"...sono regioni in grandissima parte non così naturalmente fertili, come si immagina, per condizioni difficilissime di clima e suolo, né suscettibili di altra produzione al di fuori di quella agricola...»<ref> Da Giustino Fortunato, ''Le Regioni'', 1896, in {{cita |Rosario Villari|pp. 245-246}}.</ref> tanto che [[Gaetano Salvemini]] poté affermare che Fortunato era «[...] assai pessimista sulla capacità dei meridionali a sollevarsi con le loro forze dal baratro cui erano stati messi dalla natura nemica e dalle sventure della loro storia [...] e aspettava dal Nord la salvezza»<ref>Sono parole tratte dagli ''Scritti'' di [[Gaetano Salvemini]] e cit. da: Antonio Gramsci, ''Quaderno 19, Risorgimento Italiano'', Torino, Einaudi, 1977 (con introduzione e note di [[Corrado Vivanti]]), p. 175 (nota)</ref>. Con Fortunato nasce anche la nozione di "''dualismo territoriale''", ovvero di un dualismo Nord-Sud iscritto «oltre che nella storia, nella geografia del Paese»<ref>{{cita|Salvatore Cafiero|p. 26}}.</ref>. Secondo lo storico e uomo politico lucano, infatti, le peculiarità geografiche della penisola si tradurrebbero in un ambiente fisico eterogeneo che, avente quale confine naturale il [[Tevere]], spacca in due aree ben distinte la penisola. Tali differenti caratteristiche avrebbero influenzato e contraddistinto anche l'evoluzione storica di queste due porzioni d'Italia, tanto da spingere il Fortunato a domandarsi: «Perché oggi ancora, e tanto è così vivo in ogni ordine della civile comunanza tra noi e i nostri fratelli: e in tutto, oggi ancora, sussistono le ''due Italie'', che una minoranza "lirica e tragica", non la decantata virtù di popolo, risuscitò dalle ceneri, imponendo a noi l'obbligo di ricostruirle e di rappaciarle?»<ref>{{cita|Il Mezzogiorno e lo Stato italiano|pp. 539-541}}.</ref>
[[File:Francesco-Saverio-Nitti1.jpg|thumb|upright=0.7|Francesco Saverio Nitti]]
* [[Francesco Saverio Nitti]], economista, personaggio politico di primo piano (fu più volte ministro e presidente del consiglio tra il 1919 e 1920) e autore di opere di economia e finanza a livello internazionale, rifiutò l'approccio di una povertà secolare del Sud, come intendeva Fortunato, osservando come esistesse un minimo divario tra il Settentrione e Meridione prima dell'unità nazionale.<ref>{{cita|La ricchezza dell'Italia|p. 56}}.</ref> Nitti sostenne che il [[Regno delle Due Sicilie]], benché il più retrivo della penisola,<ref>{{cita|L'Italia all'alba del secolo XX|p. 117}}</ref> non era in una condizione esageratamente stagnante poiché vi era «uno stato di grossolana prosperità, che rendeva la vita del popolo meno tormentosa di ora»<ref>{{cita|L'Italia all'alba del secolo XX|p. 118}}.</ref> e la finanza borbonica, anche se di stampo paternalista, era da lui considerata «onesta».<ref>{{cita|L'Italia all'alba del secolo XX|p. 112}}.</ref> Dopo l'estinzione dello Stato di appartenenza ([[1860]]), il Sud sarebbe entrato in crisi per aver dato all'Italia, in termini di risorse umane e materiali, molto più del Nord ed aver ricevuto molto meno. Il Meridione, inoltre, aveva «...visto seguire in politica, in dogana, in finanza, in amministrazione, l'indirizzo più opposto ai suoi interessi...»<ref>{{cita|Nord e Sud}} citato in: {{cita |Rosario Villari |p. 277}}.</ref>. Di diverso segno fu invece il giudizio dello statista sulla inadeguatezza culturale del Mezzogiorno preunitario e sulla bassa morale pubblica della sua popolazione (ma non privata, soprattutto familiare, considerata da Nitti ben più elevata): «L'Italia meridionale, unitasi incondizionatamente, era a un livello intellettuale molto più basso della Toscana e di tutte le regioni dell'Italia settentrionale. A causa di un dominio secolare si notava allora, si nota tutt'oggi, un grande contrasto fra la morale pubblica e la morale privata....la prima era, e chi può negare che spesso sia, molto scadente»<ref>{{cita |Rosario Villari|p. 276}}</ref>. Secondo Nitti, la responsabilità della difficile crescita del sud, non era dovuta solo alle politiche che privilegiarono il nord ma al meridione stesso, poiché «fatte alcune nobili eccezioni, la rappresentanza del Mezzogiorno vale assai poco»<ref>{{cita|L'Italia all'alba del secolo XX|p. 120}}.</ref> e «i meridionali hanno spesso qualità dissociali o antisociali: poco spirito di unione e di solidarietà, tendenza a ingrandire le cose o addirittura a celarle, per amore di falsa grandezza; per poco spirito di verità.»;<ref>{{cita|L'Italia all'alba del secolo XX|p. 130}}.</ref> poiché «la questione meridionale è una questione economica, ma è anche una questione di educazione e di morale.».<ref>{{cita|L'Italia all'alba del secolo XX|p. 131}}.</ref> Tuttavia dopo il 1860 il Meridione, sotto alcuni aspetti, era progredito, infatti «...le province si sono aperte alla civiltà, la coscienza generale si è elevata, il popolo soprattutto è più libero e ha sentito la possibilità di una vita migliore.»<ref>{{cita |Rosario Villari|p. 278}}</ref>. Sotto il profilo economico, il nodo centrale da sciogliere per assicurare al Sud un adeguato sviluppo era, per Nitti, quello dell'industrializzazione, che avrebbe dovuto partire da Napoli per poi espandersi in tutto il Mezzogiorno. L'economista lucano riuscì a conferire a tale problema un interesse nazionale e a far approvare dal Governo Giolitti una legge speciale per Napoli, che egli stesso contribuì a redigere in massima parte ([[1904]]).
[[File:Gaetano Salvemini.jpg|thumb|upright=0.7|Gaetano Salvemini]]
* [[Gaetano Salvemini]], storico, politico e docente di fama internazionale (insegnò anche all'[[Università di Harvard]]), ebbe modo, grazie anche alla lunga traiettoria umana e professionale, di entrare in rapporti con molti fra i più influenti esponenti del meridionalismo fra gli [[anni 1890|anni novanta]] dell'Ottocento fino al secondo dopoguerra: da [[Giustino Fortunato|Fortunato]] a [[Luigi Sturzo|Sturzo]], da [[Pasquale Villari|Villari]] a [[Manlio Rossi Doria|Rossi Doria]], passando per [[Francesco Saverio Nitti|Nitti]], [[Antonio Labriola|Labriola]], [[Antonio Gramsci|Gramsci]], [[Giuseppe Di Vittorio|Di Vittorio]] ed altri. Di orientamento socialista, fu influenzato dal [[positivismo]] e aperto al [[liberalismo]] democratico. Fu ammiratore di [[Giuseppe Mazzini|Mazzini]] e ancor più di [[Carlo Cattaneo (patriota)|Cattaneo]], da cui desunse alcune delle dottrine federaliste che animarono la sua attività intellettuale e politica a favore delle classi lavoratrici e in particolare di quelle del [[Mezzogiorno (Italia)|Mezzogiorno]], che sempre strenuamente difese, non lesinando aspre critiche al suo stesso partito per il disinteresse spesso mostrato nei loro confronti. Per Salvemini il riscatto sociale ed economico delle masse rurali meridionali doveva necessariamente passare per una trasformazione, in senso federale, dello Stato italiano. Il centralismo aveva infatti causato danni enormi all'Italia e in particolare al Mezzogiorno, con la sua politica estera dissennata e l'adozione di un sistema tributario selvaggio, che opprimeva «tutte quelle classi che non prendono parte al mercimonio fra potere esecutivo e maggioranze parlamentari». Per Salvemini lo stato borghese e centralistico, fondato sull'alleanza fra il capitalismo settentrionale, sfruttatore il Mezzogiorno, e la grande proprietà terriera meridionale, frenava l'ascesa sociale ed economica delle classi lavoratrici dell'intera nazione. Tuttavia mentre gli operai del Nord avevano un partito che ne difendeva gli interessi (il [[Partito Socialista Italiano]]), le popolazioni del Sud, che in massima parte traevano dalla terra il proprio sostentamento ed erano scarsamente alfabetizzate e politicizzate, si trovavano in balia dei [[Latifondo|latifondisti]] locali. Costoro avevano nella piccola borghesia meridionale una preziosa alleata, che, per interesse, li appoggiava e ne garantiva il predominio attraverso i perversi meccanismi del suffragio ristretto, che escludeva, in pratica, dal voto, le classi più povere (e ciò spiega la lunga battaglia sostenuta da Salvemini per il suffragio universale che avrebbe finalmente assicurato a queste ultime una presenza politica). La piccola borghesia del Sud, oziosa e volgare, suscitava in Salvemini un genuino disprezzo,<ref> Scriveva Salvemini riferendosi ai piccoli borghesi meridionali: «...andate un pomeriggio d'estate in uno di quei circoli di civili, in cui si raccoglie il fior fiore della poltroneria paesana; ascoltate per qualche ora conversare quella gente corpulenta, dagli occhi spenti, dalla voce fessa, mezzo sbracata, grossolana e volgare nelle parole e negli atti, badate alle scempiaggini, ai non sensi, alle irrealtà di cui sono infarciti i discorsi...» Cit. da {{cita| Scritti sulla Questione Meridionale|p. 415}}.</ref> soprattutto se paragonata alla sobrietà, laboriosità e dignità dei contadini meridionali. Ancora nel [[1952]] Salvemini segnalava le gravi responsabilità che tale classe aveva avuto, e continuava ad avere, nel mancato sviluppo del Mezzogiorno, ma «...di questa responsabilità i borghesi meridionali amano rimanere ignoranti. Trovano comodo prendersela con i settentrionali. Ebbene, quella responsabilità noi meridionali dobbiamo metterla in luce, sempre. Bisogna impedire che i meridionali dimentichino se stessi per non far altro che sbraitare contro i settentrionali.»<ref>Cit. da {{cita|Movimento socialista e questione meridionale|p. 647}}.</ref>. In sintesi, solo l'adozione del federalismo da parte dello Stato centralizzato e la diffusione delle idee socialiste e democratiche (con tutte le conquiste politiche, sociali ed economiche ad esso legate) avrebbero potuto, secondo lo storico e politico pugliese, risolvere la questione meridionale e garantire all'Italia uno sviluppo organico di tutte le sue parti. Centro propulsore della lotta nazionale per il trionfo della democrazia sulle forze conservatrici, doveva essere, per Salvemini, la città di [[Milano]]<ref>{{cita |Rosario Villari|p. 395}}</ref>
[[File:Gramsci.png|thumb|upright=0.7|Antonio Gramsci]]
* [[Antonio Gramsci]], scrittore e uomo politico sardo, fu tra le menti più alte del marxismo italiano ed europeo fra le due guerre mondiali. Per Gramsci il problema del Meridione era insolubile all'interno del sistema politico che si era imposto in Italia fin dall'indomani dell'Unità e che si sarebbe perpetrato nel fascismo, braccio armato della reazione borghese nel primo dopoguerra. Tale sistema, che fondava la propria forza nell'alleanza fra il capitalismo industriale e la grande proprietà terriera, come aveva già messo in luce [[Gaetano Salvemini]], impoveriva le classi lavoratrici della nazione e frenava lo sviluppo del Meridione. «...L'accordo industriale-agrario...», scriveva Gramsci (e [[Palmiro Togliatti|Togliatti]]) nel [[1926]] «...si basa su una solidarietà di interessi tra alcuni gruppi privilegiati a scapito degli interessi generali della produzione e della maggioranza di chi lavora...I risultati di questa politica sono infatti il deficit del bilancio economico, l'arresto dello sviluppo economico di intiere regioni (Mezzogiorno, Isole)...la miseria crescente della popolazione lavoratrice, l'esistenza di una continua corrente di emigrazione e il conseguente impoverimento demografico». In particolare, il "compromesso" raggiunto fra le classi egemoni del Paese «...dà alle popolazioni lavoratrici del Mezzogiorno una posizione analoga a quelle coloniali...i grandi proprietari di terre e la stessa borghesia meridionale si pongono invece nelle categorie che nelle colonie si alleano alla metropoli per mantenere soggetta la massa del popolo che lavora.»<ref> Questa citazione e la precedente sono tratte dalle ''Tesi'' redatte interamente da Antonio Gramsci e [[Palmiro Togliatti]] e approvate al terzo congresso del Partito Comunista italiano che ebbe luogo a [[Lione]] nel mese di gennaio del 1926. Tali ''tesi'' sono riportate in: {{cita|La Costruzione|p. 490 e seg.}}</ref>. Per Gramsci sarebbe stato impossibile il riscatto del Mezzogiorno italiano senza la maturazione dei ceti urbani meridionali e la loro trasformazione in classe dirigente<ref>{{cita|Barbagallo|p. 42}}.</ref>. Il marxista Antonio Gramsci attribuiva il manifestarsi della Questione meridionale principalmente ai molti secoli di diversa storia dell’Italia meridionale, rispetto alla storia dell’Italia settentrionale, come il Gramsci stesso evidenzia nella sua opera “La questione meridionale - Il Mezzogiorno e la guerra 1, pag. 5), indicando l’esistenza, già nel 1860, di una profonda differenza socio-economica tra il Nord-centro e Sud della penisola italiana, evidenziando anche le gravi carenze delle precedenti amministrazioni spagnola e borbonica. <ref>[https://archive.org/stream/AntonioGramsciLaQuestioneMeridionale/Antonio%20Gramsci%20-%20La%20questione%20meridionale#page/n3/mode/2up La questione meridionale di Antonio Gramsci - Il Mezzogiorno e la guerra 1 – Progetto Manuzio - www.liberliber.it – tratto da: La questione meridionale, Antonio Gramsci; a cura di Franco De Felice e Valentino Parlato. - Roma: Editori Riuniti, 1966. - 159 p.; (Le Idee; 5)]</ref> {{citazione|''La nuova Italia aveva trovato in condizioni assolutamente antitetiche i due tronconi della penisola, meridionale e settentrionale, che si riunivano dopo più di mille anni.
''L'invasione longobarda aveva spezzato definitivamente l'unità creata da Roma, e nel Settentrione i Comuni avevano dato un impulso speciale alla storia, mentre nel Mezzogiorno il regno degli Svevi, degli Angiò, di Spagna e dei Borboni ne avevano dato un altro.''<BR>
''Da una parte la tradizione di una certa autonomia aveva creato una borghesia audace e piena di iniziative, ed esisteva una organizzazione economica simile a quella degli altri Stati d'Europa, propizia allo svolgersi ulteriore del capitalismo e dell'industria.''<BR>
Riga 44:
* [[Nicola Zitara]] ha descritto l'Unità d'Italia come un'operazione di [[colonialismo]]<ref>{{cita|Nicola Zitara|p. 122}}.</ref>, prima, militare (la [[legge Pica]] e la campagna militare contro il [[brigantaggio postunitario|brigantaggio]]) e, successivamente, economico e commerciale.
 
* [[Edward C. Banfield ]] ([[1916]] - [[1999]]), sostiene che l’arretratezza del meridione sarebbe dovuta al cosiddetto [[familismo amorale]], un tipo di società basata su una concezione estremizzata dei legami familiari, che va a danno della capacità di associarsi e dell'interesse collettivo, spiegata nel suo libro '' The Moral Basis of a Backward Society'' del 1958 (trad. it.: '' Le basi morali di una società arretrata'', Ed. Simon & Shuster 1976).<ref>{{cita libro|nome=Edward C.|cognome=Banfield|titolo=The moral basis of a backward society|anno=1967|editore=Simon & Shuster| |pp=17-18}}</ref>
 
* [[Luciano Cafagna]], acuto e brillante tra gli storici dell'economia, illustra con chiarezza alcune delle ragioni che portano a ritenere infondata la tesi di uno sviluppo economico dell'Italia settentrionale a spese dell'Italia meridionale.<ref>[http://www.150anni.it/webi/_file/documenti/risorgimento/italiaprimaedopounita/problemamezzogiorno/DivarioPartenza/Divpartenzadoc3.pdf Luciano Cafagna, Dualismo e sviluppo nella storia d'Italia, Venezia, Marsilio, 1989, pp. 190-193, 206-212. ]</ref>
 
 
=== Altri autori meridionalisti ===
Line 82 ⟶ 81:
 
== Soluzioni proposte ==
Le soluzioni ai problemi del [[Mezzogiorno (Italia)|Mezzogiorno]] furono molto varie, essendo tale indirizzo di studi composto da studiosi di diversa formazione e appartenenza politica. Tra questi [[Napoleone Colajanni (1847)|Napoleone Colajanni]], appartenente al [[positivismo]] e convinto [[democrazia|democratico]], fu un sostenitore del [[protezionismo]] dell'economia meridionale, unico mezzo che avrebbe permesso l'[[industrializzazione]] del territorio<ref name="musella80">{{Cita|Luigi Musella|pp. 80-82}}</ref>.
 
[[Antonio De Viti De Marco]], economista [[liberismo|liberista]] e deputato [[Partito Radicale (Italia)|radicale]], invece criticava l'intero processo di [[industrializzazione]] come soluzione per il gap economico meridionale e suggeriva, piuttosto, lo sviluppo [[agricoltura|agricolo]]<ref name="musella25">{{Cita|Luigi Musella|pag. 25}}</ref>.
Line 131 ⟶ 130:
* {{cita web |cognome= Tosca |nome= Pino |wkautore= Pino Tosca |titolo= Ci paghino i danni di guerra |url= http://www.azioneetradizione.it/dettaglio_risultati.asp?id=804 |accesso= 1º novembre 2010 |editore= Azione e Tradizione |città= Modugno}}
 
{{Portale|Due Sicilie|Economiaeconomia|Politicapolitica|Storiastoria}}
 
[[Categoria:Meridionalismo|*]]