Guerra d'Eritrea: differenze tra le versioni

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Fallita la prospettiva di spingersi in Sudan, il governo italiano puntò ad ampliare i suoi possedimenti puntando all'occupazione dell'altopiano occidentale eritreo, allora formalmente parte dell'[[Impero d'Etiopia]]. L'impero etiope era ancora basato su una struttura [[Feudalesimo|feudale]]: i vari sovrani locali (i ''[[Ras (titolo)|ras]]'') erano sottomessi solo formalmente all'imperatore (''[[Negus|Negus Neghesti]]'', cioè ''Re dei Re''), dovendo a lui solo un tributo annuo e l'appoggio dei propri seguaci in caso di guerra, mentre per il resto erano praticamente autonomi. Il negus [[Giovanni IV d'Etiopia]] non aveva reagito all'occupazione di Massaua, ma in seguito avanzò forti proteste quando gli italiani occuparono i villaggi di Saati e Uaà, posti in un'area nominalmente sotto sovranità egiziana ma lasciati da tempo al controllo etiope.
 
Inizialmente Robilant avviò contatti diplomatici con il negus, ma in seguito, fallite queste trattative, decise di intraprendere una soluzione militare alla questione, definendo sprezzantemente le truppe del negus ''"quattro predoni"''<ref>In un discorso alla [[Camera dei deputati]] il 24 gennaio [[1887]], circa alcune incursioni etiopi ai confini della colonia disse ''«... e non conviene certamente attaccare tanta importanza a quattro predoni che possiamo avere tra i piedi in Africa».'' Indro Montanelli, op. cit., pag. 203</ref>. Il 25 gennaio [[1887]], un'armata etiope forte di 10.000 uomini al comando del ras [[Alula Engida]], fedelissimo del negus, [[Assedio di Saati|attaccò il piccolo presidio italiano di Saati]], venendo però respinta dopo quattro ore di duri combattimenti; a corto di munizioni, il comandante del presidio, maggiore Boretti, richiese lal generale [[Carlo Genè]] l'invio di rinforzi e rifornimenti. La mattina del 26 gennaio [[1887]] una colonna di truppe italiane al comando del tenente colonnello [[Tommaso De Cristoforis]] mosse da [[Moncullo]] per portare i rifornimenti a Saati, ma cadde in un'imboscata degli uomini di Alula Engida [[Battaglia di Dogali|nei pressi di Dogali]], venendo completamente distrutta con la perdita di 430 uomini<ref>Emilio Bellavita, ''La battaglia di Adua'', Gherardo Casini Editore, 1930, ISBN 9788864100265, pagina 46</ref>; il presidio di Saati venne ritirato poco dopo e il villaggio abbandonato nelle mani degli etiopi. La sconfitta della colonna italiana provocò una serie di proteste di piazza contro la politica coloniale del governo, obbligando Robilant alle dimissioni e il presidente del consiglio [[Agostino Depretis]] a un rimpasto di governo.
 
Il successore di Depretis, [[Francesco Crispi]], seppur anch'egli critico verso questa campagna coloniale, decise di continuare le operazioni, inviando in Eritrea un corpo di spedizione forte di 20.000 uomini al comando del [[generale]] [[Alessandro Asinari di San Marzano]]; il corpo di spedizione giunse in Eritrea a partire dall'ottobre del [[1887]], ma rimase per diversi mesi nei suoi acquartieramenti di Massaua, in attesa dell'esito di una missione diplomatica britannica inviata presso il negus per riportare la pace tra Italia ed Etiopia. Fallite le trattative, il 1º febbraio [[1888]] San Marzano mosse le sue truppe e rioccupò Saati, fortificandolo pesantemente. Nel marzo dello stesso anno, il negus mosse con un grosso esercito verso Saati, attestandosi a poca distanza dalle posizioni italiane; i due eserciti si fronteggiarono dalle rispettive posizioni, fino a che, nell'aprile seguente l'esercito del negus, falcidiato dalle malattie, non decise di ritirarsi, senza essere inseguito dagli italiani. Di lì a poco, anche lo stesso San Marzano venne richiamato in patria insieme a gran parte del corpo di spedizione, lasciando il comando della colonia al generale [[Antonio Baldissera]].