Socii e foederati: differenze tra le versioni

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Sfruttando l'irruzione in [[Rezia (provincia romana)|Rezia]] e [[Norico (provincia romana)|Norico]] dei [[Vandali]] e di altri barbari, Alarico [[Guerra gotica (402-403)|invase l'Italia]], probabilmente nel novembre 401. Determinato a non ritornare in Illiria, ma ad ottenere un insediamento per il suo popolo (i [[Visigoti]]) sul suolo italico, portò con sé tutto il suo popolo e le spoglie ottenute dai saccheggi in Oriente. Occupate le Venezie, Alarico diresse il suo esercito in direzione di [[Milano romana|Milano]], capitale dell'[[Impero romano d'Occidente]], con l'intento di espugnarla. Fu però sconfitto a Stilicone a [[Battaglia di Pollenzo|Pollenzo]] e a [[Battaglia di Verona (403)|Verona]] e spinto al ritiro. Stilicone aveva spinto Alarico al ritiro accettando di assoldare le sue truppe come ''foederati'': concesse loro di occupare terre in Dalmazia e in Pannonia, e garantì ad Alarico il titolo di governatore militare dell'Illirico occidentale. Stilicone intendeva ora impiegare Alarico come alleato contro l'Impero d'Oriente.
 
In vista della progettata campagna contro l'Impero d'Oriente, Stilicone rifiutò di riconoscere il console romano-orientale per l'anno 405 e vietò alle navi romano-orientali l'accesso ai porti romano-occidentali; al contempo, si mise in contatto con Alarico, ordinandogli di invadere l'[[Epiro (provincia romana)|Epiro]], all'epoca sotto la giurisdizione di Costantinopoli, e attendere in quella provincia l'arrivo delle truppe di Stilicone. Le intenzioni di Stilicone erano evidentemente di costringere Arcadio a restituire all'Occidente romano l'Illirico orientale per poi concedere ad Alarico il governo militare delle province conquistate, con la carica di ''magister militum per Illyricum''. Proprio in vista dell'auspicato ritorno dell'Illirico orientale sotto la giurisdizione della parte occidentale, Stilicone aveva già eletto il prefetto del pretorio dell'Illirico, [[Giovio]], ancora prima che le operazioni cominciassero effettivamente. L'invasione dell'Italia da parte di [[Radagaiso]], [[Battaglia di Fiesole (405)|avvenuta nel corso del 405-406]], e l'invasione della Gallia del 406-407 (sia [[Attraversamento del Reno|da parte]] di [[Vandali]], [[Alani]] e [[Suebi]], che da parte delle truppe ribelli sotto il comando dell'usurpatore [[Costantino III (usurpatore)|Costantino III]]), trattennero Stilicone dal raggiungere Alarico in Epiro, e alla fine la spedizione fu annullata.
 
[[Alarico]], contrariato per l'annullamento della spedizione senza che avesse ricevuto alcuna ricompensa o almeno un rimborso spese per il mantenimento delle sue truppe per tutto il tempo che era rimasto in Epiro in attesa di [[Stilicone]], decise di marciare in [[Norico (provincia romana)|Norico]], da dove minacciò un attacco all'Italia nel caso il governo di [[Onorio (imperatore romano)|Onorio]] non gli avesse pagato 4.000 libbre d'oro, da intendersi come rimborso spese per tutto il tempo in cui i Visigoti avevano occupato per conto dell'Impero d'Occidente l'Epiro, e avevano atteso lì Stilicone, senza ricevere né stipendi, né compensi di altra forma per i servigi che stavano prestando in favore di Stilicone.<ref name=ZosV29>Zosimo, V,29.</ref> Il [[senato romano|senato]] si riunì e sembrava preferire la guerra al pagamento degli arretrati alle truppe mercenarie gotiche comandate da Alarico, quando intervenne Stilicone che spiegò che Alarico era intervenuto in Epiro per assistere l'Impero d'Occidente nel tentativo di recuperare l'Illirico orientale e che la spedizione avrebbe avuto successo se Onorio non avesse annullato la spedizione persuaso in ciò da [[Serena (principessa romana)|Serena]], moglie di Stilicone, che mirava, contrariamente ai piani del marito, alla concordia tra le due parti dell'Impero; Stilicone concluse il discorso asserendo che Alarico rivendicava a ragione il pagamento proprio per i servigi resi all'Impero d'Occidente nell'Illirico.<ref name=ZosV29/> Il senato, di fronte alla superiore autorità di Stilicone, fu persuaso a malavoglia ad accettare di versare il tributo ad Alarico, ma non tutti si sottomisero: un senatore di nome [[Lampadio (praefectus urbi)|Lampadio]] affermò audacemente che il pagamento ad Alarico non era "una pace ma un trattato di servitù", per poi rifugiarsi in chiesa timoroso delle insidie di Stilicone.<ref name=ZosV29/>
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[[Stilicone]], a questo punto, intendeva utilizzare i ''[[foederati]]'' goti di [[Alarico]] per recuperare il controllo della [[Gallia]], in quel momento in mano dell'usurpatore [[Costantino III (usurpatore)|Costantino III]], nonché [[Attraversamento del Reno|devastata]] da [[Vandali]], [[Alani]] e [[Suebi]].<ref name=ZosV31>Zosimo, V,31.</ref> A tal fine, in un incontro avvenuto a Bologna con [[Onorio (imperatore romano)|Onorio]], ricevette dall'Imperatore una lettera da consegnare ad Alarico, in cui gli veniva affidato il compito di combattere, al servizio di Onorio, l'usurpatore gallico Costantino III, nonché Vandali, Alani e Svevi.<ref name=ZosV31/> Stilicone rassicurò Onorio che lui stesso si sarebbe recato a [[Costantinopoli]] per mettere al sicuro la successione di [[Teodosio II]], succeduto da poco tempo ad [[Arcadio]].<ref name=ZosV31/> Dopo che Onorio partì alla volta di Pavia, Stilicone esitò a partire per Costantinopoli.<ref name=ZosV32>Zosimo, V,32.</ref> Nel frattempo, la fazione della corte di Onorio contraria alla politica filogotica e antibizantina di Stilicone, capeggiata dal cortigiano [[Olimpio (magister officiorum)|Olimpio]], decise di passare all'azione per provocare la rovina di Stilicone.<ref name=ZosV32/> Olimpio intendeva provocare una rivolta dell'[[esercito romano]] radunato a Pavia in vista della prevista campagna in Gallia contro l'usurpatore Costantino III: il cortigiano intrigante insinuò di fronte all'Imperatore e alle truppe che Stilicone fosse la causa di tutte le calamità che stavano flagellando l'Impero.<ref name=ZosV32/> Lo accusò di stare brigando con Alarico, di aver sobillato i Vandali, gli Alani e gli Svevi a invadere la Gallia e di avere intenzione di recarsi a Costantinopoli per detronizzare Teodosio II e porre al suo posto sul trono romano-orientale suo figlio [[Eucherio (figlio di Stilicone)|Eucherio]]; inoltre, insinuò che, ben presto, avrebbe sfruttato l'indebolimento dell'Impero per detronizzare Onorio stesso e divenire così il padrone assoluto di entrambe le parti dell'Impero.<ref name=ZosV32/> L'esercito di Pavia, sobillato da Olimpio, si rivoltò, mettendo a sacco la città e giustiziando i principali sostenitori di Stilicone.<ref name=ZosV32/> Onorio, convinto da Olimpio della fondatezza delle accuse di tradimento che pendevano su Stilicone, ordinò alle truppe di Ravenna di catturarlo e giustiziarlo.<ref name=ZosV34>Zosimo, V,34.</ref> Stilicone fu giustiziato il 23 agosto del 408 per opera di [[Eracliano (usurpatore)|Eracliano]].<ref name=ZosV34/>
 
In seguito all'esecuzione di [[Stilicone]], tutti i partigiani, sostenitori e parenti di Stilicone finirono per essere trascinati nella sua rovina.<ref name=ZosV35>Zosimo, V,35.</ref> In seguito alla presa di potere da parte di Olimpio, che con la nomina a ''[[magister officiorum]]'' era da poco diventato il primo ministro di Onorio, assunse il controllo dello Stato la fazione antibarbarica contraria all'imbarbarimento dell'esercito e alla negoziazione con Alarico: ciò, tuttavia, provocò effetti deleteri per l'Impero, con un indebolimento dell'esercito.<ref name=ZosV35/> Il massacro delle famiglie dei guerrieri mercenari assoldati da Stilicone, attuato dai soldati romani forse sobillati da Olimpio, non fece altro che spingere i suddetti mercenari a disertare e aggregarsi all'esercito di Alarico, chiedendo al re visigoto di vendicare il massacro delle loro famiglie dovuto all'infidia e all'ingratitudine dei Romani.<ref name=ZosV35/> Alarico ebbe così il pretesto per invadere di nuovo l'Italia al fine di ottenere condizioni sempre più favorevoli per i suoi guerrieri mercenari ricattando il governo di Ravenna: Alarico rivendicava in particolare un insediamento permanente all'interno dell'Impero per i suoi guerrieri mercenari e per le famiglie al loro seguito. Prima di invadere la penisola, decise però di tentare di ottenere per via diplomatica ciò che bramava prima di essere costretto ad impugnare le armi per ottenerlo con la forza.<ref name=ZosV36>Zosimo, V,36.</ref> Visto ogni tentativo diplomatico fallire, Alarico decise di invadere l'Italia senza nemmeno attendere l'arrivo delle truppe gotiche provenienti dalla Pannonia e alla testa del cognato [[Ataulfo]].<ref name=ZosV36/> Nonostante l'invasione fosse ormai immanente, Olimpio trascurò ogni tentativo di arginarla congedando dall'esercito un generale di grande talento come [[Saro (generale)|Saro]] semplicemente perché di origini gotiche, mentre al contrario affidò le armate a comandanti inetti del calibro di [[Turpilione]], Varane e Vigilanzio.<ref name=ZosV36/> Il risultato fu che Alarico avanzò senza opposizione fino a Roma, che assediò per diverso tempo senza che l'Urbe ricevesse aiuti di ogni sorta da Ravenna, e levando l'assedio solo dietro versamento di un tributo da parte delle autorità cittadine. Prima di procedere al versamento del tributo, il senato romano inviò un'ambasceria a Onorio, per indurlo a negoziare una pace con Alarico: quest'ultimo pretendeva dallo Stato romano non solo denaro, ma anche la cessione in ostaggio di alcuni figli di persone di illustre rango; in cambio di ciò, i Visigoti di Alarico non avrebbero più guerreggiato lo Stato romano, ma sarebbero passati al suo servizio, divenendo così confederati e alleati dell'esercito romano.<ref name=ZosimoV42>Zosimo, V,42.</ref> Avendo ricevuto l'assenso di Onorio, il senato procedette a versare il tributo ad Alarico.<ref name=ZosimoV42/> Olimpio si oppose però alla prosecuzione delle trattative, con il risultato che Alarico riprese a minacciare Roma, al punto che gli abitanti della Città Eterna non avevano più la libertà di uscire dalle mura.<ref name=ZosimoV45>Zosimo, IV,45.</ref> Il senato romano, messo alle strette da Alarico, decise di inviare una nuova ambasceria presso Onorio, a cui si unirono Papa Innocenzo ed alcuni visigoti inviati da Alarico come scorta per difendere l'ambasceria da eventuali attacchi nemici durante il viaggio.<ref name=ZosimoV45/> Mentre l'ambasceria era dall'Imperatore, a Ravenna giunse la notizia che l'esercito visigoto condotto dal cognato di Alarico, Ataulfo, aveva oltrepassato le [[Alpi Giulie]] invadendo la Penisola; in seguito al fallimento da parte di Olimpio di impedire ad Ataulfo di ricongiungersi con Alarico rinforzando così il suo esercito, gli eunuchi di corte accusarono Olimpio per tutte le calamità che stavano colpendo l'[[Impero romano d'Occidente]], ottenendo la sua destituzione.<ref>Zosimo, V,46.</ref>
 
Il nuovo primo ministro di Onorio, il prefetto del pretorio Giovio, riprese le negoziazioni con Alarico, che ebbero luogo a Rimini.<ref name=ZosimoV48>Zosimo, V,48.</ref> Le richieste di Alarico erano un tributo annuale in oro e in grano, e lo stanziamento dei Visigoti in Norico, Pannonia e nelle Venezie.<ref name=ZosimoV48/> Giovio inviò le richieste di Alarico per iscritto all'Imperatore, suggerendogli inoltre di nominare Alarico ''[[magister militum]]'', nella speranza che ciò sarebbe bastato per convincere Alarico ad accettare la pace a condizioni meno gravose per lo Stato romano.<ref name=ZosimoV48/> Onorio, letta la lettera, rimproverò Giovio per la sua temerarietà, sostenendo che sarebbe stato disposto a versare ad Alarico un tributo annuale, ma che mai e poi mai avrebbe accettato di nominare Alarico ''magister militum''.<ref name=ZosimoV48/> Quando Alarico venne a sapere che Onorio aveva rifiutato di nominarlo ''magister militum'', sentendosi insultato, ruppe ogni trattativa e si diresse di nuovo verso Roma.<ref name=ZosimoV49>Zosimo, V,49.</ref> Durante la sua avanzata verso l'Urbe, però, Alarico cambiò idea, arrestando la sua marcia, e inviando ambasciatori a Ravenna per negoziare una nuova pace a condizioni più moderate delle precedenti: in cambio di un modesto tributo in grano e lo stanziamento dei Visigoti nella poco prospera provincia del Norico, Alarico avrebbe accettato la pace con lo Stato romano.<ref>Zosimo, V,50.</ref> Anche questa volta le richieste di Alarico vennero respinte, e il re dei Visigoti fu dunque costretto ad assediare per la seconda volta Roma (409).<ref name=ZosimoV51>Zosimo, V,51.</ref>
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=== Età bizantina ===
Una ulteriore variazione di significato del termine ''foederati'' avvenne nel VI secolo, in età giustinianea. Ai tempi di [[Giustiniano I|Giustiniano]], i ''foederati'' che servivano nell'esercito romano d'Oriente non erano più bande irregolari di barbari sotto il comando dei loro capi tribali che inviavano contingenti militari in sostegno dell'esercito romano in cambio di denaro o dello stanziamento in un territorio, ma erano diventati parte integrante dell'[[esercito bizantino]]: nelle fonti, sono spesso citati come soldati regolari, ed erano sottoposti al comando di un generale bizantino (''comes foederatum'').

I ''Foederati'', nell'accezione del VI secolo, erano considerate truppe scelte, posti allo stesso piano per diritti delle truppe dell'esercito regolare, e lo ''Strategikon'' attribuito all'Imperatore Maurizio li poneva addirittura al secondo posto per importanza, secondi solo ai ''bucellari''; in più la loro eventuale fede ariana era tollerata ed essi non erano costretti a convertirsi al cristianesimo ortodosso.<ref>{{cita|Ravegnani 2009|p. 44.}}</ref> Le tribù alleate dell'Impero che fornivano ad esso contingenti militari in cambio di denaro o dello stanziamento in un territorio, ovvero i ''foederati'' nell'accezione del IV secolo, avevano cambiato denominazione in ''socii'' o ''symmachoi'', ovvero ''alleati''.<ref>{{cita|Ravegnani 2009|pp. 44-45.}}</ref>

Mentre i ''foederati'' del VI secolo erano diventate truppe affidabili e ben integrate nell'esercito, non era altrettanto vero per i ''symmachoi'' (alleati), spesso accusati dalle fonti di inaffidabilità e di tradimento: [[Procopio di Cesarea]], in particolare, accusa Giustiniano di comprare delle inconcludenti alleanze con queste popolazioni barbariche, spesso controproducenti in quanto le loro sempre più esorbitanti richieste di denaro aumentavano di pari passo con le concessioni ottenute, e spesso a ciò non corrispondeva ad un aumento delle prestazioni.<ref>{{cita|Ravegnani 2009|p. 100.}}</ref> Procopio addirittura narra che gli [[Unni]], dopo aver ricevuto immensi donativi da Giustiniano che pensava così di farseli alleati, avrebbero smaniato di impadronirsi delle ricchezze dell'Impero saccheggiandolo, e avrebbero sobillato altre genti barbare a invaderlo anch'esse, informandoli delle enormi ricchezze dello Stato bizantino. Da ciò sarebbe nato un circolo vizioso di sempre più popolazioni che intendevano impadronirsi delle ricchezze dell'Impero «ricevendo sostanze dall'Imperatore o saccheggiando l'Impero romano o esigendo il riscatto dei prigionieri di guerra e vendendo le tregue». Procopio, nella ''[[Storia segreta]]'', accusa addirittura Giustiniano di impedire ai suoi soldati di attaccare gli incursori barbari mentre si ritiravano con il bottino, in quanto sperava che, non attaccandoli, se li sarebbe fatti alleati; in un'occasione, addirittura, l'Imperatore avrebbe punito dei contadini che avevano osato, contrariamente alle sue disposizioni, autodifendersi dalle incursioni attaccando i barbari e riuscendo a recuperare parte del bottino (che poi, per ordine di Giustiniano, sarebbe stato addirittura restituito ai saccheggiatori dell'Impero).

Non va dimenticato, certo, che in taluni casi (come quello dei [[Ghassanidi]]) queste alleanze con le popolazioni barbariche confinanti potessero rivelarsi addirittura utili allo Stato bizantino, ma nella maggioranza dei casi provocavano più danni che benefici. Talvolta i barbari alleati diventavano ostili all'Impero, violando i trattati e saccheggiando lo stesso territorio imperiale che essi in teoria dovevano concorrere a difendere, e Giustiniano era costretto a lanciare spedizioni punitive contro di essi; altre volte l'Imperatore usava la diplomazia per dividere i nemici, mettendoli uno contro l'altro.
 
== Note ==