Socii e foederati: differenze tra le versioni

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==== Teodosio e i Goti ====
{{vedi anche|Guerra gotica (376-382)}}
Nel [[376]] i Visigoti, scacciati dalle loro sedi dagli attacchi degli [[Unni]], chiesero all'Imperatore [[Valente (imperatore romano)|Valente]] il permesso di stabilirsi sulla riva sud del [[Danubio]] e vennero accettati nell'Impero come ''foederati''. Fino a quel momento, i ''Foederati'' erano esclusivamente ''extra fines'', ovvero continuavano a risiedere al di fuori dei confini dell'Impero, impegnandosi a non invadere l'Impero e anzi aiutarlo contro incursioni di altre popolazioni barbariche, costituendo dunque una prima linea di difesa avanzata.<ref name=Zec129>{{cita|Zecchini|p. 129.}}</ref> I ''foederati'' Saraceni, posti sotto il governo di un filarca, in cambio di approvvigionamenti regolari di annona (''annonae foederaticiae''), contribuivano ad esempio alla difesa del ''limes'' orientale contro i Persiani. I ''Foederati extra fines'' spesso fornivano truppe mercenarie all'Impero per specifiche campagne militari. Fino a quel momento, vi erano stati casi (''deditio'') in cui l'Impero aveva accolto ''intra fines'', cioè all'interno dei confini, delle popolazioni barbariche, insediandoli come contadini non liberi in zone di confine desolate, ma in tal caso i Romani, per precauzione, disperdevano i popoli insediati per ''deditio'' in modo da distruggere la loro coesione e renderli facilmente controllabili.<ref name=Zec129/> Nel caso dei Visigoti ciò non fu fatto: ad essi fu permesso di mantenere la loro coesione tribale all'interno dell'Impero, costituendo così il primo caso di ''Foederati'' ''intra fines'', ovvero ''Foederati'' insediati all'interno dei confini dell'Impero.
 
Due anni dopo i Visigoti, [[Guerra gotica (376-382)|insorti]], sconfissero i Romani nella [[Battaglia di Adrianopoli (378)|Battaglia di Adrianopoli]]. La grave sconfitta subita costrinse l'Impero Romano ad affidarsi maggiormente ai ''foederati''. Teodosio I, il successore di Valente in Oriente, si trovò in notevoli difficoltà quando tentò di ricostituire in tempi brevi un esercito nazionale: le resistenze dei proprietari terrieri a permettere ai propri contadini di svolgere il servizio militare (soprattutto per il timore di perdere manodopera) e la scarsa volontà da parte dei romani stessi a combattere (le leggi romane del tempo lamentano che molti, pur di non essere reclutati, arrivavano persino a mutilarsi le dita della mano) lo costrinsero a fare sempre maggior affidamento sui barbari.<ref>{{cita|Ravegnani 2012|pp. 23-26.}}</ref> [[Zosimo (storico)|Zosimo]] narra infatti che Teodosio I reclutò molti barbari da oltre [[Danubio]] per ricostituire il suo esercito.<ref name=ZosIV30>Zosimo, IV,30.</ref> Alcuni si rivelarono anche fedeli all'Impero, come Modare, grazie a cui, secondo Zosimo, la [[Tracia (diocesi)|Tracia]] poté ritrovare un po' di quiete dopo i saccheggi nemici.<ref>Zosimo, IV,25.</ref> LaTuttavia, secondo il racconto di Zosimo, i nuovi mercenari barbari, che superarono presto in numero le reclute romane, diedero preoccupanti segnali di indisciplina. Dubitando della fedeltà di molti di questi barbarimercenari reclutati da Teodosiobarbari, molti dei quali di origine gotica e quindi connazionali dei barbari che avrebbero dovuto combattere per conto dell'Impero, era però dubbia, e di questo ne era consapevole lo stesso Teodosio, il quale, prudentemente, trasferì parte dei Barbari in [[Egitto (diocesi)|Egitto]], e trasferì le legioni dell'Egitto in Tracia.<ref name=ZosIV30/> LNonostante questa precauzione, l'esercito, riempito di barbari e caduto nel disordine più totale, non poté che perdere un'altra battaglia contro i Goti: probabilmente informati dai loro connazionali che servivano nell'esercito di Teodosio I, i Goti saccheggiatori dei Balcani assalirono l'esercito di Teodosio che stava volgendo verso di loro, infliggendo all'Imperatore una [[Battaglia di Tessalonica|sconfitta nei pressi di Tessalonica]] (estate 380), nella quale Teodosio stesso scampò a stento alla cattura.<ref>; Zosimo, IV,31.</ref>attribuisce L'interventola dellesconfitta truppeal romano-occidentalitradimento inviatedei dall'Imperatoremercenari d'Occidentegoti [[Graziano]]che costrinse però i Goti a ritirarsidefezionarono in Tracia,favore dovedel negoziarononemico unnel trattatocorso didella pace con Teodosio Ibattaglia.<ref>Zosimo, IV,33.</ref> L'Imperatore si era reso conto che non poteva sconfiggere i Goti in battaglia, e dunque dovette firmare una pace di compromesso con essi. I Goti, con il trattato del 3 ottobre 382, divennero ''[[foederati]]'' di Roma: si stanziavano in territorio imperiale, nell'Illirico orientale, sotto il comando dei loro capi e non erano obbligati a versare tasse all'Impero; in cambio si impegnavano a fornire truppe all'esercito romano-orientale in caso di necessità.<ref>{{cita|Heather|p. 232.}}</ref> [[Temistio]], retore di Costantinopoli, in un discorso pronunciato nel gennaio 383 al [[senato bizantino]], cercò di raffigurare come "vittoria romana" il trattato di pace ([[foedus]]) tra l'Impero e i Goti, nonostante ai Goti fossero state concesse condizioni favorevoli senza precedenti. In tale discorso, Temistio argomentò che Teodosio, mostrando come virtù il perdono, invece di vendicarsi dei Goti sterminandoli in battaglia, decise invece di stringere un'alleanza con essi, ripopolando così la Tracia, devastata dalla guerra, di contadini goti al servizio dell'Impero; Temistio concluse il discorso rammentando come i [[Galati]] fossero stati assimilati, con il passare dei secoli, dalla cultura greco-romana ed esprimendo la convinzione che sarebbe accaduto lo stesso con i Goti.<ref>{{cita|Heather|pp. 233-23731.}}</ref>
 
La sconfitta subita convinse Teodosio dell'impossibilità di poter vincere in maniera definitiva i Goti e della necessità di firmare una pace di compromesso con essi. I Goti, con il trattato del 3 ottobre 382, divennero ''[[foederati]]'' di Roma: si insediavano in territorio imperiale, nell'Illirico orientale, sotto il comando dei loro capi e non erano obbligati a versare tasse all'Impero; in cambio si impegnavano a fornire truppe all'esercito romano-orientale in caso di necessità.<ref>{{cita|Heather|pp. 230-232.}}</ref> I ''foederati'' Goti non furono integrati nell'esercito regolare, ma servivano in bande irregolari sotto il comando dei loro capi tribali (e non sotto ''praepositi'' romani, come nel caso dei ''[[laeti]]'') solo in occasione di specifiche campagne militari, venendo congedati dall'esercito al termine di esse.<ref>{{cita|Rocco|pp. 518-521.}}</ref> In tempo di pace essi coltivavano le terre loro concesse dallo stato in Mesia e in Scizia Inferiori, e forse anche in Macedonia, ricevendole in proprietà.<ref>{{cita|Heather|p. 282.}}</ref>
L'Imperatore Teodosio proteggeva i Goti e concedeva loro molti privilegi, in modo da prevenire una loro nuova rivolta. Zosimo narra che i Goti stanziati in Tracia settentrionale, nelle province della Scizia, erano più pagati e onorati delle truppe regolari, ricevendo fastosi doni dall'Imperatore come collane d'oro.<ref name=ZosIV40>Zosimo, IV,40.</ref> Malgrado fossero molto ben trattati, tuttavia, invece di essere grati degli ampi privilegi ricevuti, continuavano a disprezzare le truppe romane e ad insultarle, secondo almeno l'opinione di Zosimo, prevenuto nei loro confronti.<ref name=ZosIV40/> Nel 386 Geronzio, comandante della guarnigione di Tomi, temendo che i ''foederati'' tramassero qualche insidia a danni della città, uscì dalla città con le sue truppe e li assalì, uccidendone molti e costringendo i rimanenti a rifugiarsi in una chiesa.<ref name=ZosIV40/> Teodosio, tuttavia, per prevenire lo scoppio di una nuova rivolta tra i Goti, punì Geronzio, accusandolo di averli assaliti al solo fine di impadronirsi dei doni imperiali inviati ai ''foederati'' goti per mantenerli fedeli all'Impero (tra cui spiccavano le collane d'oro); Geronzio ribatté all'accusa facendo notare di aver subito consegnato al fisco quelle collane d'oro e di non essersele quindi tenute per sé, e rammentò i ladronecci e le molestie che a suo dire i Goti avrebbero recato agli abitanti della regione, ma Teodosio non cambiò idea: confiscati i suoi averi, li distribuì agli eunuchi di corte.<ref name=ZosIV40/>
 
Nonostante formalmente l'accordo fosse stato presentato come una completa sottomissione dei Goti a Roma (''deditio''), in realtà rappresentò una cesura importante rispetto a tutti i casi precedenti di ''deditio''.<ref>{{cita|Heather|pp. 230-231.}}</ref><ref>{{cita|Jones|p. 157.}}</ref> Infatti, poiché, a differenza dei casi precedenti, i Romani non erano usciti vincitori nel conflitto, ai Goti furono concesse condizioni favorevoli senza precedenti: in particolare, anche se non fu loro riconosciuto un capo unico, fu concessa loro la possibilità di mantenere la loro coesione politica e militare nonché i loro costumi e non furono dispersi per le province, come solitamente accadeva nei casi consueti di ''deditio''.<ref>{{cita|Heather|pp. 230-232.}}</ref> I ''foederati'' Goti in pratica costituivano una comunità semiautonoma e separata dal resto della popolazione provinciale, separazione accentuata dal fatto che non fu concessa loro né la cittadinanza romana né il diritto di sposarsi con i Romani (''ius connubii'').<ref>{{cita|Rocco|p. 521.}}</ref> Le terre di insediamento concesse ai Goti continuavano comunque ad appartenere legalmente all'Impero.<ref>{{cita|Heather|pp. 231-232.}}</ref>
Nel 387 la popolazione di Costantinopoli linciò un soldato goto perché reo di presunte scorrettezze commesse durante la distribuzione di annona: Teodosio condannò l'atto, perché, a dire dell'oratore Libanio, avrebbe potuto costituire una provocazione per i Goti, e minacciò, per punizione, di sospendere le distribuzioni di annona; dimostrando poi clemenza, Teodosio perdonò i cittadini.
 
[[Temistio]], retore di Costantinopoli, in un discorso pronunciato nel gennaio 383 al [[senato bizantino]], cercò di raffigurare come "vittoria romana" il trattato di pace ([[foedus]]) tra l'Impero e i Goti, nonostante ai Goti fossero state concesse condizioni favorevoli senza precedenti. In tale discorso, Temistio argomentò che Teodosio, mostrando come virtù il perdono, invece di vendicarsi dei Goti sterminandoli in battaglia, decise invece di stringere un'alleanza con essi, ripopolando così la Tracia, devastata dalla guerra, di contadini goti al servizio dell'Impero; Temistio concluse il discorso rammentando come i [[Galati]] fossero stati assimilati, con il passare dei secoli, dalla cultura greco-romana ed esprimendo la convinzione che sarebbe accaduto lo stesso con i Goti.<ref>{{cita|Heather|pp. 233-237.}}</ref>
 
L'Imperatore Teodosio proteggeva i Goti e concedeva loro molti privilegi, in modo da prevenire una loro nuova rivolta. Zosimo narra che i Goti stanziati in Tracia settentrionale, nelle province della Scizia, erano più pagati e onorati delle truppe regolari, ricevendo fastosi doni dall'Imperatore come collane d'oro.<ref name=ZosIV40>Zosimo, IV,40.</ref> Malgrado fossero molto ben trattati, tuttavia, invece di essere grati degli ampi privilegi ricevuti, continuavano a disprezzare le truppe romane e ad insultarle, secondo almeno l'opinione di Zosimo, prevenuto nei loro confronti.<ref name=ZosIV40/> Nel 386 Geronzio, comandante della guarnigione di Tomi, temendo che i ''foederati'' tramassero qualche insidia a danni della città, uscì dalla città con le sue truppe e li assalì, uccidendone molti e costringendo i rimanenti a rifugiarsi in una chiesa.<ref name=ZosIV40/> Teodosio, tuttavia, per prevenire lo scoppio di una nuova rivolta tra i Goti, punì Geronzio, accusandolo di averli assaliti al solo fine di impadronirsi dei doni imperiali inviati ai ''foederati'' goti per mantenerli fedeli all'Impero (tra cui spiccavano le collane d'oro); Geronzio ribatté all'accusa facendo notare di aver subito consegnato al fisco quelle collane d'oro e di non essersele quindi tenute per sé, e rammentò i ladronecciladrocini e le molestie che a suo dire i Goti avrebbero recato agli abitanti della regione, ma Teodosio non cambiò idea: confiscati i suoi averi, li distribuì agli eunuchi di corte.<ref name=ZosIV40/>
 
Nel 387 la popolazione di Costantinopoli linciò un soldato goto perché reo di presunte scorrettezze commesse durante la distribuzione di annona: Teodosio condannò l'atto, perché, a dire dell'oratore Libanio, avrebbe potuto costituire una provocazione per i Goti, e minacciò, per punizione, di sospendere le distribuzioni di annona; dimostrando poi clemenza, Teodosio perdonò i cittadini.
 
Teodosio tentava di assicurarsi la fedeltà dei ''foederati'' goti con doni e banchetti.<ref name=ZosIV56>Zosimo, IV,56.</ref> Malgrado ciò, erano sorte due fazioni tra i ''foederati'' goti: quella capeggiata da Eriulfo intendeva rompere il trattato di alleanza con l'Impero e invaderlo, mentre quella capeggiata da [[Fravitta]] intendeva continuare a servire fedelmente l'Impero in battaglia.<ref name=ZosIV56/> Eunapio narra che:
{{Quote|Nei primi anni del regno di Teodosio, scacciata la scitica nazione dalle sue sedi per le armi degli Unni, i capi delle tribù più distinte per nascita e dignità, si rifugiarono presso i Romani; ed avendoli l'imperatore innalzati a grandi onori, poiché si videro ormai abbastanza forti, incominciarono a litigare fra di loro; infatti, mentre alcuni si accontentavano dell'attuale prosperità, altri, al contrario, sostenevano che bisognava mantenere il patto che si erano fatti scambievolmente nella loro patria, violare in alcun modo que' patti , che erano però iniquissimi ed oltre misura crudeli; questi patti consistevano nell'ordire contro i Romani, e nel nuocere loro con ogni artifizio ed inganno , malgrado fossero da essi colmati di benefici, finché non si fossero impadroniti di tutto lo Stato. Vi erano dunque due partiti opposti: l'uno equo ed onesto, cioè favorevole ai Romani, e l'altro totalmente avverso; ma ambedue tenevano occulti i loro disegni, mentre dall'altro canto non cessava l'imperatore di onorarli, ammettendoli alla sua mensa e permettendo loro libero l'accesso alla reggia.}}
Durante un banchetto con Teodosio I, i due litigarono al punto che Fravitta giunse ad uccidere Eriulfo; i seguaci di Eriulfo tentarono di uccidere Fravitta, ma furono fermati dalle guardie del corpo dell'Imperatore.<ref name=ZosIV56/>
 
A conferma che la fedeltà dei ''Foederati'' goti era assai dubbia, nel 388 l'usurpatore occidentale Magno Massimo riuscì a corromperne molti, spingendoli a rivoltarsi a Teodosio I e a devastare i Balcani; Teodosio I, prima di procedere contro Magno Massimo, riuscì però a sconfiggere i Goti ribelli, disperdendoli per i boschi.<ref>Zosimo, IV,45.</ref> Tornato a Costantinopoli dopo la sconfitta dell'usurpatore, nel 391, Teodosio I scoprì che, durante la sua permanenza in Italia, alcuni ''foederati'' Goti si erano rivoltati, devastando ancora una volta le province balcaniche. Teodosio marciò alla testa delle sue armate per reprimere la rivolta, ema, inizialmentedopo ebbealcuni lainiziali megliosuccessi, suifu Goti;messo diin frontedifficoltà alladalla controffensiva gota, Teodosio ebbe però la peggio e si salvò solo per l'intervento tempestivo dei rinforzi condotti dal generale Promoto, che repressero la rivolta.<ref>Zosimo, IV,49.</ref> Alcuni studiosi hanno congetturato che questa rivolta dei Goti fosse stata condotta da Alarico., sulla base di alcune allusioni contenute nei panegirici di Claudiano.
 
Teodosio riuscì comunque a ricondurre all'obbedienza i ''Foederati'' goti e a spingerli a prendere parte alla campagna militare contro l'usurpatore occidentale Eugenio. Le truppe di ''Foederati'' barbari, secondo Zosimo, furonoerano affidatesotto alla supervisione del goto Gainas, all'alano Saul e all'armenoibero Bacurio. Alla campagna ebbe un ruolo di comando almeno su parte dei ''Foederati'' Goti anche Alarico, a cui Teodosio aveva promesso un ruolo di comando nell'esercito romano in caso di successo. I Goti alla fine risultarono decisivi nella [[battaglia del Frigido]], nella quale subirono perdite consistenti, contribuendo alla sconfitta dell'usurpatore occidentale [[Eugenio]].<ref>Zosimo, IV,58.</ref>
 
==== La crisi germanica e la sua risoluzione in Oriente ====
Spentosi [[Teodosio I]], la situazione in Oriente si aggravò sempre di più, con i capi germanici dell'esercito che cospiravano contro lo Stato per aumentare sempre di più la loro ingerenza. I ''[[foederati]]'' [[Visigoti]] che servivano nell'[[esercito romano]], scontenti per le perdite subite nella [[battaglia del Frigido]] e lamentando l'interruzione dei sussidi, si rivoltarono eleggendo loro capo uno di loro, [[Alarico I|Alarico]]: costui aveva finora servito nell'esercito romano ed aveva anch'egli motivi per rivoltarsi, essendogli stata promessa da Teodosio I la carica di ''[[magister militum]]'', promessa poi non mantenuta.<ref name=ZosV5>Zosimo, V,5.</ref> Vi furono anche sospetti di collusione tra i Goti e il [[prefetto del pretorio d'Oriente]] [[Flavio Rufino]], comunque non provati.<ref name=ZosV5/><ref>Secondo Burns, Rufino, privato di gran parte delle truppe orientali, che erano partite con Teodosio I per combattere in Occidente l'usurpatore Eugenio e che in quel momento erano sotto il controllo di Stilicone, avendo timore dell'avanzata di Stilicone, avrebbe raggiunto un accordo con Alarico, promettendogli le cariche militari ambite nel caso fosse riuscito ad arrestare la marcia di Stilicone su Costantinopoli ({{cita|Burns|p. 153}}). Stilicone aveva infatti utilizzato la rivolta di Alarico come pretesto per marciare in Grecia, ufficialmente per combattere Alarico, ma in realtà per rovesciare Rufino e diventare reggente anche di Arcadio, diventando così il padrone incontrastato di entrambe le parti dell'Impero romano; Stilicone ambiva inoltre anche a costringere la parte orientale a cedere all'Occidente romano la prefettura del pretorio dell'Illirico, prefettura storicamente appartenente all'Impero d'Occidente, ma ceduta alla parte orientale sotto Teodosio I. Quindi, secondo Burns, Rufino avrebbe affidato ad Alarico la difesa della Grecia contro gli attacchi di Stilicone ({{cita|Burns|p. 158}}).</ref> Il resoconto di [[Zosimo (storico)|Zosimo]] sui saccheggi dei Goti di Alarico nei Balcani è ingarbugliato, e parrebbe aver fuso gli avvenimenti di due campagne distinte (una nel 395 e un'altra nel 396) in una sola: certo è, comunque, che i Visigoti devastarono senza opposizione la [[Tracia (diocesi)|Tracia]] e la [[Macedonia (diocesi)|Macedonia]] forse anche con la complicità di alcuni generali romani traditori.<ref name=ZosV5/><ref>Secondo Burns la mancata resistenza all'occupazione della zona da parte dei Goti implicherebbe che Alarico avesse già raggiunto un accordo con il governo romano-orientale, e sarebbe diventato governatore militare di quelle province a patto che si opponesse in qualunque modo alla marcia di Stilicone su Costantinopoli ({{cita|Burns, |p. 159}}). Secondo Burns, i saccheggi di Alarico narrati da Zosimo non sembrerebbero trovare conferma da evidenze archeologiche, anzi Alarico si sarebbe limitato a difendere la Grecia dall'invasione di Stilicone; secondo Burns, l'Impero d'Oriente, avendo timore delle insidie di Stilicone, avrebbe affidato ad Alarico il compito di difendere la Grecia dagli attacchi di Stilicone; secondo Burns, sarebbe stato Stilicone, e non Alarico, a devastare la Grecia, nel tentativo di ricondurre l'intera prefettura del pretorio dell'Illirico sotto il controllo della parte occidentale: ciò sembrerebbe trovare conferma dai frammenti di Eunapio ({{cita|Burns|p. 158}}).</ref> Alla fine [[Eutropio]], il nuovo primo ministro di [[Arcadio]], imperatore d'Oriente, fu costretto a nominare Alarico ''[[magister militum per Illyricum]]'' e a concedere nuove terre ai Goti in Dacia e in Macedonia, pur di porre fine alla rivolta.
 
Questo trattato con i Visigoti di Alarico fu criticato da numerose personalità dell'epoca. Claudiano, panegirista di Stilicone, nel suo libello contro Eutropio, commentò:
 
{{Citazione|Il devastatore dell'Acaia e dell'Epiro privo di difese [Alarico] è ora signore dell'Illiria; ora entra come amico dentro le mura che un tempo assediava, e amministra la giustizia a coloro le cui mogli aveva sedotto e i cui figli aveva assassinato. E questa sarebbe la punizione da infliggere a un nemico...?|Claudiano, ''In Eutropium'', II, 214-219.}}
 
Intorno sempre a questo periodo anche [[Sulpicio Severo]] si lamentò dell'imbarbarimento dell'esercito, sostenendo che fosse stato un errore ammettere in territorio romano orde di barbari che avevano solo finto di sottomettersi, con la conseguenza che gli eserciti e le città dell'Impero si erano riempiti di barbari che, pur vivendo in mezzo ai Romani, non si adattavano ai loro costumi, ma mantenevano i propri:
 
{{Citazione|Perché è ovvio che il territorio romano è occupato da nazioni straniere, o dai ribelli, o che è stato consegnato proprio a coloro che si erano arresi sotto una apparenza di pace. E' anche evidente che le nazioni barbare, e soprattutto Ebrei, si sono mescolati con i nostri eserciti, città e province; e noi pertanto li vediamo vivere tra noi, anche se in nessun modo essi accettano di adottare i nostri costumi.|Sulpicio Severo, ''Chronicon'', II,3.}}
 
Anche [[Sinesio di Cirene]] criticò il trattato con i Goti del 397, sostenendo che fosse necessario che l'esercito tornasse ad essere veramente romano e non più composto in buona parte da truppe germaniche a rischio continuo di rivolta. Intorno al 397 Sinesio si recò alla corte di Arcadio per chiedere all'Imperatore una riduzione delle tasse e nel suo discorso all'Imperatore (pubblicato successivamente con il titolo ''De regno'') si lamentò tra l'altro dell'imbarbarimento dell'esercito:
 
{{Citazione|Ammesso ciò, in compagnia di quale razza di soldati dovrebbe un filosofo devoto al suo sovrano desiderare che dovesse allenare il suo corpo...? Evidentemente quelli provenienti dalle campagne e delle città, in una parola delle terre in cui regna, che gli fornisce combattenti e li seleziona come guardie dello stato, e per le leggi a... cui sono stati educati, perché quelli sono quelli che Platone preferiva persino ai cani da guardia. Ma il pastore non deve mischiare i lupi con i suoi cani...; perché nel momento in cui essi noteranno ogni debolezza... nei cani li attaccheranno, il gregge e anche il pastore. ... Nel caso delle città..., dobbiamo separare le parti estranee... Ma non organizzare una forza per fronteggiare questi uomini, e garantire immunità dal servizio militare a coloro che lo richiedono, e permettere ai contadini di dedicarsi ad altre necessità, come se quell'esercito barbaro fosse la nostra produzione nativa, tutto ciò non è l'atto di uomini che stanno accelerando la loro rovina? Invece di permettere agli Sciti di servire nel nostro esercito, dovremmo cercare dall'agricoltura così cara a costoro gli uomini che combatterebbero per difenderlo... Prima che le cose volgano al peggio, come stanno ora tendendo, dovremmo recuperare il coraggio degno dei Romani, e abituarci di nuovo a ottenere da soli le nostre vittorie, non ammettendo l'amicizia con questi stranieri, ma impedendo la loro partecipazione in ogni rango. Prima di tutto bisognerebbe escluderli dalle magistrature... uomini... come quello che si toglie la pelliccia da pecora... per assumere la toga, ed entra nel senato per deliberare su questioni di stato con i magistrati romani, disponendo di un posto a sedere prominente forse accanto a quello del console, mentre gli uomini retti siedono dietro di lui. Questi tali, quando lasciano l'assemblea, si rivestono delle loro pellicce da pecora, e una volta in compagnia dei loro seguaci, deridono la toga, e sostengono che indossandola non riescono nemmeno a sguainare la spada. Da parte mia mi meraviglio di molte altre cose, ma non di meno per la nostra condotta assurda. Tutto questo alla faccia che ogni casa, anche modesta, ha uno servo scita... ed è stato provato … che la loro è la razza più utile, e più idonea a servire i Romani. Ma che questi... dovrebbero essere servi in privato a quegli stessi uomini che essi governano in pubblico, questo è strano, forse la cosa più incredibile... Se, come suppongo, è nella natura delle cose che ogni servo è il nemico del suo signore poiché ha speranze di sopraffarlo, accadrà ciò anche con noi? Stiamo noi facendo germogliare a una scala molto più grande i germi di guai inauditi? Si rammenti che nel nostro caso non sono meramente due uomini, o degli individui disonorati a condurre una ribellione, ma grandi e perniciose armate che, connazionali dei nostri stessi servi, hanno per scherzo malvagio del destino ridotto in cattivo stato l'Impero romano, e hanno fornito generali di grande reputazione sia tra di noi che tra loro stessi, “per la nostra stessa natura codarda”. È necessario ridurre la loro forza, è necessario rimuovere la causa straniera della malattia... perché i mali devono essere curati al principio della loro insorgenza, perché quando si sviluppano è troppo tardi per arrestarli. L'esercito deve essere purificato dall'Imperatore...|Sinesio, ''De regno'', 14-15.}}
Basandosi sulle opere di Sinesio (''De regno'' e ''De providentia''), gran parte della storiografia moderna ha dedotto che all'epoca a Costantinopoli vi fossero due partiti in contrapposizione tra di loro, uno antigermanico e uno germanico: quello germanico era favorevole all'ammissione dei Barbari all'interno dell'Impero e dell'esercito, quello antigermanico invece voleva espellerli. Questo partito antigermanico, costituito da senatori e ministri legati alle tradizioni romane, si sarebbe opposto al governo di Eutropio, accusato di essere troppo accondiscendente nei confronti di Alarico e dei ''foederati'' goti, e sarebbe stato guidato da [[Aureliano (console 400)|Aureliano]]. Recentemente, tuttavia, alcuni studiosi hanno messo in forte dubbio questa interpretazione delle opere di Sinesio e soprattutto l'effettiva esistenza di questi due partiti.<ref>{{cita|Cameron, Long, Sherry|pp. 333-336.}}</ref>
 
Nel 399, diversi reggimenti dell'esercito romano costituiti soprattutto da Goti Greutungi e insediati in Asia Minore, si rivoltarono sotto il comando del generale di origini gotiche [[Tribigildo]] e cominciarono a devastare l'intera Anatolia.<ref>Zosimo, V,13.</ref> L'esercito ribelle di Tribigildo non era costituito da ''Foederati'', bensì di truppe barbare integrate nell'esercito regolare come ''dediticii'' o ''[[laeti]]''.<ref>{{cita|Cameron, Long, Sherry|pp. 112-115.}}</ref> [[Claudiano]], panegirista di Stilicone, commentò amaramente che le truppe ribelli di Tribigildo «erano stati fino a poco prima una legione romana, a cui avevamo concesso dei diritti dopo averli vinti, a cui avevamo dato campi e case».<ref>Claudiano, ''In Eutropium'', II,576-578.</ref> Eutropio inviò i generali [[Gainas]] e Leone contro Tribigildo, ma Leone fu sconfitto e ucciso in battaglia dall'esercito ribelle, mentre Gainas rimase in inazione. Si ebbero successivamente forti sospetti che il generale di origini gotiche Gainas fosse colluso con il suo connazionale Tribigildo. Entrambi infatti provavano risentimento per Eutropio ed entrambi volevano ottenerne la rovina. Per porre fine alla rivolta, Arcadio fu costretto ad acconsentire alle richieste di Tribigildo, che richiedeva la rimozione di Eutropio: nel luglio 399, Eutropio fu destituito ed esiliato a Cipro, poi richiamato qualche tempo dopo dall'esilio e infine giustiziato a Calcedonia nello stesso anno.<ref>Zosimo, V,17.</ref>
 
Secondo l'interpretazione tradizionale della storiografia moderna, a questo punto avrebbe preso il potere il partito antigermanico, grazie alla nomina del suo principale esponente, Aureliano, a prefetto del pretorio d'Oriente. La presa del potere di Aureliano e del partito antigermanico avrebbe scontentato Gainas, che era di origini gotiche, e che quindi si sarebbe rivoltato insieme a Tribigildo per costringere Arcadio a destituire dal potere Aureliano e gli altri esponenti del partito antigermanico. Secondo altri studiosi, invece, Aureliano non avrebbe mostrato alcuna tendenza antigermanica, ma avrebbe continuato, come Eutropio, a mettere in secondo piano Gainas, non concedendogli cariche di rilievo, e ciò avrebbe spinto Gainas a tramarne la destituzione.<ref>{{cita|Cameron, Long, Sherry|pp. 323-333.}}</ref> Alla fine Arcadio fu costretto a destituire del potere Aureliano e i suoi collaboratori, sostituendoli con uomini di fiducia di Gainas (aprile 400).<ref>Zosimo, V,18.</ref>
 
Gainas a questo punto era diventato la personalità più potente dell'Impero romano d'Oriente. Numerose fonti antiche lo accusano di aver occupato la stessa capitale Costantinopoli con migliaia di truppe gotiche. Alcuni studiosi hanno messo in forte discussione questa tesi, sostenendo che i Goti presenti nella capitale fossero soprattutto civili.<ref>{{cita|Cameron, Long, Sherry|pp. 207-217.}}</ref> Il 12 luglio 400, la popolazione di Costantinopoli, temendo che Gainas intendesse saccheggiare Costantinopoli per prendere il potere, insorse trucidando inferocita settemila goti presenti nella Capitale.<ref name=ZosV19>Zosimo, V,19.</ref> Gainas in quel momento era fuori città e fu proclamato "nemico pubblico" dell'Impero dall'Imperatore Arcadio, che ritenne fondati i sospetti.<ref name=ZosV19/> Gainas saccheggiò conseguentemente la Tracia e tentò di attraversare l'Ellesponto per passare in Asia, ma la sua traversata fu impedita dalla flotta romana condotta dal generale gotico [[Fravitta]], che inflisse all'esercito di Gainas pesanti perdite.<ref>Zosimo, V,21.</ref> Gainas tentò allora la fuga a nord del Danubio, ma fu attaccato e ucciso dagli [[Unni]] di [[Uldino]], il quale inviò la testa del ribelle all'Imperatore Arcadio (dicembre 400).<ref>Zosimo, V,22.</ref> Nel frattempo Aureliano e gli altri funzionari destituiti ed esiliati da Gainas furono liberati e poterono tornare nella capitale.<ref>Zosimo, V,23.</ref>
 
La rovina di [[Gainas]] determinò la liberazione dell'Impero d'Oriente dai ''foederati'' barbari; dopo la [[Rivolta di Gainas|rovina di Gainas]], [[Alarico I|Alarico]] fu privato della carica di ''magister militum per Illyricum'' e fu costretto a cercare un insediamento per il suo popolo altrove; probabilmente [[Arcadio]] sfruttò l'alleanza con gli [[Unni]] di [[Uldino]] per costringere i Goti di Alarico a sloggiare dalle province dell'Oriente romano.<ref>{{cita|Cameron, Long, Sherry|pp. 332-333.}}</ref> Alarico, disperando di riuscire a raggiungere un nuovo accordo con Arcadio, decise quindi di invadere le province dell'Occidente romano, sperando di riuscire a costringere [[Onorio (imperatore romano)|Onorio]] a concedere ai Goti di insediarsi, in qualità di ''foederati'', in una provincia dell'Impero d'Occidente. L'Impero d'Oriente riuscì così a liberarsi dei Goti di Alarico, che diventarono da quel momento in poi un problema dell'Impero d'Occidente.
Secondo [[Sinesio]], oratore romano-orientale, era necessario che l'esercito tornasse ad essere veramente romano e non più composto in buona parte da truppe germaniche a rischio continuo di rivolta: affermò che, «anziché sopportare ancora che i Goti portino le armi, bisognerebbe andare a chiedere ai nostri campi gli uomini capaci di difenderli», ma Arcadio, almeno inizialmente, non gli diede ascolto. Sinesio narra, forse riferendosi proprio ad Alarico, che alcuni comandanti barbari erano giunti a cotanto potere da, una volta «spogliatosi della pelliccetta di cui era coperto» e indossata una toga, entrare in senato e discutere «l'ordine del giorno insieme ai magistrati dei Romani, col console che gli offre il posto d'onore accanto a sé, mentre quelli che ne avrebbero diritto stanno dietro. Questi tali, poi, per poco che siano usciti dal senato, si rimettono subito le pellicce, e quando incontrano i loro soci si mettono a ridere della toga, dicendo che con quella addosso non si riesce a sguainare la spada». Intorno sempre a questo periodo anche Sulpicio Severo si lamentò dell'imbarbarimento dell'esercito, sostenendo che fosse stato un errore ammettere in territorio romano orde di barbari che avevano solo finto di sottomettersi, con la conseguenza che gli eserciti e le città dell'Impero si erano riempiti di barbari che, pur vivendo in mezzo ai Romani, non si adattavano ai loro costumi, ma mantenevano i propri.
 
Non vi fu comunque una epurazione dei Barbari dai ranghi dell'esercito, come era stato sostenuto in passato dai sostenitori della teoria del partito antigermanico. Anche dopo la vittoria su Gainas, i Barbari continuarono a dare un importante contributo all'esercito romano-orientale, ma non più come tribù semiautonome e sostanzialmente non sottomesse insediatesi all'interno dei confini in qualità di ''Foederati'' e guidate in battaglia dai loro capi tribù, bensì come truppe ben integrate nell'esercito regolare e poste sotto il comando di generali romani, eventualmente anche di origini barbariche. Anche dopo il 400, vi è evidenza di ''magistri militum'' di origini barbariche, come Fravitta, di origini gotiche e console nel 401, Arbazacio, di origini armene, Varane, di origini persiane e console nel 410, e Plinta, di origini gotiche e console nel 419.<ref>{{cita|Cameron, Long, Sherry|pp. 250-251.}}</ref> L'Impero d'Oriente, liberandosi dall'influenza dei ''foederati'', riuscì così a preservarsi dalla rovina, cosa che invece non riuscì all'Occidente romano, che sarebbe [[Caduta dell'Impero romano d'Occidente|caduto]] nel 476 proprio in seguito a una rivolta di ''foederati'' condotti da [[Odoacre]].
Nel frattempo [[Gainas]], generale goto al servizio di [[Costantinopoli]], [[Rivolta di Gainas|tramando di impossessarsi del controllo dello Stato]], si alleò con [[Tribigildo]], un comandante di ''[[foederati]]'' [[greutungi]] stanziati in Asia Minore, sobillandolo a rivoltarsi e a devastare l'Asia Minore.<ref>Zosimo, V,13.</ref> [[Claudiano]], panegirista di Stilicone, commentò amaramente che i ''foederati'' ribelli di Tribigildo «erano stati fino a poco prima una legione romana, a cui avevamo concesso dei diritti dopo averli vinti, a cui avevamo dato campi e case». Arcadio ed Eutropio affidarono il comando della guerra ai generali Gainas e Leone, non pensando che Gainas fosse in combutta con Tribigildo.<ref>Zosimo, V,14.</ref> Gainas provvedette a sabotare, facendo il doppio gioco, tutti i tentativi da parte dei Romani di fermare i saccheggi di Tribigildo in Asia Minore, costringendo Arcadio a negoziare con il ribelle.<ref>Zosimo, V,17.</ref> Tribigildo richiese che Eutropio cadesse in disgrazia e Arcadio acconsentì, comandando la sua esecuzione; furono esiliati inoltre diversi uomini illustri sgraditi a Gainas.<ref>Zosimo, V,18.</ref> Ben presto però si ebbe una rivolta antigermanica nella capitale: sospettando che Gainas intendesse attaccare la capitale con le truppe germaniche per impossessarsi stabilmente del potere, i soldati romani, per ordine dell'Imperatore, uccisero tutti i soldati barbari di Gainas presenti nella Capitale (probabilmente più di 7.000).<ref name=ZosV19>Zosimo, V,19.</ref> Gainas, per tutta risposta, con i soldati rimasti, devastò le campagne della Tracia, progettando di invadere l'Asia Minore attraversando l'Ellesponto.<ref name=ZosV19/> I piani di Gainas però fallirono perché l'Imperatore affidò l'esercito a [[Fravitta]], un generale gotico che finora aveva sempre servito fedelmente l'Impero.<ref>Zosimo, V,20.</ref> Fravitta distrusse le zattere che Gainas aveva fatto costruire per attraversare con il suo esercito l'Ellesponto, sconfiggendo così le truppe di Gainas in questa battaglia navale e impedendo loro di giungere in Asia Minore.<ref name=ZosV21>Zosimo, V,21.</ref> Gainas tentò di attraversare il Danubio con le truppe rimanenti, ma fu catturato e ucciso dagli [[Unni]] di [[Uldino]].<ref name=ZosV21/> Fravitta fu ricompensato con la nomina a [[console (storia romana)|console]], ma, accusato di tradimento, fu poco tempo dopo giustiziato.<ref name=ZosV21/> L'Impero d'Oriente si era così liberato della minaccia barbarica all'interno dell'esercito. Ruppe il trattato che aveva stretto con Alarico sotto Eutropio destituendolo dalla carica di ''magister militum per Illyricum''. Alarico dovette quindi volgere la sua attenzione ad Occidente, dato che non era più gradito in Oriente.
 
==== I Goti si spostano in Occidente ====
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[[Alarico]], contrariato per l'annullamento della spedizione senza che avesse ricevuto alcuna ricompensa o almeno un rimborso spese per il mantenimento delle sue truppe per tutto il tempo che era rimasto in Epiro in attesa di [[Stilicone]], decise di marciare in [[Norico (provincia romana)|Norico]], da dove minacciò un attacco all'Italia nel caso il governo di [[Onorio (imperatore romano)|Onorio]] non gli avesse pagato 4.000 libbre d'oro, da intendersi come rimborso spese per tutto il tempo in cui i Visigoti avevano occupato per conto dell'Impero d'Occidente l'Epiro, e avevano atteso lì Stilicone, senza ricevere né stipendi, né compensi di altra forma per i servigi che stavano prestando in favore di Stilicone.<ref name=ZosV29>Zosimo, V,29.</ref> Il [[senato romano|senato]] si riunì e sembrava preferire la guerra al pagamento degli arretrati alle truppe mercenarie gotiche comandate da Alarico, quando intervenne Stilicone che spiegò che Alarico era intervenuto in Epiro per assistere l'Impero d'Occidente nel tentativo di recuperare l'Illirico orientale e che la spedizione avrebbe avuto successo se Onorio non avesse annullato la spedizione persuaso in ciò da [[Serena (principessa romana)|Serena]], moglie di Stilicone, che mirava, contrariamente ai piani del marito, alla concordia tra le due parti dell'Impero; Stilicone concluse il discorso asserendo che Alarico rivendicava a ragione il pagamento proprio per i servigi resi all'Impero d'Occidente nell'Illirico.<ref name=ZosV29/> Il senato, di fronte alla superiore autorità di Stilicone, fu persuaso a malavoglia ad accettare di versare il tributo ad Alarico, ma non tutti si sottomisero: un senatore di nome [[Lampadio (praefectus urbi)|Lampadio]] affermò audacemente che il pagamento ad Alarico non era "una pace ma un trattato di servitù", per poi rifugiarsi in chiesa timoroso delle insidie di Stilicone.<ref name=ZosV29/>
 
[[Stilicone]], a questo punto, intendeva utilizzare i ''[[foederati]]'' goti di [[Alarico]] per recuperare il controllo della [[Gallia]], in quel momento in mano dell'usurpatore [[Costantino III (usurpatore)|Costantino III]], nonché [[Attraversamento del Reno|devastata]] da [[Vandali]], [[Alani]] e [[Suebi]].<ref name=ZosV31>Zosimo, V,31.</ref> A tal fine, in un incontro avvenuto a Bologna con [[Onorio (imperatore romano)|Onorio]], ricevette dall'Imperatore una lettera da consegnare ad Alarico, in cui gli veniva affidato al re dei Goti il compito di combattere, al servizio di Onorio, l'usurpatore gallico Costantino III, nonché Vandali, Alani e Svevi.<ref name=ZosV31/> Stilicone rassicurò Onorio che lui stesso si sarebbe recato a [[Costantinopoli]] per mettere al sicuro la successione di [[Teodosio II]], succeduto da poco tempo ad [[Arcadio]].<ref name=ZosV31/> Dopo che Onorio partì alla volta di Pavia, Stilicone esitò a partire per Costantinopoli.<ref name=ZosV32>Zosimo, V,32.</ref> Nel frattempo, la fazione della corte di Onorio contraria alla politica filogotica e antibizantina di Stilicone, capeggiata dal cortigiano [[Olimpio (magister officiorum)|Olimpio]], decise di passare all'azione per provocare la rovina di Stilicone.<ref name=ZosV32/> Olimpio intendeva provocare una rivolta dell'[[esercito romano]] radunato a Pavia in vista della prevista campagna in Gallia contro l'usurpatore Costantino III: il cortigiano intrigante insinuò di fronte all'Imperatore e alle truppe che Stilicone fosse la causa di tutte le calamità che stavano flagellando l'Impero.<ref name=ZosV32/> Lo accusò di stare brigando con Alarico, di aver sobillato i Vandali, gli Alani e gli Svevi a invadere la Gallia e di avere intenzione di recarsi a Costantinopoli per detronizzare Teodosio II e porre al suo posto sul trono romano-orientale suo figlio [[Eucherio (figlio di Stilicone)|Eucherio]]; inoltre, insinuò che, ben presto, avrebbe sfruttato l'indebolimento dell'Impero per detronizzare Onorio stesso e divenire così il padrone assoluto di entrambe le parti dell'Impero.<ref name=ZosV32/> L'esercito di Pavia, sobillato da Olimpio, si rivoltò, mettendo a sacco la città e giustiziando i principali sostenitori di Stilicone.<ref name=ZosV32/> Onorio, convinto da Olimpio della fondatezza delle accuse di tradimento che pendevano su Stilicone, ordinò alle truppe di Ravenna di catturarlo e giustiziarlo.<ref name=ZosV34>Zosimo, V,34.</ref> Stilicone fu giustiziato il 23 agosto del 408 per opera di [[Eracliano (usurpatore)|Eracliano]].<ref name=ZosV34/>
 
In seguito all'esecuzione di [[Stilicone]], tutti i partigiani, sostenitori e parenti di Stilicone finirono per essere trascinati nella sua rovina.<ref name=ZosV35>Zosimo, V,35.</ref> In seguito alla presa di potere da parte di Olimpio, che con la nomina a ''[[magister officiorum]]'' era da poco diventato il primo ministro di Onorio, assunse il controllo dello Stato la fazione antibarbarica contraria all'imbarbarimento dell'esercito e alla negoziazione con Alarico: ciò, tuttavia, provocò effetti deleteri per l'Impero, con un indebolimento dell'esercito.<ref name=ZosV35/> Il massacro delle famiglie dei guerrieri mercenari assoldati da Stilicone, attuato dai soldati romani forse sobillati da Olimpio, non fece altro che spingere i suddetti mercenari a disertare e aggregarsi all'esercito di Alarico, chiedendo al re visigoto di vendicare il massacro delle loro famiglie dovuto all'infidia e all'ingratitudine dei Romani.<ref name=ZosV35/> Alarico ebbe così il pretesto per invadere di nuovo l'Italia al fine di ottenere condizioni sempre più favorevoli per i suoi guerrieri mercenari ricattando il governo di Ravenna: Alarico rivendicava in particolare un insediamento permanente all'interno dell'Impero per i suoi guerrieri mercenari e per le famiglie al loro seguito. Prima di invadere la penisola, decise però di tentare di ottenere per via diplomatica ciò che bramava prima di essere costretto ad impugnare le armi per ottenerlo con la forza.<ref name=ZosV36>Zosimo, V,36.</ref> Visto ogni tentativo diplomatico fallire, Alarico decise di invadere l'Italia senza nemmeno attendere l'arrivo delle truppe gotiche provenienti dalla Pannonia e alla testa del cognato [[Ataulfo]].<ref name=ZosV36/> Nonostante l'invasione fosse ormai immanente, Olimpio trascurò ogni tentativo di arginarla congedando dall'esercito un generale di grande talento come [[Saro (generale)|Saro]] semplicemente perché di origini gotiche, mentre al contrario affidò le armate a comandanti inetti del calibro di [[Turpilione]], Varane e Vigilanzio.<ref name=ZosV36/> Il risultato fu che Alarico avanzò senza opposizione fino a Roma, che assediò per diverso tempo senza che l'Urbe ricevesse aiuti di ogni sorta da Ravenna, e levando l'assedio solo dietro versamento di un tributo da parte delle autorità cittadine. Prima di procedere al versamento del tributo, il senato romano inviò un'ambasceria a Onorio, per indurlo a negoziare una pace con Alarico: quest'ultimo pretendeva dallo Stato romano non solo denaro, ma anche la cessione in ostaggio di alcuni figli di persone di illustre rango; in cambio di ciò, i Visigoti di Alarico non avrebbero più guerreggiato lo Stato romano, ma sarebbero passati al suo servizio, divenendo così confederati e alleati dell'esercito romano.<ref name=ZosimoV42>Zosimo, V,42.</ref> Avendo ricevuto l'assenso di Onorio, il senato procedette a versare il tributo ad Alarico.<ref name=ZosimoV42/> Olimpio si oppose però alla prosecuzione delle trattative, con il risultato che Alarico riprese a minacciare Roma, al punto che gli abitanti della Città Eterna non avevano più la libertà di uscire dalle mura.<ref name=ZosimoV45>Zosimo, IV,45.</ref> Il senato romano, messo alle strette da Alarico, decise di inviare una nuova ambasceria presso Onorio, a cui si unirono Papa Innocenzo ed alcuni visigoti inviati da Alarico come scorta per difendere l'ambasceria da eventuali attacchi nemici durante il viaggio.<ref name=ZosimoV45/> Mentre l'ambasceria era dall'Imperatore, a Ravenna giunse la notizia che l'esercito visigoto condotto dal cognato di Alarico, Ataulfo, aveva oltrepassato le [[Alpi Giulie]] invadendo la Penisola; in seguito al fallimento da parte di Olimpio di impedire ad Ataulfo di ricongiungersi con Alarico rinforzando così il suo esercito, gli eunuchi di corte accusarono Olimpio per tutte le calamità che stavano colpendo l'[[Impero romano d'Occidente]], ottenendo la sua destituzione.<ref>Zosimo, V,46.</ref>
 
Il nuovo primo ministro di Onorio, il prefetto del pretorio Giovio, riprese le negoziazioni con Alarico, che ebbero luogo a Rimini.<ref name=ZosimoV48>Zosimo, V,48.</ref> Le richieste di Alarico erano un tributo annuale in oro e in grano, e lo stanziamento dei Visigoti in Norico, Pannonia e nelle Venezie.<ref name=ZosimoV48/> Giovio inviò le richieste di Alarico per iscritto all'Imperatore, suggerendogli inoltre di nominare Alarico ''[[magister militum]]'', nella speranza che ciò sarebbe bastato per convincere Alarico ad accettare la pace a condizioni meno gravose per lo Stato romano.<ref name=ZosimoV48/> Onorio, letta la lettera, rimproverò Giovio per la sua temerarietà, sostenendo che sarebbe stato disposto a versare ad Alarico un tributo annuale, ma che mai e poi mai avrebbe accettato di nominare Alarico ''magister militum''.<ref name=ZosimoV48/> Quando Alarico venne a sapere che Onorio aveva rifiutato di nominarlo ''magister militum'', sentendosi insultato, ruppe ogni trattativa e si diresse di nuovo verso Roma.<ref name=ZosimoV49>Zosimo, V,49.</ref> Durante la sua avanzata verso l'Urbe, però, Alarico cambiò idea, arrestando la sua marcia, e inviando ambasciatori a Ravenna per negoziare una nuova pace a condizioni più moderate delle precedenti: in cambio di un modesto tributo in grano e lo stanziamento dei Visigoti nella poco prospera provincia del Norico, Alarico avrebbe accettato la pace con lo Stato romano.<ref>Zosimo, V,50.</ref> Anche questa volta le richieste di Alarico vennero respinte, e il re dei Visigoti fu dunque costretto ad assediare per la seconda volta Roma (409).<ref name=ZosimoV51>Zosimo, V,51.</ref>
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Una pace definitiva con l'Impero arrivò solo nel 415, allorché il nuovo generale di Onorio, [[Costanzo III|Flavio Costanzo]], concesse ai Goti di insediarsi in qualità di ''foederati'' in [[Gallia Aquitania|Aquitania]]: in cambio i Goti avrebbero combattuto i [[Vandali]], gli [[Alani]] e gli [[Suebi]] che avevano occupato militarmente gran parte della [[Spagna romana|Spagna]] e avrebbero restituito Galla Placidia. Fu comunque solo verso la fine del 418, comunque, che avvenne effettivamente l'insediamento in Aquitania, dopo che i [[Visigoti]] avevano passato gran parte del 416, del 417 e del 418 a combattere per conto dell'Impero i Vandali, gli Alani e gli Svevi in Spagna. L'Aquitania sembra sia stata scelta da Costanzo come terra dove far insediare i ''foederati'' Visigoti per la sua posizione strategica: infatti era vicina sia dalla Spagna, dove rimanevano da annientare i Vandali Asdingi e gli Svevi, sia dal Nord della Gallia, dove forse Costanzo intendeva impiegare i Visigoti per combattere i ribelli separatisti [[Bagaudi]] nell'Armorica.<ref>{{cita|Heather|pp. 298-299.}}</ref>
 
I Goti ottennero, in base all<nowiki>'</nowiki>''hospitalitas'', almeno un terzo delle terre e delle abitazioni della regione, e godettero dell'esenzione dalle imposte; il territorio, almeno inizialmente, rimaneva comunque legalmente di proprietà dell'Impero, tanto che per qualche tempo continuarono ad operare nella regione i funzionari civili romani, malgrado l'insediamento dei Visigoti.<ref>{{cita|Ravegnani 2012|p. 90.}}</ref> ÈSi da osservarenoti che nello stanziare i barbari ''foederati'' in territorio romano, i Romani concessero loro un diritto, l<nowiki>'</nowiki>''hospitalitas'', che già valeva per i soldati regolari: infatti, nel Tardo Impero, l<nowiki>'</nowiki>''hospitalitas'', consisteva nell'ospitare nelle proprie abitazioni i soldati romani acquartierati in città cedendo loro temporaneamente un terzo delle loro case; l<nowiki>'</nowiki>''hospitalitas'' era dunque un diritto già vigente per l'esercito regolare e solo in seguito applicato ai ''Foederati''. A differenza dei soldati regolari, tuttavia, i ''Foederati'' ottennero permanentemente le terre a loro assegnate, anche se come già detto, il territorio continuava ad appartenere legalmente all'Impero. Nei fatti, comunque, i Visigoti costituivano in pratica una forza centrifuga che avrebbe ben presto separato definitivamente prima l'Aquitania e poi tutta la Gallia a sud della Loira dall'Impero.
 
Infatti, le fonti narrano che i proprietari terrieri delle regioni galliche occupate dai Visigoti cercarono degli accordi con gli invasori, tradendo lo Stato romano: ciò è dovuto al fatto che la ricchezza dei proprietari terrieri era costituita dalla terra, per cui non potendo andarsene senza lasciare i propri possedimenti e quindi perdere la propria ricchezza, molti proprietari terrieri scelsero di trovare un compromesso con gli invasori cercando di conservare in questo modo le proprie terre scongiurando una possibile confisca.<ref name=Hea307>{{cita|Heather|p. 307.}}</ref> Questo fenomeno era molto dannoso per l'Impero, perché le rendite imperiali si basavano sull'intesa e sulla protezione dei proprietari terrieri, i quali in cambio di privilegi e della loro difesa tramite le leggi e l'esercito, accettavano di pagare le tasse. Secondo Heather, "«l'Impero romano era sostanzialmente un mosaico di comunità locali che in buona misura si autogovernavano, tenute insieme da una combinazione di forza militare e baratto politico: in cambio dei tributi il centro amministrativo si occupava di proteggere le élite locali"».<ref name=Hea307/> Questo baratto politico fu messo in crisi dalla comparsa dei Visigoti: i proprietari terrieri, lasciati indifesi dall'Impero, decisero di accordarsi con gli invasori.<ref name=Hea307/> Costanzo, tuttavia, aveva compreso la gravità di questo problema e cercò di riallacciare i contatti con i proprietari terrieri gallici tramite la ricostituzione del ''Consiglio delle sette province della Gallia'', che si riuniva ogni anno ad Arelate e metteva a contatto ogni anno i proprietari terrieri gallici con il centro imperiale.<ref name=Hea307/> In questo modo Costanzo cercò di limitare il problema delle forze centrifughe visigote che mettevano in crisi il baratto politico che teneva unito il centro imperiale con le comunità locali.<ref name=Hea307/> È possibile che il consiglio svoltosi nel 418 abbia riguardato lo stanziamento in Aquitania dei Visigoti e delle conseguenze che ciò avrebbe portato per i proprietari terrieri.<ref name=Hea307/>
 
Nonostante ciò, comunque, i Visigoti riuscirono, non solo ad ottenere il possesso definitivo delle province da loro occupate, ma persino ad espandere i territori da essi controllati su tutta la Gallia a sud della Loira e su gran parte della Spagna. L'indipendenza completa dall'Impero, ormai praticamente ridotto solo all'Italia e alla Dalmazia, arrivò comunque solo nel 475, appena un anno prima della sua caduta finale.
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Mentre parte dell'[[esercito romano]] era impegnato in evitabili [[guerre civili (storia romana)|guerre civili]], i Barbari, ''foederati'' compresi, colsero l'occasione per espandere la propria sfera d'influenza.<ref>{{cita|Heather|p. 322.}}</ref> In particolare i [[Vandali]] e gli [[Alani]], uniti sotto la guida del loro re [[Genserico]], [[Conquista vandalica del Nord Africa|invasero l'Africa]], forse chiamati dal generale romano d'Africa Bonifacio, rivoltatosi contro Ravenna (429). Bonifacio si pentì di aver chiamato in Africa i Vandali e gli Alani e tentò di spingerli al ritiro, ma gli invasori si rifiutarono e sconfissero Bonifacio in battaglia, costringendo l'Impero a firmare un trattato di pace nel 435, con cui ai Vandali e agli Alani furono assegnate parte della Mauritania e della Numidia, probabilmente in qualità di ''foederati'' dell'Impero; già nel 439, tuttavia, Genserico violò il trattato, conquistando Cartagine nel 439 e invadendo la Sicilia nel 440. L'Impero d'Occidente, non potendo contare sull'aiuto della parte orientale impegnata a respingere le incursioni degli [[Unni]] di [[Attila]], fu costretto a firmare uno svantaggioso trattato di pace con i Vandali nel 442: con questo trattato l'Impero ottenne le Mauritanie e una parte della Numidia, oltre alla Tripolitania, ma le province restituite erano state così devastate dai saccheggi nemici, che Valentiniano III fu costretto a ridurre a un ottavo della quota normale le tasse che quelle province erano tenute a versare allo Stato; in cambio i Vandali ottennero dall'Impero le province più produttive dell'Africa, ovvero il resto della Numidia, la Byzacena e la Proconsolare con la capitale Cartagine, e non più in qualità di ''foederati'', ma come stato sovrano. La perdita delle province più produttive dell'Africa e del loro gettito fiscale provocò un ulteriore indebolimento dell'esercito: nel 444 un decreto imperiale ammetteva che le finanze dello Stato, andate in forte crisi in seguito alla perdita del gettito fiscale dell'Africa, non erano più sufficienti per potenziare l'esercito, malgrado fosse necessario farlo a causa dei diversi nemici che lo minacciavano.<ref>{{cita|Heather|pp. 362-363.}}</ref> Alla difficoltà già presente di reclutare soldati tra i Romani, dovuta alle opposizioni dei proprietari terrieri a fornire soldati e dei contadini stessi, si aggiunse quindi il crollo del gettito fiscale, con conseguente impossibilità di potenziare un esercito già debole, per cui i Romani dovettero ricorrere sempre più spesso all'arruolamento di mercenari barbari.
 
Ezio faceva molto affidamento sui mercenari [[unni]], i quali erano stati determinanti per la conquista del potere supremo dello Stato. Nel 425 Ezio, con un esercito di 60.000 mercenari unni, era accorso in Italia in sostegno dell'usurpatore Giovanni Primicerio; arrivato troppo in ritardo per salvare Giovanni, Ezio riuscì però a costringere Galla a nominarlo generale nonostante fosse un sostenitore dell'usurpatore proprio grazie al grande potere che gli aveva fornito l'armata unna.<ref>Filostorgio, XII,14.</ref> In seguito, nel 433, Ezio riuscì a costringere Galla a nominarlo ''[[magister utriusque militiae]]'', ovvero generalissimo d'Occidente, invadendo l'Italia con altri mercenari unni. Ezio fece ampio uso di mercenari unni anche in Gallia: grazie al sostegno degli Unni, Ezio riuscì a vincere nel 436 i [[Burgundi]], massacrati dall'esercito romano-unno di Ezio, ridotti all'obbedienza e insediati come ''foederati'' intorno al [[lago di Ginevra]]; gli Unni risultarono poi decisivi anche nella repressione della rivolta dei [[bagaudi]] in Armorica e nelle vittorie contro i Visigoti ad [[battaglia di Arles|Arelate]], e [[battaglia di Narbona (436)|a Narbona]],<ref>{{cita|Heather|pp. 350-351.}}</ref> grazie alle quali nel 439 i Visigoti accettarono la pace alle stesse condizioni del 418. La scelta di Ezio di impiegare gli Unni trovò però l'opposizione di taluni, come il vescovo [[Salviano di Marsiglia]], autore del ''De gubernatione dei'' ("Il governo di Dio"), secondo cui l'impiego dei pagani Unni contro i cristiani (seppur [[arianesimo|ariani]]) Visigoti non avrebbe fatto altro che provocare la perdita della protezione di Dio, perché i Romani «avevano avuto la presunzione di riporre la loro speranza negli Unni, essi invece che in Dio». Si narra che nel 439 [[Litorio]], arrivato ormai alle porte della capitale visigota [[Tolosa]], che intendeva conquistare annientando completamente i Visigoti, permettesse agli Unni di compiere sacrifici alle loro divinità e di predire il futuro attraverso la scapulimanzia, suscitando lo sdegno e la condanna di scrittori cristiani come [[Prospero Tirone]] e [[Salviano di Marsiglia|Salviano]], che si lamentarono anche per i saccheggi degli Unni contro gli stessi cittadini che erano tenuti a difendere. Litorio poi perse la battaglia decisiva contro i Visigoti e fu giustiziato. Secondo Salviano, la sconfitta degli arroganti Romani, adoratori degli Unni, contro i pazienti goti, timorati di Dio, oltre a costituire una giusta punizione per Litorio, confermava il passo del [[Nuovo Testamento]], secondo cui «chiunque si esalta sarà umiliato, e chiunque si umilia sarà esaltato.».<ref>Salviano, ''De gubernatione Dei'', VII, 9.</ref> In cambio del sostegno degli Unni, Ezio fu però costretto a cedere loro la Pannonia.<ref>{{cita|Heather|p. 350.}}</ref>
 
Ormai l'esercito romano in Occidente era costituito quasi unicamente da barbari. Tra il 440 e il 443 Ezio autorizzò nuovi gruppi di barbari ad insediarsi in Gallia come ''foederati'': tra il 440 e il 442 stanziò Alani in Armorica affidando loro l'incarico di reprimere le rivolte dei Bagaudi, mentre nel 442/443 stanziò i Burgundi in Savoia (nei pressi del lago di Ginevra) affinché difendessero l'Impero contro altre minacce. Questi stanziamenti di barbari foederati, che avevano l'incarico di tenere a bada i ribelli e difendere le frontiere da altri barbari, generarono le proteste dei proprietari terrieri gallici, molti dei quali furono espropriati dei loro possedimenti da questi gruppi di ''foederati''. La politica dei trattati, con i quali si permetteva ai barbari di insediarsi all'interno dell'Impero, stava erodendo sempre di più il territorio controllato di fatto dall'Impero, ma non si poteva fare altrimenti, perché non si riuscivano più a respingere questi invasori.<ref>{{cita|Ravegnani 2012|pp. 107-108.}}</ref> I ''foederati'' Alani di re Goar insediati in Armorica si rivelarono comunque utili all'Impero reprimendo con successo, tra il 446 e il 448, la rivolta dei Bagaudi condotti da Tibattone. Nel frattempo, nel 446, Ezio dovette affrontare i Franchi, che avevano invaso la Gallia sconfinando dal proprio territorio, sconfiggendoli e firmando con essi un trattato di alleanza.<ref>{{cita|Ravegnani 2012|p. 109.}}</ref>
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L'Impero d'Oriente si rifiutava di prestare la flotta all'Impero d'Occidente, non solo perché non riconosceva come Imperatore legittimo Libio Severo, per cui non era disposta ad appoggiarlo, ma anche perché il trattato con i Vandali del 462, con cui l'Impero d'Oriente riotteneva la restituzione di Eudossia e Placidia, imponeva all'Impero d'Oriente di non intervenire contro i Vandali in appoggio all'Impero d'Occidente.<ref>{{cita|Ravegnani 2012|p. 147.}}</ref>
Ormai privo di una propria flotta ed esposto ai saccheggi dei pirati vandali, ormai l'Impero non poteva far altro che implorare il sostegno dell'Impero d'Oriente contro i Vandali: Ricimero, per ottenerlo, fu costretto a detronizzare l'Imperatore fantoccio [[Libio Severo]] ed accettare come Imperatore il "greco" [[Antemio]], candidato dell'Imperatore d'Oriente. La [[Battaglia di Capo Bon (468)|spedizione del 468]] contro i Vandali, tuttavia, fallì, e con essa l'Impero d'Occidente andò verso il completo collasso. Le guarnigioni a difesa del Norico sbandarono perché non arrivava più la paga (ormai il gettito fiscale dello Stato era ridotto ai minimi termini), anche se, dovendo comunque difendere la propria famiglia, continuarono comunque a difendere la regione dalle incursioni dei predoni barbari.

Nel frattempo, in Gallia, il nuovo re dei Visigoti, Eurico, resosi conto della sempre più crescente debolezza dell'Impero, decise di rompere il trattato di alleanza e di invaderlo. Antemio aveva a disposizione l'armata bretone del re Riotamo e i ''foederati'' burgundi condotti dal loro re [[Chilperico I (re dei Burgundi)|Chilperico]], che tra l'altro era anche ''magister militum Galliarum''.<ref>{{cita|Ravegnani 2012|p. 149.}}</ref> L'armata bretone fu tuttavia sconfitta da Eurico e costretta a ripararsi presso i Burgundi, mentre i Visigoti si impadronirono di gran parte della Narbonense I, nonché di Bourges e di Tours. L'avanzata visigota verso la Gallia settentrionale fu arrestata presso la Loira dall'esercito sotto il controllo dei separatisti romani della Gallia settentrionale, ma in compenso sconfissero un'armata romana proveniente dall'Italia nei pressi di Arelate e si impadronirono di tutta l'Alvernia, ad eccezione della città di Clermont, che continuava a resistere strenuamente all'assedio visigoto sotto la guida del letterato [[Sidonio Apollinare]] e del suo cognato [[Ecdicio Avito]].<ref>{{cita|Ravegnani 2012|p. 150.}}</ref>

Mentre la Gallia era devastata dai Visigoti, Ricimero decise di detronizzare Antemio e di collocare sul trono d'Occidente [[Olibrio]], il candidato di Genserico; alla testa di armate barbare, tra cui spiccavano gli Eruli di Odoacre, Ricimero costrinse Antemio a ripararsi a Roma, dove fu assediato; durante l'assedio, gli Ostrogoti di Vidimero tentarono di intervenire in sostegno di Antemio, ma in uno scontro nei pressi di Roma furono sconfitti dall'armata di Ricimero e i superstiti passarono dalla parte di Ricimero.<ref>{{cita|Ravegnani 2012|p. 151.}}</ref> Nel luglio del 472 Roma fu espugnata e sottoposta a sacco da Ricimero, che giustiziò Antemio e collocò sul trono imperiale Olibrio. Sia Olibrio che Ricimero perirono entro pochi mesi e il titolo di generalissimo dell'Impero d'Occidente spettò al burgundo [[Gundobado]], che impose come Imperatore d'Occidente [[Glicerio]]. Glicerio non fu però riconosciuto dall'Impero d'Oriente che inviò un'armata in Italia per imporre sul trono d'Occidente il proprio candidato, [[Giulio Nepote]]. Glicerio fu sconfitto e condannato all'esilio, mentre Gundobado lasciò la carica per diventare re dei Burgundi.

Mentre l'Impero d'Occidente era impegnato in questi conflitti interni, i Visigoti di Eurico ne approfittarono per conquistare nel 473 le ultime città romane nella provincia ispanica di Tarraconense e tentarono successivamente persino di invadere l'Italia, venendo però sconfitti dalle armate romane. Giulio Nepote, nel tentativo di salvare dalla conquista visigota le città romane a est del Rodano, tra cui Marsiglia e Arelate, nel 475 inviò il vescovo di Pavia [[Epifanio di Pavia|Epifanio]] che trattò con i Visigoti, firmando con essi un trattato con cui veniva ceduta ai Visigoti la città di Clermont e riconosciute le loro conquiste, in cambio della pace e dell'alleanza con l'Impero.<ref>{{cita|Ravegnani 2012|p. 152.}}</ref> L'anno successivo, tuttavia, i Visigoti violarono il trattato espugnando Arelate e Marsiglia. Persa anche la Gallia in seguito alle conquiste del re visigoto [[Eurico]], l'Impero si era ridotto quasi esclusivamente all'Italia.
 
[[File:Europe at the fall of the Western Roman Empire in 476.jpg|thumb|upright=1.4|I regni romano-barbarici dopo il 476]]
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In seguito al rafforzamento del potere ostrogoto sotto la conduzione di Teodomiro, Leone I ritenne opportuno rafforzare i legami con gli Ostrogoti e concesse a Teodorico di ritornare presso il suo popolo. Teodorico succedette a Teodomiro nel 471, ed entro il 475 trasferì la propria nazione dalla Pannonia al loro nuovo insediamento in [[Mesia Inferiore]], le stesse regioni che erano state occupate dai [[Visigoti]] di [[Alarico I|Alarico]] all'inizio del regno di [[Arcadio]].
 
Nel frattempo vi fu una rivolta delle truppe ostrogote arruolate nell'esercito romano-orientale, che acclamarono re il loro comandante, [[Teodorico Strabone]], e inviarono un'ambasceria presso Leone, chiedendo che il loro capo fosse nominato ''magister militum praesentalis'', in sostituzione di Aspar, e la concessione di nuove terre in Tracia per le sue truppe.<ref name=Malco2>Malco, frammento 2.</ref> L'Imperatore si mostrò disposto ad accettare la nomina a ''magister militum'' ma non le altre richieste; Teodorico Strabone, per rappresaglia, devastò il territorio di Filippopoli e si impadronì di Arcadiopoli ottenendo la sua resa per fame.<ref name=Malco2/> La devastazione della Tracia spinse Leone a negoziare: accettò di pagare uno stripendiostipendio annuale di 2000 libbre d'oro ai Goti e a concedere loro di insediarsi in un distretto della Tracia, nominando inoltre Teodorico Strabone ''magister militum praesentalis'', che ricevette l'incarico di combattere per l'Imperatore tutti i nemici tranne i [[Vandali]], e tra i nemici probabilmente erano inclusi i Goti di Teodorico Amalo; fu inoltre riconosciuto come re dei Goti.<ref name=Malco2/>
 
Nei conflitti interni che succedettero al decesso di Leone, Teodorico Strabone prese le parti dell'usurpatore [[Basilisco (imperatore)|Basilisco]], mentre l'Imperatore legittimo [[Zenone (imperatore)|Zenone]] fu sostenuto da Teodorico Amalo. Dopo essersi ripreso il trono usurpatogli da Basilisco, Zenone privò Teodorico Strabone della sua carica di generale nominando come suo successore Teodorico Amalo; quest'ultimo ricevette inoltre la carica di [[Patrizio (storia romana)|patrizio]], e la conferma imperiale del possesso delle terre che il suo popolo aveva occupato nella Mesia Inferiore, oltre alla promessa di uno stipendio annuale. Ben presto fu evidente che la politica dell'Imperatore Zenone era quella di mettere Teodorico Strabone e Teodorico Amalo l'uno contro l'altro. Nei tre anni successivi (477-479), le relazioni tra l'Imperatore e i due rivali cambiarono di continuo: in una prima fase Zenone e Teodorico Amalo erano alleati contro Teodorico Strabone; nella seconda fase i due generali goti unirono le forze contro Zenone; nella terza fase Teodorico Strabone e Zenone cooperarono contro Teodorico Amalo.
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=== Età bizantina ===
Una ulteriore variazione di significato del termine ''foederati'' avvenne nel VI secolo, in età giustinianea. Ai tempi di [[Giustiniano I|Giustiniano]], i ''foederati'' che servivano nell'esercito romano d'Oriente non erano più bande irregolari di barbari sotto il comando dei loro capi tribali che inviavano contingenti militari in sostegno dell'esercito romano in cambio di denaro o dello stanziamento in un territorio, ma erano diventati parte integrante dell'[[esercito bizantino]]: nelle fonti, sono spesso citati come soldati regolari, ed erano sottoposti al comando di un generale bizantino (''comes foederatum'').
 
Procopio commentò così il cambiamento di significato del termine ''foederati'' (in greco ''phoideratoi''):
I ''Foederati'', nell'accezione del VI secolo, erano considerate truppe scelte, posti allo stesso piano per diritti delle truppe dell'esercito regolare, e lo ''Strategikon'' attribuito all'Imperatore Maurizio li poneva addirittura al secondo posto per importanza, secondi solo ai ''bucellari''; in più la loro eventuale fede ariana era tollerata ed essi non erano costretti a convertirsi al cristianesimo ortodosso.<ref>{{cita|Ravegnani 2009|p. 44.}}</ref> Le tribù alleate dell'Impero che fornivano ad esso contingenti militari in cambio di denaro o dello stanziamento in un territorio, ovvero i ''foederati'' nell'accezione del IV secolo, avevano cambiato denominazione in ''socii'' o ''symmachoi'', ovvero ''alleati''.<ref>{{cita|Ravegnani 2009|pp. 44-45.}}</ref>
 
{{Citazione|Ora in epoche precedenti solo i barbari erano reclutati nei ''foederati'', cioè quelli che erano entrati nel sistema politico romano, non nella condizione di schiavi, poiché non erano stati conquistati dai Romani, ma sulle basi di completa uguaglianza. Prendono il nome dal fatto che i Romani chiamano i trattati con i loro nemici ''foedera''. Ma ai nostri tempi non c'è nulla che impedisca a qualcuno dall'assumere quel nome, poiché il tempo non consente di mantenere i nomi attaccati alle cose a cui essi erano in precedenza applicati, [...] e gli uomini prestano poca attenzione al significato originario di un termine.|Procopio di Cesarea, ''Storia delle guerre'', III,11.}}
Mentre i ''foederati'' del VI secolo erano diventate truppe affidabili e ben integrate nell'esercito, non era altrettanto vero per i ''symmachoi'' (alleati), spesso accusati dalle fonti di inaffidabilità e di tradimento: [[Procopio di Cesarea]], in particolare, accusa Giustiniano di comprare delle inconcludenti alleanze con queste popolazioni barbariche, spesso controproducenti in quanto le loro sempre più esorbitanti richieste di denaro aumentavano di pari passo con le concessioni ottenute, e spesso a ciò non corrispondeva ad un aumento delle prestazioni.<ref>{{cita|Ravegnani 2009|p. 100.}}</ref> Procopio addirittura narra che gli [[Unni]], dopo aver ricevuto immensi donativi da Giustiniano che pensava così di farseli alleati, avrebbero smaniato di impadronirsi delle ricchezze dell'Impero saccheggiandolo, e avrebbero sobillato altre genti barbare a invaderlo anch'esse, informandoli delle enormi ricchezze dello Stato bizantino. Da ciò sarebbe nato un circolo vizioso di sempre più popolazioni che intendevano impadronirsi delle ricchezze dell'Impero «ricevendo sostanze dall'Imperatore o saccheggiando l'Impero romano o esigendo il riscatto dei prigionieri di guerra e vendendo le tregue». Procopio, nella ''[[Storia segreta]]'', accusa addirittura Giustiniano di impedire ai suoi soldati di attaccare gli incursori barbari mentre si ritiravano con il bottino, in quanto sperava che, non attaccandoli, se li sarebbe fatti alleati; in un'occasione, addirittura, l'Imperatore avrebbe punito dei contadini che avevano osato, contrariamente alle sue disposizioni, autodifendersi dalle incursioni attaccando i barbari e riuscendo a recuperare parte del bottino (che poi, per ordine di Giustiniano, sarebbe stato addirittura restituito ai saccheggiatori dell'Impero).
 
Procopio sembrerebbe implicare che nel VI secolo anche i cittadini romani fossero ammessi nei reggimenti di ''foederati''. In ogni caso sembrerebbe che i ''foederati'' fossero ancora costituiti prevalentemente da Barbari, come risulterebbe da un altro passaggio di Procopio, in cui viene affermato che gli Eruli furono reclutati nei ''Foederati'', e da una legge di Giustiniano che afferma che molti goti furono inseriti nei ''Foederati''.<ref>{{cita|Jones|p. 664.}}</ref> In ogni caso, le leggi implicano che i ''Foederati'' facessero parte dell'esercito regolare, anche se erano distinti dai ''Comitatenses''. I ''Foederati'' erano volontari, reclutati individualmente soprattutto tra i barbari ma anche tra i cittadini romani, ricevendo paga e venendo sottoposti al comando di generali romani, esattamente come i ''Comitatenses''.<ref>{{cita|Jones|pp. 664-665.}}</ref> I ''Foederati'' Goti sembra che godessero anche di una certa libertà religiosa, a giudicare dal fatto che fu loro concesso di mantenere la loro [[arianesimo|fede ariana]]. I reggimenti nei quali erano reclutati i ''Foederati'' prendevano il nome di ''tagmata'' ed erano sotto il controllo di ''optiones''. Sembra che i ''Foederati'' fossero costituiti prevalentemente di cavalieri e che quelli di stanza a Costantinopoli fossero sotto il comando di un ''Comes Foederatum''. I ''Foederati'' spesso agivano in concerto con i ''Comitatenses'' dell'esercito mobile in campagne militari, ma potevano essere anche impiegati nella difesa delle province di frontiera come truppe di guarnigione, venendo quindi posti in quest'ultimo caso sotto il comando dei ''duces'' frontalieri. I ''Foederati'', nell'accezione del VI secolo, erano considerate truppe scelte, e lo ''Strategikon'' attribuito all'Imperatore Maurizio li poneva addirittura al secondo posto per importanza, secondi solo ai ''bucellari''.<ref>{{cita|Ravegnani 2009|p. 44.}}</ref>
 
Le origini di questo cambiamento di significato non sono certe. Secondo un frammento di Olimpiodoro:
 
{{Citazione|Ai tempi di Onorio il termine buccellario fu attribuito non solo ai soldati romani ma anche a certi Goti. In modo simile il nome di ''foederati'' fu dato a reggimenti di uomini diversi e misti.|Olimpiodoro di Tebe, frammento 7 (Muller).}}
 
Il frammento di Olimpiodoro, per il resto oscuro, potrebbe implicare che per ''Foederati'' non si intendevano unicamente i contingenti irregolari di barbari reclutati tra le tribù insediate all'interno dei confini in seguito a un trattato, ma anche bande miste di mercenari barbari di differenti etnie sotto il comando di un comandante barbaro, come ad esempio Saro, che accettavano di combattere per Roma come volontari. Una legge del 406, in cui Onorio esorta gli schiavi di ''comitatenses'', ''foederati'' e ''dediticii'' ad arruolarsi nell'esercito, potrebbe riferirsi proprio a queste bande miste di mercenari barbari.<ref>{{cita|Jones|pp. 665.}}</ref> Sinesio, intorno al 410, narra che in Cirenaica vi erano alleati barbari unnigardi sotto il comando di un generale romano, Anisio, e che ricevevano cavalli, armi e paga dal governo romano. La vita di Daniele lo Stilita narra che una banda di Barbari proveniente dalla Gallia fu reclutata dall'Imperatore d'Oriente Leone e il capo di questi mercenari, Tito, ricevette il titolo di ''comes''; tuttavia, andrebbe fatto notare che i mercenari barbari di Tito vengono chiamati dalla fonte ''buccellarii''. Sembrerebbe che queste bande di alleati barbari furono gradualmente integrati nell'esercito regolare, e da essi si sarebbero originati i ''Foederati'' nell'accezione del VI secolo.<ref>{{cita|Jones|p. 666.}}</ref>
 
I ''Foederati'', nell'accezione del VI secolo, erano considerate truppe scelte, posti allo stesso piano per diritti delle truppe dell'esercito regolare, e lo ''Strategikon'' attribuito all'Imperatore Maurizio li poneva addirittura al secondo posto per importanza, secondi solo ai ''bucellari''; in più la loro eventuale fede ariana era tollerata ed essi non erano costretti a convertirsi al cristianesimo ortodosso.<ref>{{cita|Ravegnani 2009|p. 44.}}</ref> Le tribù alleate dell'Impero che fornivano ad esso contingenti militari in cambio di denaro o dello stanziamento in un territorio, ovvero i ''foederati'' nell'accezione del IV secolo, avevano cambiato denominazione in ''socii'' o ''symmachoi'', ovvero ''alleati''.<ref>{{cita|Ravegnani 2009|pp. 44-45.}}</ref>
 
Mentre i ''foederati'' del VI secolo erano diventate truppe affidabili e ben integrate nell'esercito, non era altrettanto vero per i ''symmachoi'' (alleati), spesso accusati dalle fonti di inaffidabilità e di tradimento: [[Procopio di Cesarea]], in particolare, accusa Giustiniano di comprare delle inconcludenti alleanze con queste popolazioni barbariche, spesso controproducenti in quanto le loro sempre più esorbitanti richieste di denaro aumentavano di pari passo con le concessioni ottenute, e spesso a ciò non corrispondeva ad un aumento delle prestazioni.<ref>{{cita|Ravegnani 2009|p. 100.}}</ref> Procopio addirittura narra che gli [[Unni]], dopo aver ricevuto immensi donativi da Giustiniano che pensava così di farseli alleati, avrebbero smaniato di impadronirsi delle ricchezze dell'Impero saccheggiandolo, e avrebbero sobillato altre genti barbare a invaderlo anch'esse, informandoli delle enormi ricchezze dello Stato bizantino. Da ciò sarebbe nato un circolo vizioso di sempre più popolazioni che intendevano impadronirsi delle ricchezze dell'Impero «ricevendo sostanze dall'Imperatore o saccheggiando l'Impero romano o esigendo il riscatto dei prigionieri di guerra e vendendo le tregue». Procopio, nella ''[[Storia segreta]]'', accusa addirittura Giustiniano di impedire ai suoi soldati di attaccare gli incursori barbari mentre si ritiravano con il bottino, in quanto sperava che, non attaccandoli, se li sarebbe fatti alleati; in un'occasione, addirittura, l'Imperatore avrebbe punito dei contadini che avevano osato, contrariamente alle sue disposizioni, autodifendersi dalle incursioni attaccando i barbari e riuscendo a recuperare parte del bottino (che poi, per ordine di Giustiniano, sarebbe stato addirittura restituito ai saccheggiatori dell'Impero).
 
Non va dimenticato, certo, che in taluni casi (come quello dei [[Ghassanidi]]) queste alleanze con le popolazioni barbariche confinanti potessero rivelarsi addirittura utili allo Stato bizantino, ma nella maggioranza dei casi provocavano più danni che benefici. Talvolta i barbari alleati diventavano ostili all'Impero, violando i trattati e saccheggiando lo stesso territorio imperiale che essi in teoria dovevano concorrere a difendere, e Giustiniano era costretto a lanciare spedizioni punitive contro di essi; altre volte l'Imperatore usava la diplomazia per dividere i nemici, mettendoli uno contro l'altro.
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* Pietro Barinetti, ''Introduzione allo studio del diritto romano'', Tipografia dei fratelli Fusi, Pavia, 1860.
* {{en}} Sir [[William Smith (lessicografo)|William Smith]], ''A smaller dictionary of Greek and Roman antiquities'', Londra, 1865.
* {{cita libro | cognome=Jones | nome=Arnold Hugh Martin | titolo=The later Roman Empire, 284-602; a social economic and administrative survey | editore=University of Oklahoma Press |città=Norman | anno=1964 | ISBN=ISBN 9780801833540 | cid=Jones}}
* {{cita libro | autore1=Alan Cameron | autore2=Jacqueline Long | autore3=Lee Sherry | titolo=Barbarians and politics at the Court of Arcadius | editore=University of California Press |città= | anno=1993 | ISBN=ISBN 0-520-06550-6 | cid=Cameron, Long, Sherry}}
* {{cita libro | cognome=Burns | nome=Thomas Samuel| titolo=Barbarians within the gates of Rome, a study of Roman military policy and the barbarians, ca. 375-425 a.D. | editore=Indiana University Press |città= | anno=1994 | ISBN=ISBN 0-253-31288-4 | cid=Burns }}
* {{cita libro | cognome=Zecchini | nome=Giuseppe | titolo=Il federalismo nel mondo antico | editore= |città=Milano | anno=2005 | ISBN=ISBN 88-343-1163-9 | cid=Zecchini}}
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* {{cita libro | cognome=Ravegnani | nome=Giorgio | titolo=Soldati e guerre a Bisanzio | editore=Il Mulino |città=Bologna | anno=2009 | ISBN=ISBN 978-88-15-13044-0 | cid=Ravegnani 2009}}
* {{cita libro | cognome=Ravegnani | nome=Giorgio | titolo=La caduta dell'Impero romano | editore=Il Mulino |città=Bologna | anno=2012 | ISBN=ISBN 978-88-15-23940-2 | cid=Ravegnani 2012}}
* {{cita libro | autore1cognome=Alan CameronRocco | autore2nome=Jacqueline LongMarco | autore3titolo=LeeL'esercito Sherryromano |tardoantico: titolo=Barbarianspersistenze ande politicscesure atdai theSeveri Courta ofTeodosio ArcadiusI | editore=University of California Presslibreriauniversitaria.it |città=Padova | anno=19932012 | ISBN=ISBN 0-520-06550-69788862922302 | cid=Cameron, Long, SherryRocco}}
 
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