Socii e foederati: differenze tra le versioni

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Teodosio tentava di assicurarsi la fedeltà dei ''foederati'' goti con doni e banchetti.<ref name=ZosIV56>Zosimo, IV,56.</ref> Malgrado ciò, erano sorte due fazioni tra i ''foederati'' goti: quella capeggiata da Eriulfo intendeva rompere il trattato di alleanza con l'Impero e invaderlo, mentre quella capeggiata da [[Fravitta]] intendeva continuare a servire fedelmente l'Impero in battaglia.<ref name=ZosIV56/> Eunapio narra che:
{{Quote|Nei primi anni del regno di Teodosio, scacciata la scitica nazione dalle sue sedi per le armi degli Unni, i capi delle tribù più distinte per nascita e dignità, si rifugiarono presso i Romani; ed avendoli l'imperatore innalzati a grandi onori, poiché si videro ormai abbastanza forti, incominciarono a litigare fra di loro; infatti, mentre alcuni si accontentavano dell'attuale prosperità, altri, al contrario, sostenevano che bisognava mantenere il patto che si erano fatti scambievolmente nella loro patria, né violare in alcun modo que' patti, che erano però iniquissimi ed oltre misura crudeli; questi patti consistevano nell'ordire contro i Romani, e nel nuocere loro con ogni artifizio ed inganno, malgrado fossero da essi colmati di benefici, finché non si fossero impadroniti di tutto lo Stato. Vi erano dunque due partiti opposti: l'uno equo ed onesto, cioè favorevole ai Romani, e l'altro totalmente avverso; ma ambedue tenevano occulti i loro disegni, mentre dall'altro canto non cessava l'imperatore di onorarli, ammettendoli alla sua mensa e permettendo loro libero l'accesso alla reggia.|Eunapio, frammento 60 (Muller).}}
Durante un banchetto con Teodosio I, i due litigarono al punto che Fravitta giunse ad uccidere Eriulfo; i seguaci di Eriulfo tentarono di uccidere Fravitta, ma furono fermati dalle guardie del corpo dell'Imperatore.<ref name=ZosIV56/>
 
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Questo trattato con i Visigoti di Alarico fu criticato da numerose personalità dell'epoca. Claudiano, panegirista di Stilicone, nel suo libello contro Eutropio, commentò:
 
{{Citazione|Il devastatore dell'Acaia e dell'Epiro privo di difese [Alarico] è ora signore dell'Illiria; ora entra come amico dentro le mura che un tempo assediava, e amministra la giustizia a coloro le cui mogli aveva sedotto e i cui figli aveva assassinato. E questa sarebbe la punizione da infliggere a un nemico...?|Claudiano, ''In Eutropium'', II, 214-219.}}
 
Intorno sempre a questo periodo anche [[Sulpicio Severo]] si lamentò dell'imbarbarimento dell'esercito, sostenendo che fosse stato un errore ammettere in territorio romano orde di barbari che avevano solo finto di sottomettersi, con la conseguenza che gli eserciti e le città dell'Impero si erano riempiti di barbari che, pur vivendo in mezzo ai Romani, non si adattavano ai loro costumi, ma mantenevano i propri:
 
{{Citazione|Perché è ovvio che il territorio romano è occupato da nazioni straniere, o dai ribelli, o che è stato consegnato proprio a coloro che si erano arresi sotto una apparenza di pace. E' anche evidente che le nazioni barbare, e soprattutto Ebrei, si sono mescolati con i nostri eserciti, città e province; e noi pertanto li vediamo vivere tra noi, anche se in nessun modo essi accettano di adottare i nostri costumi.|Sulpicio Severo, ''Chronicon'', II,3.}}
 
Anche [[Sinesio di Cirene]] criticò il trattato con i Goti del 397, sostenendo che fosse necessario che l'esercito tornasse ad essere veramente romano e non più composto in buona parte da truppe germaniche a rischio continuo di rivolta. Intorno al 397 Sinesio si recò alla corte di Arcadio per chiedere all'Imperatore una riduzione delle tasse e nel suo discorso all'Imperatore (pubblicato successivamente con il titolo ''De regno'') si lamentò tra l'altro dell'imbarbarimento dell'esercito:
 
{{Citazione|Ammesso ciò, in compagnia di quale razza di soldati dovrebbe un filosofo devoto al suo sovrano desiderare che dovesse allenare il suo corpo...? Evidentemente quelli provenienti dalle campagne e delle città, in una parola delle terre in cui regna, che gli fornisce combattenti e li seleziona come guardie dello stato, e per le leggi a... cui sono stati educati, perché quelli sono quelli che Platone preferiva persino ai cani da guardia. Ma il pastore non deve mischiare i lupi con i suoi cani...; perché nel momento in cui essi noteranno ogni debolezza... nei cani li attaccheranno, il gregge e anche il pastore. ... Nel caso delle città..., dobbiamo separare le parti estranee... Ma non organizzare una forza per fronteggiare questi uomini, e garantire immunità dal servizio militare a coloro che lo richiedono, e permettere ai contadini di dedicarsi ad altre necessità, come se quell'esercito barbaro fosse la nostra produzione nativa, tutto ciò non è l'atto di uomini che stanno accelerando la loro rovina? Invece di permettere agli Sciti di servire nel nostro esercito, dovremmo cercare dall'agricoltura così cara a costoro gli uomini che combatterebbero per difenderlo... Prima che le cose volgano al peggio, come stanno ora tendendo, dovremmo recuperare il coraggio degno dei Romani, e abituarci di nuovo a ottenere da soli le nostre vittorie, non ammettendo l'amicizia con questi stranieri, ma impedendo la loro partecipazione in ogni rango. Prima di tutto bisognerebbe escluderli dalle magistrature... uomini... come quello che si toglie la pelliccia da pecora... per assumere la toga, ed entra nel senato per deliberare su questioni di stato con i magistrati romani, disponendo di un posto a sedere prominente forse accanto a quello del console, mentre gli uomini retti siedono dietro di lui. Questi tali, quando lasciano l'assemblea, si rivestono delle loro pellicce da pecora, e una volta in compagnia dei loro seguaci, deridono la toga, e sostengono che indossandola non riescono nemmeno a sguainare la spada. Da parte mia mi meraviglio di molte altre cose, ma non di meno per la nostra condotta assurda. Tutto questo alla faccia che ogni casa, anche modesta, ha uno servo scita... ed è stato provato … che la loro è la razza più utile, e più idonea a servire i Romani. Ma che questi... dovrebbero essere servi in privato a quegli stessi uomini che essi governano in pubblico, questo è strano, forse la cosa più incredibile... Se, come suppongo, è nella natura delle cose che ogni servo è il nemico del suo signore poiché ha speranze di sopraffarlo, accadrà ciò anche con noi? Stiamo noi facendo germogliare a una scala molto più grande i germi di guai inauditi? Si rammenti che nel nostro caso non sono meramente due uomini, o degli individui disonorati a condurre una ribellione, ma grandi e perniciose armate che, connazionali dei nostri stessi servi, hanno per scherzo malvagio del destino ridotto in cattivo stato l'Impero romano, e hanno fornito generali di grande reputazione sia tra di noi che tra loro stessi, “per la nostra stessa natura codarda”. È necessario ridurre la loro forza, è necessario rimuovere la causa straniera della malattia... perché i mali devono essere curati al principio della loro insorgenza, perché quando si sviluppano è troppo tardi per arrestarli. L'esercito deve essere purificato dall'Imperatore...|Sinesio, ''De regno'', 14-15.}}
Basandosi sulle opere di Sinesio (''De regno'' e ''De providentia''), gran parte della storiografia moderna ha dedotto che all'epoca a Costantinopoli vi fossero due partiti in contrapposizione tra di loro, uno antigermanico e uno germanico: quello germanico era favorevole all'ammissione dei Barbari all'interno dell'Impero e dell'esercito, quello antigermanico invece voleva espellerli. Questo partito antigermanico, costituito da senatori e ministri legati alle tradizioni romane, si sarebbe opposto al governo di Eutropio, accusato di essere troppo accondiscendente nei confronti di Alarico e dei ''foederati'' goti, e sarebbe stato guidato da [[Aureliano (console 400)|Aureliano]]. Recentemente, tuttavia, alcuni studiosi hanno messo in forte dubbio questa interpretazione delle opere di Sinesio e soprattutto l'effettiva esistenza di questi due partiti.<ref>{{cita|Cameron, Long, Sherry|pp. 333-336.}}</ref>
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Gainas a questo punto era diventato la personalità più potente dell'Impero romano d'Oriente. Numerose fonti antiche lo accusano di aver occupato la stessa capitale Costantinopoli con migliaia di truppe gotiche. Alcuni studiosi hanno messo in forte discussione questa tesi, sostenendo che i Goti presenti nella capitale fossero soprattutto civili.<ref>{{cita|Cameron, Long, Sherry|pp. 207-217.}}</ref> Il 12 luglio 400, la popolazione di Costantinopoli, temendo che Gainas intendesse saccheggiare Costantinopoli per prendere il potere, insorse trucidando inferocita settemila goti presenti nella Capitale.<ref name=ZosV19>Zosimo, V,19.</ref> Gainas in quel momento era fuori città e fu proclamato "nemico pubblico" dell'Impero dall'Imperatore Arcadio, che ritenne fondati i sospetti.<ref name=ZosV19/> Gainas saccheggiò conseguentemente la Tracia e tentò di attraversare l'Ellesponto per passare in Asia, ma la sua traversata fu impedita dalla flotta romana condotta dal generale gotico [[Fravitta]], che inflisse all'esercito di Gainas pesanti perdite.<ref>Zosimo, V,21.</ref> Gainas tentò allora la fuga a nord del Danubio, ma fu attaccato e ucciso dagli [[Unni]] di [[Uldino]], il quale inviò la testa del ribelle all'Imperatore Arcadio (dicembre 400).<ref>Zosimo, V,22.</ref> Nel frattempo Aureliano e gli altri funzionari destituiti ed esiliati da Gainas furono liberati e poterono tornare nella capitale.<ref>Zosimo, V,23.</ref>
 
La rovina di [[Gainas]] determinò la liberazione dell'Impero d'Oriente dai ''foederati'' barbari; dopo la [[Rivolta di Gainas|rovina di Gainas]], [[Alarico I|Alarico]] fu privato della carica di ''magister militum per Illyricum'' e fu costretto a cercare un insediamento per il suo popolo altrove; probabilmente [[Arcadio]] sfruttò l'alleanza con gli [[Unni]] di [[Uldino]] per costringere i Goti di Alarico a sloggiare dalle province dell'Oriente romano.<ref name=Cam332-333>{{cita|Cameron, Long, Sherry|pp. 332-333.}}</ref> Alarico, disperando di riuscire a raggiungere un nuovo accordo con Arcadio, decise quindi di invadere le province dell'Occidente romano, sperando di riuscire a costringere [[Onorio (imperatore romano)|Onorio]] a concedere ai Goti di insediarsi, in qualità di ''foederati'', in una provincia dell'Impero d'Occidente. L'Impero d'Oriente riuscì così a liberarsi dei Goti di Alarico, che diventarono da quel momento in poi un problema dell'Impero d'Occidente.
 
Non vi fu comunque una epurazione dei Barbari dai ranghi dell'esercito, come era stato sostenuto in passato dai sostenitori della teoria del partito antigermanico. Anche dopo la vittoria su Gainas, i Barbari continuarono a dare un importante contributo all'esercito romano-orientale, ma non più come tribù semiautonome e sostanzialmente non sottomesse insediatesi all'interno dei confini in qualità di ''Foederati'' e guidate in battaglia dai loro capi tribù, bensì come truppe ben integrate nell'esercito regolare e poste sotto il comando di generali romani, eventualmente anche di origini barbariche. Anche dopo il 400, vi è evidenza di ''magistri militum'' di origini barbariche, come Fravitta, di origini gotiche e console nel 401, Arbazacio, di origini armene, [[Varane]], di origini persiane e console nel 410, e [[Plinta]], di origini gotiche e console nel 419.<ref>{{cita|Cameron, Long, Sherry|pp. 250-251.}}</ref> L'Impero d'Oriente, liberandosi dall'influenza dei ''foederati'', riuscì così a preservarsi dalla rovina, cosa che invece non riuscì all'Occidente romano, che sarebbe [[Caduta dell'Impero romano d'Occidente|caduto]] nel 476 proprio in seguito a una rivolta di ''foederati'' condotti da [[Odoacre]].
 
==== I Goti si spostano in Occidente ====
{{vedi anche|Guerra gotica (402-403)|Sacco di Roma (410)}}
[[File:Visigoth migrations.jpg|left|thumb|upright=1.4|Migrazione principale dei Visigoti]]
Non sono ben chiare le motivazioni che spinsero Alarico ad abbandonare l'Oriente romano per spostarsi più ad Occidente. Le fonti primarie che trattano questo argomento sono scarne e confusionarie: [[Giordane]] fonde in un'unica campagna militare le due invasioni dell'Italia di Alarico (del 401-403 e del 408-410), facendo una notevole confusione, e in ogni caso non chiarisce le motivazioni dell'agire di Alarico, [[Zosimo (storico)|Zosimo]] addirittura sembra all'oscuro dell'invasione dell'Italia del 401-403 dato che non la tratta minimamente nella sua ''Storia Nuova'', nemmeno i panegirici di [[Claudiano]], che costituiscono la fonte principale, sono di aiuto. Gli studiosi moderni hanno provato a formulare numerose teorie. Diversi studiosi, come Demougeut e Stein, hanno congetturato che, considerata la notevole ostilità tra Stilicone e i ministri di Arcadio, Alarico potrebbe essere stato sobillato per via diplomatica dalla corte romano-orientale a invadere l'Italia, al duplice fine di liberarsi dei ''foederati'' Goti e al contempo danneggiare Stilicone.<ref>{{cita|Ravegnani 2012|p. 49.}}</ref> Altri studiosi hanno tentato di fornire spiegazioni alternative. Secondo Cameron, numerose fonti attestano che i rapporti tra le due corti occidentale e orientale migliorarono notevolmente nel periodo 401-403 per poi peggiorare solo a partire dal 404, per cui è improbabile che la corte orientale avesse sobillato Alarico a invadere l'Italia; Cameron invece propone che, dopo aver stretto alleanza con gli Unni di Uldino, Arcadio potrebbe aver sobillato le armate di Uldino ad attaccare Alarico, costringendo dunque con la forza militare e non con subdole mosse diplomatiche quest'ultimo a spostarsi in Occidente.<ref>{{cita|Cameron, Long, Sherry|pp. 332name=Cam332-333.}}</ref> Secondo Burns, invece, nel 395 tutto l'Illirico sarebbe stato sotto la giurisdizione della parte orientale e solo nel 399/400 sarebbe avvenuto il trasferimento dell'Illirico Occidentale (Pannonia, Dalmazia e Norico) alla parte occidentale; con il trasferimento della Pannonia alla parte occidentale, stabilito da Gainas e Aureliano, sarebbero passati al servizio di Onorio anche i ''Foederati'' Goti di Alarico, che, non avendo ottenuto però dalla corte occidentale la stessa paga e gli stessi privilegi goduti quando erano al servizio di Costantinopoli, avrebbero deciso di invadere l'Italia per rivendicare i propri diritti.<ref>{{cita|Burns|p. 177.}}</ref>
 
Sfruttando l'irruzione in [[Rezia (provincia romana)|Rezia]] e [[Norico (provincia romana)|Norico]] dei [[Vandali]] e di altri barbari, Alarico [[Guerra gotica (402-403)|invase l'Italia]], probabilmente nel novembre 401. Determinato a non ritornare in Illiria, ma ad ottenere un insediamento per il suo popolo (i [[Visigoti]]) sul suolo italico, portò con sé tutto il suo popolo e le spoglie ottenute dai saccheggi in Oriente. Occupate le Venezie, Alarico diresse il suo esercito in direzione di [[Milano romana|Milano]], capitale dell'[[Impero romano d'Occidente]], con l'intento di espugnarla. Fu però sconfitto a Stilicone a [[Battaglia di Pollenzo|Pollenzo]] e a [[Battaglia di Verona (403)|Verona]] e spinto al ritiro. Stilicone aveva spinto Alarico al ritiro accettando di assoldare le sue truppe come ''foederati'': concesse loro di occupare terre in Dalmazia e in Pannonia, e garantì ad Alarico il titolo di governatore militare dell'Illirico occidentale. Stilicone intendeva ora impiegare Alarico come alleato contro l'Impero d'Oriente.
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In vista della progettata campagna contro l'Impero d'Oriente, Stilicone rifiutò di riconoscere il console romano-orientale per l'anno 405 e vietò alle navi romano-orientali l'accesso ai porti romano-occidentali; al contempo, si mise in contatto con Alarico, ordinandogli di invadere l'[[Epiro (provincia romana)|Epiro]], all'epoca sotto la giurisdizione di Costantinopoli, e attendere in quella provincia l'arrivo delle truppe di Stilicone. Le intenzioni di Stilicone erano evidentemente di costringere Arcadio a restituire all'Occidente romano l'Illirico orientale per poi concedere ad Alarico il governo militare delle province conquistate, con la carica di ''magister militum per Illyricum''. Proprio in vista dell'auspicato ritorno dell'Illirico orientale sotto la giurisdizione della parte occidentale, Stilicone aveva già eletto il prefetto del pretorio dell'Illirico, [[Giovio]], ancora prima che le operazioni cominciassero effettivamente. L'invasione dell'Italia da parte di [[Radagaiso]], [[Battaglia di Fiesole (405)|avvenuta nel corso del 405-406]], e l'invasione della Gallia del 406-407 (sia [[Attraversamento del Reno|da parte]] di [[Vandali]], [[Alani]] e [[Suebi]], che da parte delle truppe ribelli sotto il comando dell'usurpatore [[Costantino III (usurpatore)|Costantino III]]), trattennero Stilicone dal raggiungere Alarico in Epiro, e alla fine la spedizione fu annullata.
 
[[Alarico]], contrariato per l'annullamento della spedizione senza che avesse ricevuto alcuna ricompensa o almeno un rimborso spese per il mantenimento delle sue truppe per tutto il tempo che era rimastotrascorso in Epiro in attesa di [[Stilicone]], decise di marciare in [[Norico (provincia romana)|Norico]], da dove minacciò un attacco all'Italia nel caso il governo di [[Onorio (imperatore romano)|Onorio]] non gli avesse pagato 4.000 libbre d'oro, da intendersi come rimborso spese per tutto il tempo in cui i Visigoti avevano occupato per conto dell'Impero d'Occidente l'Epiro, e avevano atteso lì Stilicone, senza ricevere né stipendi, né compensi di altra forma per i servigi che stavano prestando in favore di Stilicone.<ref name=ZosV29>Zosimo, V,29.</ref> Il [[senato romano|senato]] si riunì e sembrava preferire la guerra al pagamento degli arretrati alle truppe mercenarie gotiche comandate da Alarico, quando intervenne Stilicone che spiegò che Alarico era intervenuto in Epiro per assistere l'Impero d'Occidente nel tentativo di recuperare l'Illirico orientale e che la spedizione avrebbe avuto successo se Onorio non avesse annullato la spedizione persuaso in ciò da [[Serena (principessa romana)|Serena]], moglie di Stilicone, che mirava, contrariamente ai piani del marito, alla concordia tra le due parti dell'Impero; Stilicone concluse il discorso asserendo che Alarico rivendicava a ragione il pagamento proprio per i servigi resi all'Impero d'Occidente nell'Illirico.<ref name=ZosV29/> Il senato, di fronte alla superiore autorità di Stilicone, fu persuaso a malavogliacontrovoglia ad accettare di versare il tributo ad Alarico, ma non tutti si sottomisero: un senatore di nome [[Lampadio (praefectus urbi)|Lampadio]] affermò audacemente che il pagamento ad Alarico non era "«una pace ma un trattato di servitù"», per poi rifugiarsi in chiesa timoroso delle insidie di Stilicone.<ref name=ZosV29/>
 
[[Stilicone]], a questo punto, intendeva utilizzare i ''[[foederati]]'' goti di [[Alarico]] per recuperare il controllo della [[Gallia]], in quel momento in mano dell'usurpatore [[Costantino III (usurpatore)|Costantino III]], nonché [[Attraversamento del Reno|devastata]] da [[Vandali]], [[Alani]] e [[Suebi]].<ref name=ZosV31>Zosimo, V,31.</ref> A tal fine, in un incontro avvenuto a Bologna con [[Onorio (imperatore romano)|Onorio]], ricevette dall'Imperatore una lettera da consegnare ad Alarico, in cui veniva affidato al re dei Goti il compito di combattere, al servizio di Onorio, l'usurpatore gallico Costantino III, nonché Vandali, Alani e Svevi.<ref name=ZosV31/> Stilicone rassicurò Onorio che lui stesso si sarebbe recato a [[Costantinopoli]] per mettere al sicuro la successione di [[Teodosio II]], succeduto da poco tempo ad [[Arcadio]].<ref name=ZosV31/> Dopo che Onorio partì alla volta di Pavia, Stilicone esitò a partire per Costantinopoli.<ref name=ZosV32>Zosimo, V,32.</ref> Nel frattempo, la fazione della corte di Onorio contraria alla politica filogotica e antibizantina di Stilicone, capeggiata dal cortigiano [[Olimpio (magister officiorum)|Olimpio]], decise di passare all'azione per provocare la rovina di Stilicone.<ref name=ZosV32/> Olimpio intendeva provocare una rivolta dell'[[esercito romano]] radunato a Pavia in vista della prevista campagna in Gallia contro l'usurpatore Costantino III: il cortigiano intrigante insinuò di fronte all'Imperatore e alle truppe che Stilicone fosse la causa di tutte le calamità che stavano flagellando l'Impero.<ref name=ZosV32/> Lo accusò di stare brigando con Alarico, di aver sobillato i Vandali, gli Alani e gli Svevi a invadere la Gallia e di avere intenzione di recarsi a Costantinopoli per detronizzare Teodosio II e porre al suo posto sul trono romano-orientale suo figlio [[Eucherio (figlio di Stilicone)|Eucherio]]; inoltre, insinuò che, ben presto, avrebbe sfruttato l'indebolimento dell'Impero per detronizzare Onorio stesso e divenire così il padrone assoluto di entrambe le parti dell'Impero.<ref name=ZosV32/> L'esercito di Pavia, sobillato da Olimpio, si rivoltò, mettendo a sacco la città e giustiziando i principali sostenitori di Stilicone.<ref name=ZosV32/> Onorio, convinto da Olimpio della fondatezza delle accuse di tradimento che pendevano su Stilicone, ordinò alle truppe di Ravenna di catturarlo e giustiziarlo.<ref name=ZosV34>Zosimo, V,34.</ref> Stilicone fu giustiziato il 23 agosto del 408 per opera di [[Eracliano (usurpatore)|Eracliano]].<ref name=ZosV34/>
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In seguito all'uccisione di Valentiniano III, assunse il trono [[Petronio Massimo]]; i [[Vandali]] di [[Genserico]], però, non riconobbero il nuovo Imperatore e colsero il pretesto per rompere il trattato con l'Impero e invadere l'Italia; nel 455 avvenne il [[Sacco di Roma (455)|sacco di Roma]] ad opera dei Vandali di Genserico, mentre Petronio Massimo, che tentava la fuga, venne linciato dalla popolazione. Quando [[Avito]], un generale romano che era stato in precedenza ambasciatore presso i [[Visigoti]], seppe del sacco di Roma e dell'uccisione di Petronio Massimo, su suggerimento del re visigoto [[Teodorico II (Visigoti)|Teodorico II]], si autoproclamò Imperatore con il sostegno dei Visigoti e dell'aristocrazia gallica e, con l'appoggio dei Visigoti, marciò fino a Roma, facendosi riconoscere Imperatore.<ref>{{cita|Ravegnani 2012|p. 137.}}</ref> Avito, essendo stato imposto dai ''foederati'' Visigoti come Imperatore, mantenne buone relazioni con essi e affidò loro il compito di sconfiggere gli [[Suebi|Svevi]], che avevano invaso le province romane di [[Cartaginense]] e [[Tarraconense]], rinforzando l'esercito visigoto con ''foederati'' [[Burgundi]]. La spedizione visigota ebbe successo e gli Svevi furono costretti a ritirarsi in Galizia, ma i Visigoti non esitarono a spogliare dei propri beni gli stessi cittadini romani che dovevano difendere e a impadronirsi di fatto del controllo dei territori conquistati in Spagna a scapito dell'Impero. Avito, nel frattempo, intervenne in Pannonia, riuscendo a costringere gli [[Ostrogoti]] a riconoscere la sua sovranità sulla provincia, come ''Foederati''.<ref>{{cita|Ravegnani 2012|p. 138.}}</ref> Inviò, inoltre, il generale di origini barbariche Ricimero a fermare i saccheggi dei Vandali in Italia meridionale e in Sicilia: Ricimero riuscì nell'impresa e fu ricompensato con la promozione a ''magister militum praesentalis''.<ref>{{cita|Ravegnani 2012|p. 139.}}</ref>
 
Avito, tuttavia, si attirò ben presto l'ostilità di gran parte della popolazione romana, del senato e dell'esercito, capeggiato da Maggioriano e Ricimero, che presto tramarono per deporlo. Infatti, un Imperatore gallico imposto dai Visigoti era stato accettato a malavogliacontrovoglia dall'aristocrazia italica. Come se non bastasse, l'interruzione dei rifornimenti provenienti dall'Africa occupata dai Vandali provocò la carestia in città e la popolazione affamata chiedeva all'Imperatore di congedare le truppe visigote così da non dover sfamare anch'esse; le truppe visigote chiedevano a loro volta di essere pagate, ma non disponendo di denaro sufficiente, l'Imperatore Avito fu costretto a fondere le statue superstiti al sacco dei Vandali, non facendo altro che far crescere l'opposizione nei suoi confronti. E così, quando i Visigoti partirono dall'Italia per combattere gli Svevi in Spagna, i generali Maggioriano e Ricimero si rivoltarono apertamente costringendo Avito a fuggire ad Arelate, da dove implorò il re visigoto di intervenire in suo soccorso, senza successo. Avito rientrò in Italia con le truppe a sua disposizione ma fu vinto presso Piacenza e detronizzato (456). La fine di Avito provocò la rivolta della [[prefettura del pretorio delle Gallie|prefettura gallica]], che non volle riconoscere il nuovo Imperatore Maggioriano e si separò dall'Impero, con l'appoggio dei Visigoti e dei Burgundi, che approfittarono delle discordie interne dell'Impero per espandere la propria sfera di influenza: i Burgundi in particolare si espansero nella Valle del Rodano, occupando temporaneamente Lione con l'appoggio della popolazione locale.<ref>{{cita|Ravegnani 2012|p. 140.}}</ref>
 
[[File:MajorianEmpire.png|thumb|upright=1.4|L'Impero romano d'Occidente sotto [[Maggioriano]]. Si noti come l'[[Illiria|Illirico]] fosse solo nominalmente sotto il dominio dell'imperatore, mentre il potere effettivo era tenuto dal ''comes'' [[Marcellino (generale romano)|Marcellino]]; anche la [[Gallia]] e parte dell'[[Hispania]] erano di fatto, all'inizio del regno di Maggioriano, fuori dal controllo dell'imperatore, in quanto occupate dai [[Visigoti]] e dai [[Burgundi]].]]
 
Maggioriano tentò di risollevare le sorti dell'Impero d'Occidente tentando di riconquistare la Gallia, la Spagna e l'Africa, ma, non potendo contare su truppe romane, essendo ormai l'esercito costituito quasi esclusivamente da barbari, dovette reclutare molti barbari da oltre Danubio; per fronteggiare le incursioni dei Vandali, inoltre, potenziò la marina militare romana, che ai quei tempi era decaduta a tal punto da essere praticamente scomparsa.<ref>{{cita|Ravegnani 2012|p. 143.}}</ref> Essendo intenzionato a recuperare il controllo della prefettura gallica, finita sotto il controllo dei separatisti romano-gallici appoggiati dai ''foederati'' Visigoti e Burgundi, Maggioriano ordinò al suo generale [[Egidio]], che stava provvedendo alla difesa della frontiera del Reno dalle incursioni dei ''foederati'' Franchi, di dirigersi verso Lione per riconquistarla ai Burgundi: Egidio riuscì nell'impresa, e verso la fine del 458 Maggioriano attraversò le Alpi alla testa della sua armata di mercenari barbari entrando a Lione. Maggioriano giunse a un comprommessocompromesso con i ''foederati'' Burgundi, riconoscendo loro il possesso dei territori della Valle del Rodano conquistati durante la rivolta, ad eccezione di Lione, in cambio del loro riconoscimento ad Imperatore.<ref>{{cita|Ravegnani 2012|p. 144.}}</ref> Ricondotti i Burgundi al servizio dell'Impero in qualità di ''foederati'', Maggioriano volse contro i ''foederati'' Visigoti, impedendo loro di conquistare Arelate e spingendoli a riconoscerlo come Imperatore e di passare al suo servizio come ''foederati''. Maggioriano affidò dunque ai Visigoti il compito di proseguire la guerra contro gli Svevi in Galizia, inviando loro dei rinforzi sotto il comando del generale romano [[Nepoziano]]. Mentre i Visigoti, coadiuvati dai Romani, proseguivano con nuovi successi la guerra contro gli Svevi, Maggioriano allestì una potente flotta in Spagna, con l'intento di riconquistare l'Africa ai Vandali; la flotta fu però distrutta dai pirati vandali con l'aiuto di traditori e l'Imperatore fu costretto a rinunciare alla riconquista dell'Africa e a firmare con Genserico un trattato oneroso con cui l'Impero, probabilmente, riconosceva ai Vandali il possesso della Mauritania e probabilmente anche della Sardegna, Corsica e Baleari.<ref>{{cita|Ravegnani 2012|p. 145.}}</ref> Congedata la sua armata composta da mercenari barbari, Maggioriano ritornò in Italia, dove fu però detronizzato e giustiziato per volere di Ricimero nei pressi di Tortona nell'agosto del 461. Ricimero designò come nuovo Imperatore d'Occidente [[Libio Severo]].
 
[[File:Reame di Siagrio (486).png|upright=1.6|thumb|Area controllata da [[Siagrio]], figlio e successore di Egidio.]]
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[[File:Europe at the fall of the Western Roman Empire in 476.jpg|thumb|upright=1.4|I regni romano-barbarici dopo il 476]]
 
L'esercito romano d'Italia era però ormai quasi esclusivamente costituito da truppe di mercenari [[Sciri]], [[Rugi]], [[Eruli]] e [[Turcilingi]]: quando essi pretesero dallo Stato romano un terzo delle terre dell'Italia, e ricevettero il rifiuto dal generale Oreste, che governava l'Impero per conto del figlio e Imperatore nominale [[Romolo Augusto]], essi si rivoltarono, elessero come capo uno di costoro, [[Odoacre]], e marciarono verso Ravenna. Deposto Romolo Augusto, Odoacre decise di non nominare più un Imperatore d'Occidente, anche perché sarebbe stato solo un suo imperatore fantoccio, per cui l'Impero aveva ormai perso ogni ragione di esistere. Inviò, invece, un'ambasceria presso [[Zenone (imperatore)|Zenone]], Imperatore d'Oriente. L'ambasceria del [[senato romano]], presentatosi di fronte a Zenone, gli comunicò che non erano più necessari due imperatori ma che ora ne era sufficiente soltanto uno, quello di Costantinopoli, e chiese a Zenone di riconoscere ad Odoacre il titolo di patrizio: quest'ultimo, in cambio avrebbe governato l'Italia come funzionario dell'Impero d'Oriente.<ref>Malco, frammento 10.</ref> Così cadde l'Impero d'Occidente, a causa di una rivolta interna dell'esercito romano ormai imbarbaritosi al punto da portare l'Impero sotto il controllo dei barbari.:
{{Citazione|Già da qualche tempo i Romani avevano cominciato ad accogliere nel loro esercito gli Sciri, gli Alani e alcune popolazioni gotiche, e da quel momento avevano dovuto soffrire per mano di Alarico e di Attila i disastri che ho narrato nei libri precedenti. E nella misura in cui aumentava in mezzo a loro il numero dei barbari, declinava il prestigio dei militari romani; sotto lo specioso nome di alleanza, essi subivano il predominio e le imposizioni degli stranieri, tanto che senza alcun ritegno, i barbari li costringevano contro la loro volontà a molte concessioni e alla fine pretesero di dividere con loro tutti i territori dell'Italia. Essi chiesero a Oreste di concedere loro un terzo delle campagne e, siccome egli non volle assolutamente cedere a questa richiesta, lo uccisero.|Procopio di Cesarea, ''Storia delle guerre'', V,1.}}
 
Non tutta la parte occidentale dell'Impero era caduta sotto il dominio dei Barbari. Giulio Nepote, dopo essere stato detronizzato nel 475 ed essere fuggito dall'Italia, continuava a governare in esilio in Dalmazia, rivendicando il titolo di Imperatore d'Occidente fino al 480, quando fu assassinato in una congiura. La parte orientale si era rifiutata di riconoscere il successore di Giulio Nepote, Romolo Augusto, come Imperatore legittimo, considerandolo alla stregua di un usurpatore, tanto che quando Odoacre, tramite un'ambasceria, chiese all'Imperatore Zenone di essere riconosciuto come governatore d'Italia in sua vece e di nominarlo inoltre patrizio, quest'ultimo gli rammentò che un imperatore d'Occidente era ancora in carica, ed era Giulio Nepote, che governava in esilio dalla Dalmazia. Zenone rispose ad Odoacre che avrebbe dovuto permettere a Nepote di tornare in Italia per governarvi come Imperatore, e che quest'ultimo in cambio avrebbe potuto garantirgli la carica di patrizio. Tuttavia, Odoacre non permise mai a Nepote di tornare dalla Dalmazia, anche se fece battere delle monete in suo nome. Quando nel 480, Nepote perì in una congiura, Odoacre invase e sottomise la Dalmazia. Alcuni studiosi considerano questa la vera data della caduta dell'Impero d'Occidente, dato che istituzionalmente Romolo Augusto era un usurpatore e l'ultimo Imperatore legittimo, Giulio Nepote, continuò a governare in Dalmazia fino al 480.
 
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Zenone inviò quindi un'ambasceria a Teodorico Amalo ordinandogli, essendo un generale romano, di marciare contro il nemico; Teodorico obbedì, ma non prima di aver ottenuto dall'Imperatore e dal [[Senato bizantino|Senato]] il giuramento che non avrebbero mai negoziato con Teodorico Strabone.<ref name=Malco15/> Teodorico avrebbe dovuto ricevere rinforzi consistenti dai Romani, ma questi ultimi non rispettarono i patti, e quando i Goti di Teodorico arrivarono in prossimità degli accampamenti dei Goti di Teodorico Strabone, quest'ultimo raggiunse l'accampamento di Teodorico Amalo e lo rimproverò, dandogli del sempliciotto per non essersi reso conto del piano dei Romani, che desideravano liberarsi di entrambe le due armate gotiche, istigandole alla mutua distruzione, ed erano indifferenti su quale dei due partiti avrebbe vinto.<ref name=Malco15/> Questa argomentazione convinse i seguaci di Teodorico Amalo e i due schieramenti decisero di allearsi contro Zenone (478).<ref name=Malco15/>
 
I due generali ostrogoti inviarono ambasciatori a Costantinopoli.<ref name=Malco16>Malco, frammento 16.</ref> Teodorico Amalo, lamentandosi con Zenone per averlo ingannato con false promesse, richiedeva la concessione di territori al suo popolo, del grano per poter mantenere la sua armata durante la carestia, e minacciò, in caso di mancata accetazioneaccettazione della sua richiesta, il saccheggio dei territori imperiali, in modo da potersi mantenere.<ref name=Malco16/> Teodorico Strabone richiese il rinnovo del trattato che costui aveva firmato con Leone nel 473, con il pagamento di un tributo.<ref name=Malco16/> Zenone si preparò alla guerra, informando le sue truppe della sua intenzione di condurre di persona l'esercito.<ref name=Malco16/> Ciò generò enorme entusiasmo tra i soldati, ma all'ultimo momento Zenone cambiò idea, e le armate minacciarono una rivolta, per prevenire la quale l'esercito fu disgregato e i reggimenti inviati ai loro quartieri invernali.<ref name=Malco16/>
 
Con il suo esercito sbandato, e con Teodorico Amalo intento nel devastare le regioni della Tracia limitrofe al Monte Rodope, ai confini tra Tracia e Macedonia, Zenone fu costretto a negoziare un'alleanza con Teodorico Strabone.<ref name=Malco17>Malco, frammento 17.</ref> Teodorico Strabone accettò la pace e l'alleanza con l'Imperatore a condizione che fosse pagato annualmente con una somma sufficiente a pagare 13.000 soldati; che dovesse essere assunto al comando di due ''scholae'' e nominato ''magister militum praesentalis'', e ricevere tutte le dignità che Basilisco gli aveva assegnato; che i suoi connazionali dovessero abitare una città assegnata da Zenone.<ref name=Malco17/> Zenone accettò l'accordo: Teodorico fu deposto dalla carica di ''magister militum'', e sostituito da Teodorico Strabone (fine del 478).<ref name=Malco17/>
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Le origini di questo cambiamento di significato non sono certe. Secondo un frammento di Olimpiodoro:
 
{{Citazione|Ai tempi di Onorio il termine buccellario fu attribuito non solo ai soldati romani ma anche a certi Goti. In modo simile il nome di ''foederati'' fu dato a reggimenti di uomini diversi e misti.|Olimpiodoro di Tebe, frammento 7 (Muller).}}
 
Il frammento di Olimpiodoro, per il resto oscuro, potrebbe implicare che per ''Foederati'' non si intendevano unicamente i contingenti irregolari di barbari reclutati tra le tribù insediate all'interno dei confini in seguito a un trattato, ma anche bande miste di mercenari barbari di differenti etnie sotto il comando di un comandante barbaro, come ad esempio Saro, che accettavano di combattere per Roma come volontari. Una legge del 406, in cui Onorio esorta gli schiavi di ''comitatenses'', ''foederati'' e ''dediticii'' ad arruolarsi nell'esercito, potrebbe riferirsi proprio a queste bande miste di mercenari barbari.<ref>{{cita|Jones|pp. 665.}}</ref> Sinesio, intorno al 410, narra che in Cirenaica vi erano alleati barbari unnigardi sotto il comando di un generale romano, Anisio, e che ricevevano cavalli, armi e paga dal governo romano. La vita di Daniele lo Stilita narra che una banda di Barbari proveniente dalla Gallia fu reclutata dall'Imperatore d'Oriente Leone e il capo di questi mercenari, Tito, ricevette il titolo di ''comes''; tuttavia, andrebbe fatto notare che i mercenari barbari di Tito vengono chiamati dalla fonte ''buccellarii''. Sembrerebbe che queste bande di alleati barbari furono gradualmente integrati nell'esercito regolare, e da essi si sarebbero originati i ''Foederati'' nell'accezione del VI secolo.<ref>{{cita|Jones|p. 666.}}</ref>