Socii e foederati: differenze tra le versioni
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==== Teodosio e i Goti ====
{{vedi anche|Guerra gotica (376-382)}}
Nel corso del IV secolo, fino almeno alla [[Guerra gotica (376-382)|crisi gotica del 376-382]], i ''Foederati'' erano esclusivamente ''extra fines'', ovvero continuavano a risiedere al di fuori dei confini dell'Impero, impegnandosi a non invaderlo e anzi ad aiutarlo contro incursioni di altre popolazioni barbariche, costituendo dunque una prima linea di difesa avanzata.<ref name=Zec129>{{cita|Zecchini|p. 129.}}</ref> I ''foederati'' Saraceni, posti sotto il governo di un filarca, in cambio di approvvigionamenti regolari di annona (''annonae foederaticiae''), contribuivano ad esempio alla difesa del ''limes'' orientale contro i Persiani. I ''Foederati extra fines'' spesso fornivano truppe mercenarie all'Impero in occasione di specifiche campagne militari.
Nel [[376]], tuttavia, i [[Goti]] [[Tervingi]], scacciati dalle loro sedi dagli attacchi degli [[Unni]], chiesero all'Imperatore [[Valente (imperatore romano)|Valente]] il permesso di stabilirsi sulla riva sud del [[Danubio]] e vennero accettati all'interno dell'Impero. I propagandisti di corte elogiarono Valente per l'ammissione dei Goti Tervingi, in quanto in questo modo si assicurava una considerevole fonte di reclutamento nonché un'ulteriore fonte di entrate per il fisco.<ref>{{cita|Heather|p. 200.}}</ref> In realtà, stando alla tesi di Heather, è possibile che Valente fosse stato costretto ad accogliere i Goti, in quanto il grosso del suo esercito di campo era in Oriente impegnato in operazioni militari contro la Persia, e in Tracia era rimasto un numero troppo esiguo di truppe per opporsi con successo a un eventuale attraversamento non autorizzato del Danubio da parte dei Goti.<ref>{{cita|Heather|pp. 203-204.}}</ref> In effetti, il fatto che Valente intendesse limitare i danni, non accogliendo troppi barbari per volta, è confermato dal fatto che rifiutò l'ammissione dei Goti [[Greutungi]], nonostante anch'essi ne avessero fatto richiesta.<ref>{{cita|Heather|p. 204.}}</ref>
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A conferma che la fedeltà dei ''Foederati'' goti era assai dubbia, nel 388 l'usurpatore occidentale [[Magno Massimo]] riuscì a corromperne molti, con la promessa di grandi ricompense, persuadendoli a tradire Teodosio; l'Imperatore, scoperte le intenzioni proditorie dei Barbari, costrinse i mercenari traditori a fuggire per le paludi e per le foreste della Macedonia, cercandoli con grande diligenza.<ref>Zosimo, IV,45.</ref> Tornato a Costantinopoli dopo la sconfitta dell'usurpatore, nel 391, Teodosio scoprì che, durante la sua permanenza in Italia, i disertori barbari erano usciti dalle foreste e dalle paludi e stavano devastando la Macedonia e la Tessaglia. Teodosio intervenne rapidamente alla testa delle sue armate, ma, dopo alcuni iniziali successi, fu messo in difficoltà dalla controffensiva gota, e si salvò solo per l'intervento tempestivo dei rinforzi condotti dal generale Promoto, che repressero la rivolta.<ref>Zosimo, IV,49.</ref> Intorno sempre allo stesso periodo, stando ad alcune allusioni contenute nei panegirici di Claudiano, i Goti di stanza in Tracia si rivoltarono, guidati da [[Alarico I|Alarico]], e tesero un'imboscata all'Imperatore mentre stava tornando a Costantinopoli lungo la [[Via Egnazia]]; presumibilmente l'Imperatore era di ritorno dalla campagna militare contro i Goti di stanza in Macedonia.<ref>{{cita|Cesa|p. 57.}}</ref> In ogni modo, Teodosio si salvò a stento, e la situazione si aggravò allorquando numerose popolazioni barbariche provenienti al di là del Danubio si unirono ai Goti nella devastazione della Tracia, nel corso della quale il generale Promoto fu ucciso dagli invasori [[Bastarni]] in un'imboscata. In ogni modo, la rivolta dei Goti di Alarico, come anche le incursioni degli altri invasori barbari in Tracia, fu repressa dal generale [[Stilicone]], che stipulò con i Barbari un nuovo trattato di alleanza che prevedeva verosimilmente l'obbligo da parte loro di prendere parte alla campagna militare contro l'usurpatore occidentale Eugenio. Questo trattato di alleanza fu stipulato non solo con i Goti di Alarico ma anche con i cosiddetti Unni di Tracia, che, stando a un frammento di [[Giovanni di Antiochia (cronista)|Giovanni di Antiochia]], presero parte anch'essi alla campagna militare contro Eugenio.<ref>{{cita|Cesa|p. 58.}}</ref>
Le truppe di ''Foederati'' barbari che presero parte alla campagna militare contro Eugenio, secondo Zosimo, erano sotto la supervisione di ufficiali romani, seppur di origini barbariche: costoro erano il goto [[Gainas]], l'alano Saul e l'ibero [[Bacurio d'Iberia|Bacurio]]. Alla campagna ebbe un ruolo di comando almeno su parte dei ''Foederati'' Goti anche Alarico, a cui Teodosio aveva promesso un ruolo di comando nell'esercito romano in caso di successo. I Goti alla fine risultarono decisivi nella [[battaglia del Frigido]], nella quale subirono perdite consistenti (10.000 caduti), contribuendo alla sconfitta dell'usurpatore occidentale [[Eugenio]].<ref>Zosimo, IV,58.</ref> [[Orosio]] scrisse che con la vittoria del Frigido Teodosio ottenne in un colpo solo due successi: uno sull'usurpatore e un altro sugli alleati Goti, che risultarono così indeboliti.<ref>Orosio, VII,35.</ref>
==== La crisi germanica e la sua risoluzione in Oriente ====
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[[Stilicone]], a questo punto, intendeva utilizzare i ''[[foederati]]'' goti di [[Alarico]] per recuperare il controllo della [[Gallia]], in quel momento in mano dell'usurpatore [[Costantino III (usurpatore)|Costantino III]], nonché [[Attraversamento del Reno|devastata]] da [[Vandali]], [[Alani]] e [[Suebi]]; a tal fine, nel corso di un incontro avvenuto a Bologna con [[Onorio (imperatore romano)|Onorio]], fu scritta una lettera da consegnare al re goto per informarlo del suo nuovo incarico.<ref name=ZosV31>Zosimo, V,31.</ref> Stilicone rassicurò Onorio che lui stesso si sarebbe recato a [[Costantinopoli]] per mettere al sicuro la successione di [[Teodosio II]], succeduto da poco tempo ad [[Arcadio]].<ref name=ZosV31/> Dopo che Onorio partì alla volta di Pavia, tuttavia, Stilicone esitò a partire per Costantinopoli.<ref name=ZosV32>Zosimo, V,32.</ref> Nel frattempo, la fazione della corte di Onorio contraria alla politica filogotica e antibizantina di Stilicone, capeggiata dal cortigiano [[Olimpio (magister officiorum)|Olimpio]], decise di passare all'azione per provocare la rovina del generale: Olimpio insinuò, di fronte all'Imperatore e all'esercito radunato a Pavia in vista della prevista campagna in Gallia contro l'usurpatore Costantino III, che Stilicone fosse la causa di tutte le calamità che stavano flagellando l'Impero.<ref name=ZosV32/> Lo accusò di stare brigando con Alarico, di aver sobillato i Vandali, gli Alani e gli Svevi a invadere la Gallia e di avere intenzione di recarsi a Costantinopoli per detronizzare Teodosio II e porre al suo posto sul trono romano-orientale suo figlio [[Eucherio (figlio di Stilicone)|Eucherio]]; inoltre, insinuò che, ben presto, avrebbe sfruttato l'indebolimento dell'Impero per detronizzare Onorio stesso.<ref name=ZosV32/> L'esercito di Pavia, sobillato da Olimpio, si rivoltò, mettendo a sacco la città e giustiziando i principali sostenitori di Stilicone.<ref name=ZosV32/> Onorio, convinto da Olimpio della fondatezza delle accuse di tradimento che pendevano su Stilicone, ordinò alle truppe di Ravenna di catturarlo e giustiziarlo.<ref name=ZosV34>Zosimo, V,34.</ref> Stilicone fu giustiziato il 23 agosto 408 per opera di [[Eracliano (usurpatore)|Eracliano]].<ref name=ZosV34/>
In seguito all'esecuzione di [[Stilicone]], i sostenitori e parenti del generale finirono per essere trascinati nella sua rovina.<ref name=ZosV35>Zosimo, V,35.</ref> In seguito alla presa di potere da parte di Olimpio, che con la nomina a ''[[magister officiorum]]'' era da poco diventato il primo ministro di Onorio, assunse il controllo dello Stato la fazione antibarbarica contraria all'imbarbarimento dell'esercito e alla negoziazione con Alarico: tale politica, tuttavia, provocò effetti deleteri per l'Impero, come dimostrò il fatto che il massacro delle famiglie dei guerrieri mercenari assoldati da Stilicone, attuato dai soldati romani forse sobillati da Olimpio, spinse i suddetti mercenari a disertare e aggregarsi all'esercito di Alarico, chiedendo al re visigoto di vendicare il massacro delle loro famiglie.<ref name=ZosV35/> Alarico ebbe così il pretesto per invadere di nuovo l'Italia al fine di ottenere condizioni sempre più favorevoli per i suoi guerrieri mercenari ricattando il governo di Ravenna: il re goto rivendicava in particolare un insediamento permanente all'interno dell'Impero per i suoi guerrieri mercenari e per le famiglie al loro seguito. Prima di invadere la penisola, tuttavia, Alarico tentò la via diplomatica, richiedendo al governo di Ravenna il pagamento di un tributo e la cessione di alcuni ostaggi, in cambio della rinuncia all'invasione della Penisola e del ritiro dei Visigoti in Pannonia.<ref>Zosimo, V,36.</ref> L'intransigente regime di Olimpio, tuttavia, rifiutava sia di negoziare con Alarico sia di prendere provvedimenti per arginare l'invasione, con il risultato che, visto ogni tentativo diplomatico fallire, Alarico invase l'Italia avanzando senza opposizione fino a Roma, che assediò per diverso tempo senza che l'Urbe ricevesse aiuti da Ravenna, e levando l'assedio solo dietro versamento di un tributo da parte delle autorità cittadine.
Prima di procedere al versamento del tributo, il senato romano inviò un'ambasceria a Onorio, per indurlo a negoziare una pace con Alarico e i Visigoti: questi ultimi, in cambio di denaro e della cessione in ostaggio di alcuni figli di persone di illustre rango, si impegnavano a sospendere le ostilità contro lo Stato romano e anzi passare di nuovo al suo servizio in qualità di ''foederati'' (alleati) dell'esercito romano.<ref name=ZosimoV42>Zosimo, V,42.</ref> Avendo ricevuto l'assenso di Onorio, il senato procedette a versare il tributo ad Alarico.<ref name=ZosimoV42/> Olimpio si oppose però alla prosecuzione delle trattative, spingendo Alarico a ripristinare il blocco all'Urbe, privando così i suoi abitanti della libertà di uscire dalle mura.<ref name=ZosimoV45>Zosimo, IV,45.</ref> Il senato romano, messo alle strette da Alarico, decise di inviare una nuova ambasceria presso Onorio, a cui si unirono [[Papa Innocenzo I]] ed alcuni visigoti inviati dal re goto come scorta per difendere l'ambasceria da eventuali attacchi nemici durante il viaggio.<ref name=ZosimoV45/> Mentre l'ambasceria era dall'Imperatore, a Ravenna giunse la notizia che l'esercito visigoto condotto dal cognato di Alarico, [[Ataulfo]], aveva oltrepassato le [[Alpi Giulie]] invadendo la Penisola; in seguito al fallimento da parte di Olimpio di impedire ad Ataulfo di ricongiungersi con Alarico rinforzando così il suo esercito, gli eunuchi di corte accusarono Olimpio per tutte le calamità che stavano colpendo l'[[Impero romano d'Occidente]], ottenendo la sua destituzione.<ref>Zosimo, V,46.</ref> Il nuovo primo ministro di Onorio, il prefetto del pretorio Giovio, riprese le negoziazioni con Alarico, che ebbero luogo a Rimini.<ref name=ZosimoV48>Zosimo, V,48.</ref> Le richieste del re goto erano un tributo annuale in oro e in grano, e lo stanziamento dei Visigoti in Norico, Pannonia e nelle Venezie.<ref name=ZosimoV48/> Giovio inviò le richieste di Alarico per iscritto all'Imperatore, suggerendogli inoltre di nominare il re goto ''[[magister militum]]'', nella speranza che ciò sarebbe bastato per convincerlo ad accettare la pace a condizioni meno gravose per lo Stato romano.<ref name=ZosimoV48/> Onorio, nella lettera di risposta, rimproverò Giovio per la sua temerarietà, sostenendo che sarebbe stato disposto a versare ad Alarico un tributo annuale, ma che mai e poi mai avrebbe accettato di nominarlo ''magister militum''.<ref name=ZosimoV48/> Quando Alarico fu informato che Onorio aveva rifiutato di nominarlo ''magister militum'', sentendosi insultato, ruppe ogni trattativa e si diresse di nuovo verso Roma.<ref>Zosimo, V,49.</ref> Durante la sua avanzata verso l'Urbe, però, Alarico cambiò idea, arrestando la sua marcia, e inviando ambasciatori a Ravenna per negoziare una nuova pace a condizioni più moderate delle precedenti: in cambio di un modesto tributo in grano e dello stanziamento dei Visigoti nella poco prospera provincia del Norico, il re goto avrebbe accettato la pace con lo Stato romano.<ref>Zosimo, V,50.</ref> Anche questa volta le richieste di Alarico vennero respinte, costringendo il re dei Visigoti a riprendere la marcia su Roma.<ref>Zosimo, V,51.</ref>
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[[File:Visigoths sack Rome.jpg|thumb|left|Raffigurazione del [[Sacco di Roma (410)|Sacco di Roma]] condotto dai [[Visigoti]] di [[Alarico]] nel [[410]].]]
Verso la fine del 409, Alarico assediò per la seconda volta Roma, minacciando di distruggerla a meno che gli abitanti della città non si fossero rivoltati contro Onorio e avessero eletto un imperatore fantoccio sotto il controllo dei Visigoti.<ref name=ZosimoVI6>Zosimo, VI,6.</ref><ref name=SozIX8>Sozomeno, IX,8.</ref> Il [[senato romano]], essendo conscio che se non avessero accettato le condizioni di Alarico, Roma sarebbe stata distrutta, dopo una lunga discussione, accettò di far entrare Alarico in città e di nominare un imperatore fantoccio sotto il controllo dei Visigoti, il [[praefectus urbi|prefetto della città]] [[Prisco Attalo]].<ref name=SozIX8/><ref name=ZosimoVI7>Zosimo, VI,7.</ref> Attalo nominò come propri ''magistri militum'' Alarico e Valente, mentre Ataulfo fu nominato comandante della cavalleria domestica.<ref name=ZosimoVI7/><ref name=SozIX8/> Alarico consigliò Attalo di inviare un esercito di barbari condotti dal visigoto Drumas in [[Africa (provincia romana)|Africa]] per rovesciare [[Eracliano (usurpatore)|Eracliano]] e sottomettere l'Africa, ricevendone però il rifiuto: Attalo inviò in Africa solo truppe romane, sotto il comando di Costante.<ref name=ZosimoVI7/><ref name=SozIX8/> Nel frattempo, Attalo inviò un esercito in direzione di Ravenna per detronizzare l'Imperatore legittimo Onorio.<ref name=SozIX8/><ref name=ZosimoVI7/> L'assedio, tuttavia, fallì per l'arrivo provvidenziale da Costantinopoli di truppe romano-orientali, che difesero efficacemente la città
Il suo successore, Ataulfo, portò i Goti in Gallia nel 412, dopo aver devastato per altri due anni l'Italia "come locuste", e portando con sé come ostaggi [[Galla Placidia]], sorella dell'Imperatore, e l'usurpatore [[Prisco Attalo]]. Nel 414 Ataulfo sposò la sorella di Onorio, Galla Placidia, tenuta in ostaggio prima da Alarico e poi da Ataulfo stesso fin dai giorni del sacco di Roma.<ref name=OroVII43>Orosio, VII,43.</ref><ref>Filostorgio, XII,4.</ref><ref>Olimpiodoro, frammento 15.</ref> Secondo Orosio, Ataulfo:
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Il matrimonio tra Ataulfo e Placidia non trovò però l'approvazione della corte di Onorio, che si rifiutò di negoziare con i Visigoti. Nel 414 Ataulfo rispose proclamando Imperatore fantoccio sotto il controllo dei Visigoti Attalo, salvo poi abbandonarlo ai Romani quando fu costretto a evacuare la Gallia di fronte all'avanzata delle legioni del nuovo generale di Onorio, [[Costanzo III|Flavio Costanzo]], che costrinsero i Goti alla negoziazione bloccando loro l'arrivo di rifornimenti.
Una pace definitiva con l'Impero arrivò solo nel
I Goti ottennero, in base all<nowiki>'</nowiki>''[[hospitalitas]]'', almeno un terzo, se non i due terzi, delle terre e delle abitazioni della regione, e godettero dell'esenzione dalle imposte;
Nonostante ciò, comunque, i Visigoti riuscirono, non solo ad ottenere il possesso definitivo delle province da loro occupate, ma persino ad espandere i territori da essi controllati su tutta la Gallia a sud della Loira e su gran parte della Spagna. L'indipendenza completa dall'Impero, ormai praticamente ridotto solo all'Italia e alla Dalmazia, arrivò comunque solo nel 475, appena un anno prima della sua caduta finale.
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Non va però dimenticato che Procopio è spesso inaccurato nel descrivere gli avvenimenti del V secolo, e inoltre nel 410 la Spagna non era più sotto il controllo di Onorio, bensì dell'usurpatore Massimo e del generale Geronzio: ammesso che lo stanziamento di Vandali, Alani e Svevi fosse stato autorizzato da autorità romane, è maggiormente plausibile che fossero stati Geronzio e Massimo ad autorizzarli, e non Onorio.<ref>{{cita|Cesa|pp. 143-144.}}</ref> In ogni modo, [[Orosio]], autore coevo agli avvenimenti, affermò esplicitamente l'illegalità di tali insediamenti.<ref>{{cita|Heather|p. 259.}}</ref> È possibile che, quando le armate di Onorio riconquistarono la Tarraconense, nel 411, l'Imperatore legittimo non riconobbe le concessioni fatte da Geronzio e Massimo, giustificando così l'affermazione di Orosio.
Dalle fonti risulta che quando Geronzio invase la Gallia, nel 411, portò con se truppe barbare reclutate tra gli invasori del Reno, tra cui alcuni Alani. Anche Costantino III, assediato ad Arelate dapprima dalle truppe di Geronzio e poi da quelle legittimiste di Onorio, fece affidamento su contingenti di ''foederati'' barbari, come Franchi e Alemanni, che però non riuscirono a salvarlo dalla deposizione. Poco prima della resa di Costantino III, giustiziato successivamente dalle truppe di Onorio, i ''foederati'' Burgundi e Alani, avendo compreso che l'usurpatore era prossimo alla caduta e non intendendo riconoscere l'autorità di Onorio, nel corso di una riunione tenutasi a Magonza, nominarono un nuovo usurpatore, [[Giovino (usurpatore)|Giovino]], che ottenne inoltre anche l'appoggio dell'aristocrazia gallica.<ref>Orosio, VII,42.</ref> Nel frattempo, nel 412, la Gallia fu invasa dai [[Visigoti]] di [[Ataulfo]], che cercarono di passare al servizio di Giovino: quest'ultimo e Ataulfo si trovarono presto in disaccordo e, in seguito alla decisione di Giovino di associare al trono il fratello [[Sebastiano (usurpatore)|Sebastiano]], il re dei Visigoti, non essendo d'accordo su questa decisione, si accordò con [[Onorio (imperatore romano)|Onorio]] per detronizzare i due usurpatori: sconfittoli in battaglia, li giustiziò e restituì la parte di Gallia non occupata dai Visigoti a Onorio. Nel 413, comunque, Onorio e il suo generale Costanzo decisero di riconoscere i Burgundi come ''Foederati'': a loro fu concesso di occupare parte del territorio sulla frontiera del Reno, nella provincia di ''Germania II''. Anche i Franchi continuarono ad agire come ''Foederati'' di Roma, anche se non proprio in modo leale: intorno al 413 devastarono la città di Treviri.<ref name=ToursII7/> Nel
Nel 416-418 i Visigoti, raggiunta la pace con l'Impero, combatterono, in qualità di ''Foederati'', Vandali, Alani e Svevi in Spagna, riuscendo a recuperare le province di [[Cartaginense]], [[Betica]] e [[Lusitania]], che restituirono ai Romani. Non è da escludere che gli Svevi, in questo periodo, fossero diventati ''Foederati'' di Roma, come sembrerebbero confermare le numerose negoziazioni diplomatiche riportate da [[Idazio]], ottenendo così il riconoscimento dell'occupazione della [[Galizia (provincia romana)|Galizia]]. Forse è proprio perché gli Svevi diventarono ''Foederati'' di Roma che nel 420 i Romani intervennero nel conflitto tra Vandali e Svevi in difesa di questi ultimi, costringendo i Vandali a migrare in Betica. Nel 422 i Vandali sconfissero i Romani in una grande battaglia campale, forse anche grazie a un presunto tradimento dei Visigoti, e negli anni successivi rafforzarono la loro autorità nella Spagna meridionale, devastandola.
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Mentre parte dell'[[esercito romano]] era impegnato in evitabili [[guerre civili (storia romana)|guerre civili]], i Barbari, ''foederati'' compresi, colsero l'occasione per espandere la propria sfera d'influenza.<ref>{{cita|Heather|p. 322.}}</ref> In particolare i [[Vandali]] e gli [[Alani]], uniti sotto la guida del loro re [[Genserico]], [[Conquista vandalica del Nord Africa|invasero l'Africa]], forse chiamati dal ''[[Comes Africae]]'' Bonifacio, rivoltatosi contro Ravenna (429). Bonifacio si pentì di aver chiamato in Africa i Vandali e gli Alani e tentò di spingerli al ritiro, ma gli invasori si rifiutarono e sconfissero Bonifacio in battaglia, costringendo l'Impero a firmare un trattato di pace nel 435, con cui ai Vandali e agli Alani furono assegnate parte della Mauritania e della Numidia, probabilmente in qualità di ''foederati'' dell'Impero; già nel 439, tuttavia, Genserico violò il trattato, conquistando Cartagine nel 439 e invadendo la Sicilia nel 440. L'Impero d'Occidente, non potendo contare sull'aiuto della parte orientale impegnata a respingere le incursioni degli [[Unni]] di [[Attila]], fu costretto a firmare uno svantaggioso trattato di pace con i Vandali nel 442: con questo trattato l'Impero ottenne le Mauritanie e una parte della Numidia, oltre alla Tripolitania, ma le province restituite erano state così devastate dai saccheggi nemici, che Valentiniano III fu costretto a ridurre a un ottavo della quota normale le tasse che quelle province erano tenute a versare allo Stato; in cambio i Vandali ottennero dall'Impero le province più produttive dell'Africa, ovvero il resto della Numidia, la Byzacena e la Proconsolare con la capitale Cartagine, e non più in qualità di ''foederati'', ma come stato sovrano. La perdita delle province più produttive dell'Africa e del loro gettito fiscale provocò un ulteriore indebolimento dell'esercito: nel 444 un decreto imperiale ammetteva che le finanze dello Stato, andate in forte crisi in seguito alla perdita del gettito fiscale dell'Africa, non erano più sufficienti per potenziare l'esercito, malgrado fosse necessario farlo a causa dei diversi nemici che lo minacciavano.<ref>{{cita|Heather|pp. 362-363.}}</ref> Alla difficoltà già presente di reclutare soldati tra i Romani, dovuta alle opposizioni dei proprietari terrieri a fornire soldati e dei contadini stessi, si aggiunse quindi il crollo del gettito fiscale, con conseguente impossibilità di potenziare un esercito già debole, per cui i Romani dovettero ricorrere sempre più spesso all'arruolamento di mercenari barbari.
Ezio faceva molto affidamento sui mercenari [[unni]], i quali erano stati determinanti per la conquista del potere supremo dello Stato. Nel 425 Ezio, con un esercito di 60.000 mercenari unni, era accorso in Italia in sostegno dell'usurpatore Giovanni Primicerio; arrivato troppo in ritardo per salvare Giovanni, Ezio riuscì però a costringere Galla a nominarlo generale nonostante fosse un sostenitore dell'usurpatore proprio grazie al grande potere che gli aveva fornito l'armata unna.<ref>Filostorgio, XII,14.</ref> In seguito, nel 433, Ezio riuscì a costringere Galla a nominarlo ''[[magister utriusque militiae]]'', ovvero generalissimo d'Occidente, invadendo l'Italia con altri mercenari unni. Ezio fece ampio uso di mercenari unni anche in Gallia: grazie al sostegno degli Unni, Ezio riuscì a vincere nel 436 i [[Burgundi]], massacrati dall'esercito romano-unno di Ezio, ridotti all'obbedienza e insediati come ''foederati'' intorno al [[lago di Ginevra]]; gli Unni risultarono poi decisivi anche nella repressione della rivolta dei [[bagaudi]] in Armorica e nelle vittorie contro i Visigoti ad [[battaglia di Arles|Arelate]], e [[battaglia di Narbona (436)|a Narbona]],<ref>{{cita|Heather|pp. 350-351.}}</ref> grazie alle quali nel 439 i Visigoti accettarono la pace alle stesse condizioni del 418.
Ormai l'esercito romano in Occidente era costituito quasi unicamente da barbari. Tra il 440 e il 443 Ezio autorizzò nuovi gruppi di barbari ad insediarsi in Gallia come ''foederati'': tra il 440 e il 442 stanziò Alani in Armorica affidando loro l'incarico di reprimere le rivolte dei Bagaudi, mentre nel 442/443 stanziò i Burgundi in Savoia (nei pressi del lago di Ginevra) affinché difendessero l'Impero contro altre minacce. Questi stanziamenti di ''foederati'', che avevano l'incarico di tenere a bada i ribelli e difendere le frontiere da altri barbari, generarono le proteste dei proprietari terrieri gallici, molti dei quali furono espropriati dei loro possedimenti da questi gruppi di ''foederati''. La politica dei trattati, con i quali si permetteva ai barbari di insediarsi all'interno dell'Impero, stava erodendo sempre di più il territorio controllato di fatto dall'Impero, ma non si poteva fare altrimenti, perché non si riuscivano più a respingere questi invasori.<ref>{{cita|Ravegnani 2012|pp. 107-108.}}</ref> I ''foederati'' Alani di re [[Goar]] insediati in Armorica si rivelarono comunque utili all'Impero reprimendo con successo, tra il 446 e il 448, la rivolta dei Bagaudi condotti da Tibattone. Nel frattempo, nel 446, Ezio dovette affrontare i Franchi, che avevano invaso la Gallia sconfinando dal proprio territorio, sconfiggendoli e firmando con essi un trattato di alleanza.<ref>{{cita|Ravegnani 2012|p. 109.}}</ref>
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[[File:rechila.gif|thumb|right|upright=1.6|Le conquiste del re svevo Rechila (438-448).]]
La situazione in Spagna si era, nel frattempo, deteriorata. Gli Svevi, infatti, avevano violato i trattati che avevano stretto con l'Impero e, sotto la guida del loro re [[Rechila]], avevano sottratto all'Impero gran parte della penisola iberica, conquistando Merida nel 439 e le province di Betica e Cartaginense nel 441. L'unica provincia ispanica rimasta sotto il controllo di Roma era la Tarraconense, dove tuttavia erano insorti i ribelli separatisti Bagaudi. Ezio si preoccupò soprattutto di reprimere le insurrezioni dei Bagaudi, ma effettuò anche un tentativo per recuperare Betica e Cartaginense agli Svevi inviando nel 446 in Spagna il generale Vito, con un esercito rinforzato da truppe di ''foederati'' Visigoti. Vito, affrontato in battaglia da Rechila, fu però sconfitto e costretto a ritirarsi. Dopo il fallimento della spedizione di Vito, gli Svevi, sotto la guida del loro nuovo re [[Rechiaro]], nel 449 si allearono addirittura con i Bagaudi della Tarraconense unendosi con essi nel saccheggio della regione. La situazione per l'Impero migliorò leggermente nel 453, allorché i ''foederati'' Visigoti repressero per conto dell'Impero la rivolta dei Bagaudi, restituendo la Tarraconense all'Impero; intorno sempre a questo periodo, Ezio riuscì a conseguire un modesto successo diplomatico, ottenendo dagli Svevi la restituzione della provincia di Cartaginense.
Quando gli Unni da alleati divennero nemici di Ezio e, condotti dal loro re [[Attila]], invasero la Gallia, Ezio non poté far altro che costituire un esercito "romano" in realtà formato da ''foederati'' Visigoti, Burgundi e numerose altre genti barbare: l'esercito romano che sconfisse Attila nella [[Battaglia dei Campi Catalaunici]] aveva in realtà ben poco di "romano".<ref>Giordane, 191.</ref> L'armata nazionale romana era praticamente scomparsa e negli ultimi decenni dell'Impero l'esercito era costituito quasi esclusivamente da mercenari e ''foederati'' barbari.
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In seguito alle uccisioni di [[Ezio]] (454) e [[Valentiniano III]] (455), gli ultimi imperatori d'Occidente erano praticamente Imperatori fantoccio, manovrati dai generalissimi di origine germanica, come il visigoto [[Ricimero]] e il burgundo [[Gundobado]]. L'unico Imperatore che cercò di condurre una politica autonoma da Ricimero fu [[Maggioriano]] (457-461): fu proprio perché Ricimero non riusciva a controllarlo che Maggioriano fu ucciso nel 461.
In seguito all'uccisione di Valentiniano III, assunse il trono [[Petronio Massimo]]; i [[Vandali]] di [[Genserico]], però, non riconobbero il nuovo Imperatore e colsero il pretesto per rompere il trattato con l'Impero e invadere l'Italia; nel 455 avvenne il [[Sacco di Roma (455)|sacco di Roma]] ad opera dei Vandali di Genserico, mentre Petronio Massimo, che tentava la fuga, venne linciato dalla popolazione. Essendo rimasto vacante il trono in seguito a questi avvenimenti, i ''foederati'' [[Visigoti]] e l'aristocrazia romano-gallica tentarono di imporre il loro candidato al trono, [[Avito]], un generale romano che era stato in precedenza ambasciatore presso i Visigoti. Con
Avito, tuttavia, si attirò ben presto l'ostilità di gran parte della popolazione romana, del senato e dell'esercito, capeggiato da Maggioriano e Ricimero, che presto tramarono per deporlo. Infatti, un Imperatore gallico imposto dai Visigoti era stato accettato controvoglia dall'aristocrazia italica. Come se non bastasse, l'interruzione dei rifornimenti provenienti dall'Africa occupata dai Vandali provocò la carestia in città e la popolazione affamata chiedeva all'Imperatore di congedare le truppe visigote così da non dover sfamare anch'esse; le truppe visigote chiedevano a loro volta di essere pagate, ma non disponendo di denaro sufficiente, l'Imperatore Avito fu costretto a fondere le statue superstiti al sacco dei Vandali, non facendo altro che far crescere l'opposizione nei suoi confronti. E così, quando i Visigoti partirono dall'Italia per combattere gli Svevi in Spagna, i generali Maggioriano e Ricimero si rivoltarono apertamente costringendo Avito a fuggire ad Arelate, da dove implorò il re visigoto di intervenire in suo soccorso, senza successo. Avito rientrò in Italia con le truppe a sua disposizione ma fu vinto presso Piacenza e detronizzato (456). La fine di Avito provocò la rivolta della [[prefettura del pretorio delle Gallie|prefettura gallica]], che non volle riconoscere il nuovo Imperatore Maggioriano e si separò dall'Impero, con l'appoggio dei Visigoti e dei Burgundi, che approfittarono delle discordie interne dell'Impero per espandere la propria sfera di influenza: i Burgundi in particolare si espansero nella Valle del Rodano, occupando temporaneamente Lione con l'appoggio della popolazione locale.<ref>{{cita|Ravegnani 2012|p. 140.}}</ref>
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[[File:MajorianEmpire.png|thumb|upright=1.4|L'Impero romano d'Occidente sotto [[Maggioriano]]. Si noti come l'[[Illiria|Illirico]] fosse solo nominalmente sotto il dominio dell'imperatore, mentre il potere effettivo era tenuto dal ''comes'' [[Marcellino (generale romano)|Marcellino]]; anche la [[Gallia]] e parte dell'[[Hispania]] erano di fatto, all'inizio del regno di Maggioriano, fuori dal controllo dell'imperatore, in quanto occupate dai [[Visigoti]] e dai [[Burgundi]].]]
Maggioriano tentò di risollevare le sorti dell'Impero d'Occidente tentando di riconquistare la Gallia, la Spagna e l'Africa,
[[File:Reame di Siagrio (486).png|upright=1.6|thumb|Area controllata da [[Siagrio]], figlio e successore di Egidio.]]
Il nuovo Imperatore, tuttavia, non fu riconosciuto né
Mentre i Romani si combattevano tra di loro in una evitabile guerra civile utilizzando i ''foederati'' barbari l'uno contro l'altro e permettendo loro di rafforzare il loro potere a danni dell'ormai decadente Impero, i Vandali continuavano a devastare senza opposizione la Sicilia e l'Italia meridionale. Genserico aveva colto l'uccisione di Maggioriano come pretesto per rompere il trattato stretto con lui e invadere di nuovo l'Italia e la Sicilia. Essendo la Sicilia esposta ai saccheggi dei Vandali, l'Imperatore inviò un'ambasceria presso Genserico, intimandogli di rispettare il trattato stretto con Maggioriano, di restituire la libertà alla moglie e alle figlie di Valentiniano III e di guardarsi dal devastare la Sicilia e l'Italia meridionale. Genserico accettò unicamente, nel 462, di liberare [[Eudocia (regina dei Vandali)|Eudocia]] e [[Placidia]], e solo dopo aver costretto Eudocia a sposare [[Unerico]], ma non cessò di devastare l'Italia meridionale e la Sicilia: intendeva, infatti, ora ricattare l'Impero d'Occidente, costringendolo a nominare come Imperatore [[Olibrio]], imparentato con Genserico in quanto marito di Placidia. Inoltre, anche Marcellino e l'Impero d'Oriente non riconobbero il nuovo Imperatore d'Occidente e si rifiutarono per tale motivo di prestargli soccorso contro i Vandali. Prisco di Panion narra che l'Impero d'Oriente rifiutò di prestare la flotta all'Impero d'Occidente per respingere le incursioni dei Vandali, non solo perché non riconosceva come Imperatore legittimo Libio Severo, per cui non era disposta ad appoggiarlo, ma anche perché il trattato con i Vandali del 462, con cui l'Impero d'Oriente riotteneva la restituzione di Eudossia e Placidia, imponeva all'Impero d'Oriente di non intervenire contro i Vandali in appoggio all'Impero d'Occidente.<ref>{{cita|Ravegnani 2012|p. 147.}}</ref>
Ormai privo di una propria flotta ed esposto ai saccheggi dei pirati vandali, ormai l'Impero non poteva far altro che implorare il sostegno dell'Impero d'Oriente contro i Vandali: Ricimero, per ottenerlo, fu costretto a detronizzare l'Imperatore fantoccio [[Libio Severo]] ed accettare come Imperatore il "greco" [[Antemio]], candidato dell'Imperatore d'Oriente. La [[Battaglia di Capo Bon (468)|spedizione del 468]] contro i Vandali, tuttavia, fallì, e con essa l'Impero d'Occidente andò verso il completo collasso. Le guarnigioni a difesa del Norico sbandarono perché non arrivava più la paga (ormai il gettito fiscale dello Stato era ridotto ai minimi termini), anche se, dovendo comunque difendere la propria famiglia, continuarono comunque a difendere la regione dalle incursioni dei predoni barbari.
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[[File:Europe at the fall of the Western Roman Empire in 476.jpg|thumb|upright=1.4|I regni romano-barbarici dopo il 476]]
L'esercito romano d'Italia era però ormai quasi esclusivamente costituito da truppe di mercenari [[Sciri]], [[Rugi]], [[Eruli]] e [[Turcilingi]]: quando essi pretesero dallo Stato romano un terzo delle terre dell'Italia, e ricevettero il rifiuto dal generale Oreste, che governava l'Impero per conto del figlio e Imperatore nominale [[Romolo Augusto]], essi si rivoltarono, elessero come capo uno di costoro, [[Odoacre]], e marciarono verso Ravenna. Deposto Romolo Augusto, Odoacre, conscio che la figura dell'Imperatore aveva ormai perso ogni ragione di esistere, essendo stata privata di ogni potere effettivo dai generali barbari che lo avevano preceduto, decise di
{{Citazione|Già da qualche tempo i Romani avevano cominciato ad accogliere nel loro esercito gli Sciri, gli Alani e alcune popolazioni gotiche, e da quel momento avevano dovuto soffrire per mano di Alarico e di Attila i disastri che ho narrato nei libri precedenti. E nella misura in cui aumentava in mezzo a loro il numero dei barbari, declinava il prestigio dei militari romani; sotto lo specioso nome di alleanza, essi subivano il predominio e le imposizioni degli stranieri, tanto che senza alcun ritegno, i barbari li costringevano contro la loro volontà a molte concessioni e alla fine pretesero di dividere con loro tutti i territori dell'Italia. Essi chiesero a Oreste di concedere loro un terzo delle campagne e, siccome egli non volle assolutamente cedere a questa richiesta, lo uccisero.|Procopio di Cesarea, ''Storia delle guerre'', V,1.}}
Non tutta la parte occidentale dell'Impero era caduta sotto il dominio dei Barbari. Giulio Nepote, dopo essere stato detronizzato nel 475 ed essere fuggito dall'Italia, continuava a governare in esilio in Dalmazia, rivendicando il titolo di Imperatore d'Occidente (e venendo riconosciuto anzi come tale dalla corte di Costantinopoli) fino al 480, quando fu assassinato in una congiura. Tuttavia, nonostante le sollecitazioni in tal senso dell'Imperatore d'Oriente Zenone, Odoacre non permise mai a Nepote di tornare dalla Dalmazia, anche se fece battere delle monete in suo nome. Quando nel 480, Nepote perì in una congiura, Odoacre invase e sottomise la Dalmazia. Alcuni studiosi considerano questa la vera data della caduta dell'Impero d'Occidente, dato che istituzionalmente Romolo Augusto era un usurpatore, non essendo stato riconosciuto dalla parte orientale, e l'ultimo Imperatore legittimo, Giulio Nepote, continuò a governare in Dalmazia fino al 480.
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