Giovanni Consorte: differenze tra le versioni

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L'intera vicenda si innesta in quella più ampia e con numerosi intrecci e connivenze economiche e politiche, vicenda che tenne a lungo tempo le prime pagine dei giornali. Riguarda la scalata alla Banca Antonveneta da parte della banca Popolare di Lodi (allora Presieduta da [[Gianpiero Fiorani]]), sostenuto dall'allora Governatore della Banca d'Italia, alcuni immobiliaristi (Ricucci, Coppola) ed il finanziere bresciano [[Emilio Gnutti]] (già alleato di Consorte nella vicenda Telecom). L'insieme dei personaggi è stato consegnato alle cronache con la definizione emblematica dei [[furbetti del quartierino]].
 
Le sue dimissioni sono state causate dalle accuse di [[aggiotaggio]], [[associazione a delinquere]] e [[appropriazione indebita]] a lui rivolte in occasione dello scandalo finanziario relativo alla [[Offerta pubblica di acquisto|scalata]] della Banca popolare di Lodi, poi diventata [[Banca Popolare Italiana]], alla [[Banca Antonveneta]]. L'[[aggiotaggio]] si concentra su 50 milioni di Euro ricevuti (insieme al proprio vice Ivano Sacchetti) dal finanziere bresciano Gnutti., Perper «consulenze» in proprio fatte a favore della Hopa di Gnutti. «Consulenze», però, pagate non con fatture ma dietro lo schermo di plusvalenze artificialmente create con operazioni borsistiche «blindate».
 
Questa è la versione che Consorte ha offerto agli inquirenti per giustificare questa consistente somma. Flussi creati con un particolare meccanismo, secondo quanto già rilevato dalle indagini e spiegato da Gnutti: Consorte e Sacchetti, attraverso intermediari spesso del gruppo del banchiere Gianpiero Fiorani, investivano su titoli o prodotti derivati ritenuti «promettenti» dal punto di vista del margine di incremento prevedibile, e subito li rivendevano a Gnutti a prezzi sensibilmente più alti, ricavandone quindi immediate plusvalenze a colpo sicuro, di dimensione pari all'apparente generosità di Gnutti.