Accademia di belle arti di Verona: differenze tra le versioni

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Se negli anni che precedettero l’annessione di Verona al Regno d’Italia, molti giovani veronesi preferivano cercare in altre città italiane la via del successo (è il caso di Vincenzo Cabianca che dopo un’iniziale formazione nell’Accademia veronese si trasferì prima a Venezia e a Bologna e quindi a Firenze dove si unì al gruppo dei Macchiaioli), negli anni Settanta dell’Ottocento l’Accademia veronese si distinse per particolare vivacità grazie al potenziamento dell’istituzione, reso possibile dal lascito del conte Paolo Brenzoni. Dopo un concorso nazionale fu chiamato a dirigere la scuola e ad insegnarvi pittura Napoleone Nani (1841-1899), pittore veneziano di vocazione “verista” che seppe portare a Verona la moderna esperienza didattica dell’Accademia di Venezia, da tempo riformata da Pietro Selvatico. Alla sua scuola si formarono anche Angelo Dall’Oca Bianca e Vincenzo De’ Stefani, destinati a mietere grandi consensi nelle mostre internazionali di fine secolo.
 
'''L'attività nel 900 e la nuova sede'''
 
Una straordinaria vitalità contraddistinse l’Accademia nel primo quarto del Novecento quando alla guida dell’istituzione, passata per un breve periodo nelle mani di Mosè Bianchi, fu chiamato il bolognese Alfredo Savini (1868-1924), poi coadiuvato dal divisionista Baldassare Longoni. I numerosi pittori di talento formatisi in quegli anni, da Antonio Nardi a Guido Trentini, da Ettore Beraldini a Giuseppe Zancolli, da Angelo Zamboni a Pino Casarini, ebbero poi la ventura di confrontarsi con Felice Casorati, nella sua stagione veronese, e con il gruppo degli artisti di Ca’ Pesaro. Alla metà degli anni Venti, nell’Accademia Cignaroli, dove Antonio Nardi era succeduto a Savini e Egidio Girelli insegnava scultura, si incrociarono personalità come Giacomo Manzù e Fiorenzo Tomea, Sandro Bini e Renato Birolli, che anche dopo il trasferimento a Milano continuò a rimanere legato agli ambienti artistici della sua città.