Fotone: differenze tra le versioni
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Il "[[quanto]]" fu introdotto come costituente elementare di queste radiazioni da [[Max Planck]] nel 1900, come entità non ulteriormente divisibile. Nell'ambito dei suoi studi sul [[corpo nero]] il fisico tedesco, ipotizzando che gli [[atomi]] scambiano energia per "pacchetti finiti", formulò un modello in accordo con i dati sperimentali. In questo modo risolse così il problema dell'emissione infinita nella radiazione del [[corpo nero]] (problema noto come "[[catastrofe ultravioletta]]"), che emergeva applicando le [[equazioni di Maxwell]]. La vera natura dei quanti di luce restò inizialmente un mistero, lo stesso Planck li introdusse non direttamente come entità fisiche reali ma piuttosto li considerò un espediente matematico utile a far quadrare i conti.<ref>"La Fisica di Amaldi", vol. 3, elettromagnetismo, fisica atomica e subatomica, ed. Zanichelli, 2012, pagg. 408 e 416.</ref>
La teoria dei [[quanti]] di luce, o fotoni, fu proposta da
Sebbene il fisico tedesco
{{Cita pubblicazione
| cognome = Einstein | nome = A. | linkautore = Albert Einstein
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| titolo = Zur Quantentheorie der Strahlung
| rivista = [[Mitteilungen der Physikalischen Gesellschaft zu Zürich]]
| volume = 16 | p = 47}} Also ''Physikalische Zeitschrift'', '''18''', 121–128 (1917).</ref> mostra che molti esperimenti possono essere spiegati solo assumendo che l'energia sia localizzata in quanti puntiformi che si muovono indipendentemente l'uno dall'altro, pur se l'onda è distribuita con continuità nello spazio. Per i suoi studi sull'[[effetto fotoelettrico]] e la conseguente scoperta dei
L'ipotesi quantistica di
L'aspetto corpuscolare della [[luce]] fu confermato definitivamente dagli studi sperimentali di [[Arthur Holly Compton]]. Infatti il fisico statunitense nel [[1921]] osservò che, negli urti con gli [[elettroni]], i [[fotoni]] si comportano come [[Particella (fisica)|particelle]] materiali aventi [[energia]] e [[quantità di moto]] che si conservano;<ref>“Fotoni pesanti”, "Le Scienze" n. 38/1971 cit.</ref> poi nel [[1923]] pubblicò i risultati dei suoi esperimenti ([[effetto Compton]]) che confermavano in modo indiscutibile l'ipotesi di [[Einstein]]: la [[radiazione elettromagnetica]] è costituita da [[quanti]] (fotoni) che interagendo con gli [[elettroni]] si comportano come singole particelle e ogni fotone interagisce con un solo [[elettrone]].<ref>"La fisica di Amaldi", vol. 3, cit., pagg. 412, 416 e 417.</ref> Per l'osservazione sperimentale del momento lineare dei fotoni<ref name="Compton1923">
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| volume = 21 | pp = 483–502| doi = 10.1103/PhysRev.21.483
}}</ref> e la scoperta dell'effetto omonimo [[Arthur Compton]] ricevette il [[premio Nobel]] nel [[1927]].
▲Per i suoi studi sull'[[effetto fotoelettrico]] e la conseguente scoperta dei [[quanti]] di [[luce]] [[Einstein]] ricevette il [[Premio Nobel per la fisica]] nel [[1921]].<ref name="Ref_s">[http://nobelprize.org/nobel_prizes/physics/laureates/1921/index.html The Nobel Prize in Physics 1921]</ref>
Il problema di coniugare la natura ondulatoria e particellare della [[luce]] occupò la restante vita di [[Einstein]],<ref name="Pais1982">
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