Tarquinia: differenze tra le versioni

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=== Evoluzione demografica ===
{{Demografia/Tarquinia}}
 
=== Dialetto ===
Il dialetto tarquiniese, o "cornetano", si è sviluppato in un territorio situato a nord di Roma, ed aperto pertanto ad influssi tanto di tipo romanesco quanto toscano: pur potendo essere fatto rientrare nei dialetti viterbesi, se ne discosta per altre caratteristiche, per cui la sua classificazione risulta problematica, e pertanto sarebbe preferibile considerarlo un dialetto "di transizione". In ogni caso, esso presenta le maggiori affinità con la parlata di [[Montalto di Castro]] e di altre località limitrofe della [[Maremma]] meridionale. A ciò va aggiunto che, immediatamente dopo la [[battaglia di Castelfidardo]] del [[1860]], nelle campagne tarquiniesi si verificò un massiccio afflusso di famiglie marchigiane, provenienti prevalentemente dalla [[provincia di Macerata]], che si insediarono in Maremma per bonificarne le pianure: esse, data la scarsità di contatti con la popolazione tarquiniese del
centro urbano, mantennero fino a circa mezzo
secolo fa le loro tradizioni e la loro parlata di tipo mediano, caratterizzata dall'articolo determinativo maschile ''lu'' ed i suffissi in -u dagli originari vocaboli latini in -us/-um, nonché dal passaggio sistematico di "b" iniziale in "v" (''vocca'' per "bocca").
Le principali caratteristiche del
dialetto cornetano sono le seguenti:
 
• il passaggio di "-i" finale, maschile e femminile, in "-e", caratteristica tipica di molte
aree che vanno dall'entrorerra marchigiano centrale ([[Arcevia]] in [[provincia di Ancona]]), all'[[Umbria]] ([[Assisi]], antico [[dialetto perugino]], [[Todi]] ed [[Orvieto]]), fino a giungere alle località viterbesi e grossetane meridionali, e i cui ultimi effetti si avvertivano nell'antico dialetto di [[Civitavecchia]]. Pertanto si avranno ad es. ''le baffe'' per "i baffi", ''le parte'' per "le parti", ''l'omine morte'' per "gli uomini morti", ecc.;
 
• l'oscillazione dell'articolo determinativo maschile singolare, che può essere reso, a seconda dei casi, in ''er'', come in romanesco, ''el'' o '''l'', come nel viterbese settentrionale e nel toscano meridionale: tale spiccata variabilità costituisce una dimostrazione lampante del carattere di transizione del tarquiniese; è da notare che i termini inizianti con la lettera "z" vengono preceduti da ''el'' o '''l'', anziché da "lo" come in italiano o da "o" come a Roma, per cui si avrà ad es. '''l zucchero'', '''l zaino'', ecc., e da ciò deriva che anche gli indeterminativi che precedono "z" o "s" impura vengono resi come '''un'' o '''n'', ad es. ''un zoccolo'' o '''n zoccolo'';
 
• vi sono poi numerose peculiarità nella resa di vocaboli, e che ovviamente vanno perdendosi nella parlata attuale: ad es. "la grotta-le
grotte" diviene ''la grotte-le grotti'', "la mano-le mani" diventa ''la mano-le mano'', ecc.;
 
• comunemente al romanesco e ad altre parlate dell'Italia centrale, gli aggettivi possessivi "mio, tuo, suo" divengono ''mi', tu', su''', ad es. '''l tu' cane'', ''le su' cane'', per "il tuo cane", "i suoi cani"; gli stessi articoli, resi al plurale, quando seguono il nome, divengono ''mie, tue, sue'', ad es. ''pensa a l'affare tue che io penso a le mie'';
 
• i pronomi personali "lui" e "lei" diventano rispettivamente ''lù'' e ''lè'', come in molte altre parti dell'Italia centrale, specie l'Umbria; a loro volta, "noi" e "voi" diventano ''no''' e ''vo''';
 
• si verifica l'apocope, ossia la caduta della sillaba finale, in vocaboli come "padre, madre, zio", che dicentano ''pa', ma', zi''', ad es. '''l mi' pa''', ''la su' ma''', '''l zi' 'Ntogno'' ("lo zio Antonio"): tale fenomeno è riscontrabile soprattutto in Toscana;
 
• come nel romanesco, si verifica il passaggio di LD in LL nella sola parola ''callo-a'' per "caldo-a", a differenza dei [[dialetti italiani mediani]] e meridionali, dove il fenomeno si verifica in maniera sistematica;
 
• le preposizioni articolate vengono rese in modo distaccato dagli articoli, ad es. ''de le
case'' per "delle case", ''a la scola'' per "alla scuola": tale fenomeno è molto comune anche nei dialetti umbri, marchigiani ed abruzzesi;
 
• come a Roma e nel resto del Lazio (e non solo), si verifica il raddoppiamento sistematico di "b", "z" e g" ( ad es. ''tabbella'', ''azzione'', ''paggella'', ecc.);
 
• è possibile riscontrare alcune sporadiche divergenze nell'apertura e chiusura dellevocali rispetto all'italiano di Roma: ad es. ''nòme'', di contro al romano (ed italiano standard) ''nóme'', oppure viceversa ''dópo'', come in toscano ed italiano standard, di contro al romano ''dòpo'', ed ancora i suffissi in "-esimo/a" sono resi aperti come in toscano,
umbro e marchigiano (nonché in italiano standard), a differenza del romano, che li pronuncia chiusi, ad es. ''quindicèsimo'' e non ''quindicésimo'';
 
• relativamente infine ai verbi, sono da registrare forme particolari, rinvenibili qua e là anche nel romanesco ed in altri vernacoli, come la prima persona del condizionale presente coincide con la terza (ad es. ''io avrebbe, lù avrebbe''); sempre nel condizionale presente la prima e la seconda persona plurale assumono una forma promiscua fra il condizionale stesso e l'imperfetto congiuntivo, ad es. ''no' avessimo'' per "noi avremmo", oppure ''avressivo'' per "voi avreste", dove si può notare che il ''vo''' è unito al verbo, un po' come accade in francese; ancora, le deformazioni coivolgono pure i passati remoti, dove, in luogo della prima plurale di questa forma verbale, viene usata la prima plurale dell'imperfetto congiuntivo, ad es. "noi avemmo" diventa ''no' avessimo'': si tratta di un uso presente pure nel toscano dei secoli XVI e XVII; si usano poi forme come ''cantono''
e ''cantavono''; al participio passato, "creduto"
diviene ''creso'', "sceso" diventa ''scento'', e da "spandere" abbiamo ''spaso'', quest'ultima forma in uso pure in Umbria, Marche ed Abruzzo; infine, l'imperativo del verbo "essere", "sii", diventa ''esse'' o, come a Roma, ''essi'', ad es. ''esse/-i bono'' per "sii buono".
 
==Cultura==