Scavi archeologici di Pompei: differenze tra le versioni

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Dennis Radaelli (discussione | contributi)
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[[File:Friedrich Federer - Pompeji aus dem Südosten - 1850.jpg|thumb|left|upright=1.4|Litografia degli scavi nel 1850]]
I primi scavi nell'area pompeiana si ebbero a partire dal [[1748]]<ref name="Longobardi 39">{{Cita|Giovanni Longobardi|p.39|Giovanni Longobardi}}.</ref>, per volere di [[Carlo III di Spagna|Carlo III di Borbone]] a seguito del successo dei ritrovamenti di [[Ercolano]]: i [[Scavo (archeologia)|sondaggi]] furono svolti da [[Roque Joaquín de Alcubierre]], che, credendo di essere sulle tracce dell'antica [[Stabiae]], riportò alla luce nei pressi della [[collina]] di Civita diverse [[moneta|monete]] ed oggetti d'[[Storia romana|epoca romana]], oltre a porzioni di [[edificio|costruzioni]], prontamente ricoperte dopo l'esplorazione. Le esplorazioni furono ben presto abbandonate a causa degli scarsi ritrovamenti e ripresero soltanto nel [[1754]]; nel [[1763]], grazie al rinvenimento di un'[[epigrafe]], che parlava chiaramente della ''Res Publica Pompeianorum'', si intuì che si trattava della antica città di [[Pompei]]<ref name="Longobardi 39"/>. Con [[Maria Carolina d'Asburgo-Lorena|Maria Carolina]], moglie di [[Ferdinando I delle Due Sicilie|Ferdinando IV]], e l'[[ingegnere]] Francesco La Vega, parte della città, come la zona dei [[Teatro (architettura)|teatri]], il tempio di Iside, il Foro Triangolare, diverse case e [[necropoli]] vennero riportate completamente alla luce e non più seppellite, ma rimaste a vista; fu durante il dominio [[Prima Repubblica francese|francese]], con a capo [[Gioacchino Murat]] e la moglie [[Carolina Bonaparte|Carolina]], che gli scavi godettero di un momento di fortuna<ref>{{Cita TV|trasmissione =News Art|titolo=Gli scavi di Pompei nella storia|canale =Rai Educational|wkcanale=Rai Educational|url=http://www.arte.rai.it/articoli/gli-scavi-di-pompei-nella-storia/16081/default.aspx|accesso=19 giugno 2011|giorno=11|mese=06|anno=2012}}</ref>: venne individuata la cinta muraria e riportata quasi del tutto alla luce la zona di Porta Ercolano; inoltre, grazie alle pubblicazioni volute da Carolina, la fama di Pompei crebbe in tutta [[Europa]], diventando tappa obbligata del [[Grand Tour]]<ref>{{Cita|Giovanni Longobardi|p.42|Giovanni Longobardi}}.</ref>.
 
Nel [[1787]] giunge a Pompei un ospite illustre, lo scrittore Goethe che così descrive le rovine della città:
 
{{Citazione|Con la sua piccolezza e angustia di spazio, Pompei è una sorpresa per qualunque visitatore: strade strette ma diritte e fiancheggiate da marciapiedi, cassette senza finestre, stanze riceventi luce dai cortili e dai loggiati attraverso le porte che vi si aprono; gli stessi pubblici edifici, la panchina presso la porta della città, il tempio e una villa nelle vicinanze, simili più a modellini e a case di bambola che a vere case. Ma tutto, stanze, corridoi, loggiati, è dipinto nei più vivaci colori: le pareti sono monocrome e hanno al centro una pittura eseguita alla perfezione, oggi però quasi sempre asportata; agli angoli e alle estremità, lievi e leggiadri arabeschi, da cui si svolgono graziose figure di bimbi e di ninfe, mentre in altri punti degli animali domestici sbucano da grandi viluppi di fiori.|[[Johann Wolfgang von Goethe]], ''Viaggio in Italia''}}
 
Egli inoltre sulla strada del ritorno per [[Napoli]] visitò un'abitazione privata rimanendo colpito dalla somiglianza stilistica con le antiche abitazioni pompeiane. Per questa ragione rimane stupito a come dopo tanti secoli la città antica ispiri lo stile dei locali.<ref>La considerazione è riportata al termine della descrizione del 11 marzo 1787 del ''Viaggio in Italia''.</ref>
 
Con il ritorno dei [[Borbone]] a [[Napoli]], gli scavi vissero un periodo di stasi: se si esclude Francesco I<ref>{{Cita|Sergio Rinaldi Tufo|p.12|Sergio Rinaldi Tufo}}.</ref>, con [[Ferdinando II delle Due Sicilie|Ferdinando II]] e [[Francesco II delle Due Sicilie|Francesco II]], le rovine furono usate soltanto come posto da far visitare agli ospiti di corte<ref>{{Cita|Giovanni Longobardi|p.43|Giovanni Longobardi}}.</ref>.