Vulpes pilum mutat, non mores: differenze tra le versioni

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La locuzione ''Vulpes pilum mutat, non mores'' (entrata a buon diritto nel repertorio delle [[locuzioni latine|frasi latine]] più conosciute, anche nella versione restituita in [[lingua italiana]]) va ricondotta a [[Gaio Svetonio Tranquillo|Svetonio]] che la inserì nel suo ''Vita di Vespasiano'' (contenuto nel ''De Vita Caesarum'', ''Vita dei dodici Cesari'').
 
Nell'ottavo libro del ''De Vita Caesarum'' (capitolo 16), si racconta infatti come con tale frase l'imperatore [[Tito Flavio Vespasiano|Vespasiano]], appena insediato, venne apostrofato da un bovaro al quale, nonostante le suppliche di questi, aveva negato la libertà a titolo gratuito.
 
Vespasiano è stato spesso descritto come un imperatore gretto ed avaro, sempre pronto a caricare di nuovi tributi il popolo. In realtà, come molti suoi predecessori (e come sarebbe accaduto anche ad altri suoi successori), aveva da confrontarsi - a detta degli storici - con una dura realtà: quella di far quadrare i conti delle casse dell'[[impero romano|impero]].