Giano Della Bella: differenze tra le versioni

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{{F|politici italiani|luglio 2013}}
Rosita
{{Bio
| Nome = Giano
| Cognome = Della Bella
| Sesso = M
| LuogoNascita = Firenze
| GiornoMeseNascita =
| AnnoNascita = seconda metà del [[XIII secolo]]
| LuogoMorte = Francia
| GiornoMeseMorte =
| AnnoMorte = prima del 19 aprile [[1306]]
| Epoca = 1200
| Attività = politico
| Nazionalità = italiano
| PostNazionalità = , importante figura della [[Repubblica di Firenze]] nella seconda metà del Duecento
| Immagine = Giano della Bella.jpg
| Didascalia = Giano della Bella
}}
 
Principale esponente dei [[Della Bella]], una delle più antiche famiglie nobili [[ghibellini|ghibelline]] della città di [[Firenze]], si era fatto [[guelfi|guelfo]] e popolano per ragioni politiche. Egli divenne il "paladino" dei ceti più popolari della città, capeggiando la rivolta contro i "magnati" del [[1292]].
 
Scrisse di lui [[Dino Compagni]]: "I nobili e grandi cittadini insuperbiti faceano molte ingiurie a' popolani [...]. Onde molti buoni cittadini popolani e mercatanti, tra' quali fu un grande e potente cittadino (savio, valente e buono uomo, chiamato Giano della Bella, assai animoso e di buona stirpe, a cui dispiaceano queste ingiurie) se ne fe' capo e guida" (''Cronica'', Libro I, XI).
 
Divenuto [[Priorato delle Arti|priore]] riuscì a far emanare dal gonfaloniere di giustizia Baldo Ruffoli i cosiddetti ''[[Ordinamenti di Giustizia]]'' (promulgati il 18 gennaio [[1293]]) che rappresentarono la più importante riforma della [[repubblica fiorentina|Repubblica]] dai tempi dell'abolizione del sistema consolare. Con questi provvedimenti i "Magnati" ovvero i nobili di antica tradizione feudale e latifondista venivano esclusi dal governo della città in favore del nascente ceto borghese, obbligando, tra le altre cose, per essere eleggibili alle cariche politiche l'iscrizione a un'[[corporazioni delle arti (Firenze)|Arte]]. Il cosiddetto "popolo magro" composto dagli strati più bassi e poveri della società (salariati, braccianti, piccoli dettaglianti) era comunque ancora escluso, non esistendo Arti che comprendessero le loro categorie (si dovrà aspettare fino all'avvento del [[Gualtieri VI di Brienne|Duca di Atene]] nel [[1343]]).
 
[[Bonifacio VIII]] mandò a [[Firenze]] [[Jean de Chalons]] (''Gian di Celona''), che forse avrebbe dovuto uccidere Giano, ma per paura del popolo, stando a quanto riporta il Compagni, si preferì evitare il delitto. Venne però indetta una congiura che mettesse Giano contro il popolo stesso, che riuscì a far crescere lo scontento attorno alla sua figura, tanto che fu scacciato di lì a poco in giorni tumultuosi con sommosse di piazza e combattimenti.
 
Nel [[1294]] fu podestà di [[Pistoia]] e in seguito i suoi ordinamenti vennero revisionati nel [[1295]], anche se di fatto rimasero il vigore. Egli è il protagonista dei primi capitoli della ''[[Cronica delle cose occorrenti ne' tempi suoi|Cronica]]'' di [[Dino Compagni]] ed è citato anche da [[Dante Alighieri]] ([[Paradiso - Canto tredicesimo|Pd. XVI]], 127-132).
 
La speranza di poter rientrare presto in Firenze dovette avere breve durata. I nemici riuscirono a isolarlo del tutto, facendo seguire alla condanna a morte la scomunica (27 ott. 1295), e ottenendo - grazie alla mediazione di alcune potenti compagnie bancarie fiorentine - l'intervento di Bonifacio VIII che in una bolla solenne del 23 genn. 1296 minacciò di interdetto Firenze qualora avesse accolto entro le mura Giano, Taldo o il loro nipote Ranieri di Comparino. A Giano non restò altro che prendere la via della Francia, là dove era vissuto in gioventù e dove fu accolto con rispetto e con stima. Le sue tracce si perdono rapidamente. Sappiamo che consumò a Parigi una piccola vendetta nei confronti degli odiati Velluti, contribuendo alla severa punizione di Donato, reo di aver ucciso uno stalliere dei Franzesi. Lo ritroviamo con il nome di Jehan de Florence tra i "lombardi" allirati negli anni 1298-1300 a Parigi, nella parrocchia di St.-Germain l'Auxerrois. Poi nient'altro. È probabile che la morte lo abbia colto, ultrasessantenne, nei primissimi anni del nuovo secolo.
 
La collocazione della morte del D. dopo il 1311 (Davidsohn, Manselli ed altri), che si basa sulla sentenza fiorentina del 2 sett. 1311 che escludeva i Della Bella dall'amnistia concessa ai fuorusciti, non è più sostenibile dopo la scoperta da parte di E. Cristiani di un documento pisano del 19 apr. 1306, in cui Taldo Della Bella costituisce come proprio procuratore il nipote Cione del fu Giano. E la presenza di Cione alla redazione dell'atto esclude un possibile errore del notaio. Del resto, l'assenza di notizie sul D. dopo il 1300 aveva fatto dubitare che la sua morte potesse essere avvenuta così tardi.Mentre il figlio Cione lo seguì nell'esilio, gli altri membri della famiglia, la moglie del D., Saracina, e la figlia Caterina poterono restare a Firenze, in una parte della torre di famiglia salvatasi dalla distruzione. A Caterina - andata poi sposa a Guido di Baldo Castellani, podestà di Pisa - furono restituiti, nel settembre 1317, i beni confiscati al padre più di vent'anni prima.
 
[[Giosuè Carducci]] nella ''Consulta araldica'' così si espresse:{{quote|Poi che l'austero e pio Gian de la Bella. <br/>
Trasse i baroni a pettinare il lin.}}
 
Si riferiva al fatto che anche i nobili furono costretti per partecipare alla politica a iscriversi a un'[[arti di Firenze|Arte]] e quindi a lavorare.
 
==Collegamenti esterni==