Marco Postumio Regillense

politico e militare romano

Marco Postumio Regillense (... – Bola, 414 a.C.) è stato un politico e militare romano del V secolo a.C..

Marco Postumio Regillense
Tribuno consolare della Repubblica romana
Morte414 a.C.
Bola
GensPostumia
Tribunato consolare414 a.C.

Tribunato consolare modifica

Nel 414 a.C. fu eletto tribuno consolare con Quinto Fabio Vibulano Ambusto, Lucio Valerio Potito e Gneo Cornelio Cosso.[1]

In quell'anno Bola, espugnata l'anno precedente dai romani che discutevano se inviarvi dei coloni, fu riconquistata e fortificata dagli Equi; il Senato romano decise di affidare la campagna a Marco Postumio.

«La campagna contro gli Equi fu affidata a quest'ultimo, uomo di indole malvagia, anche se essa si manifestò più nell'ora della vittoria che durante la guerra.»

Marco Postumio condusse l'esercito romano alla vittoria contro gli Equi, ma si inimicò i soldati, mancando la promessa di dividere con essi il bottino di guerra. Richiamato a Roma, durante una accesa discussione in assemblea con i tribuni della plebe, si espresse con espressioni dure nei confronti dei soldati.

«Postumio esclamò: «Guai ai miei soldati se non staranno tranquilli!»»

Nel campo militare, quando giunse notizia di quanto accaduto a Roma, ci furono grossi tumulti, il che costrinse Marco Postumio a tornare sul campo con i soldati.

«Quando la frase di Postumio arrivò alle orecchie dei soldati, suscitò nell'accampamento un'indignazione ancora più grande: l'uomo che era ricorso alla frode per togliere il bottino alle sue truppe, ora minacciava anche di punirle?»

Marco Postumio affrontò i propri soldati con eccessiva durezza, tanto che durante i nuovi tumulti, nati per la sua decisione di mandare a morte alcuni soldati, fu lapidato dai suoi stessi soldati.[2]

«Richiamato da questo tumulto, Postumio aggravò la situazione con duri interrogatori e crudeli punizioni. Quando le urla di quelli che erano stati condannati a morte con il graticcio richiamarono una gran folla, egli, non riuscendo a frenare la collera, corse giù come un forsennato dai banchi del tribunale verso coloro che protestavano contro la pena. Non appena littori e centurioni si buttarono sulla folla cercando di disperderla, la rabbia proruppe a tal punto che il tribuno militare venne lapidato dalle sue truppe.»

I tribuni della plebe impedirono ai tribuni consolari di aprire un'inchiesta sull'accaduto.

Note modifica

  1. ^ Tito Livio, "Ab Urbe Condita", IV, 4, 49.
  2. ^ Tito Livio, "Ab Urbe Condita", IV, 4, 50.