Tavolette di Vindolanda

Lettere romane scritte su tavolette di legno ritrovate nel sito archeologico di Vindolanda

Le tavolette di Vindolanda sono una numerosa serie di reperti archeologici ritrovati nel sito del forte romano di Vindolanda, vicino al Vallo di Adriano nell'Inghilterra settentrionale: si tratta di sottili tavolette di legno su cui furono vergati a inchiostro i testi di documenti ufficiali e privati durante il I e II secolo. Sono attualmente conservate al British Museum.

Tavoletta 343: lettera di Octavius a Candidus relativa a una fornitura di grano, pelli e tendini

Descrizione modifica

Le tavolette di Vindolanda furono realizzate con il legno di betulle, ontani e querce di provenienza locale, a differenza delle tavole cerate, un altro tipo di tavolette da scrittura usate nella Britannia romana, che erano importate e prodotte con legno non nativo. Le tavolette hanno uno spessore di 0,25-3 mm con dimensioni pari a 20 × 8 cm, ed erano incise al centro e piegate in modo da costituire dittici sulle cui facce interne si poteva scrivere con un inchiostro composto da acqua, carbone e gomma arabica. Quasi 500 tavolette sono state trovate negli anni 1970 e 1980.[1]

Scoperte inizialmente nel marzo 1973, le tavolette furono inizialmente interpretate come scarti di lavorazione del legno finché uno degli archeologi ne trovò due incollate tra loro, le scollò e scoprì un testo scritto all'interno; furono portate all'epigrafista Richard Wright, ma un rapido processo di ossidazione del legno le rese nere e illeggibili prima che egli potesse vederle. Furono inviate ad Alison Rutherford dell'Istituto di Medicina dell'Università di Newcastle per un'analisi fotografica multispettrale, e le foto all'infrarosso rivelarono per la prima volta agli studiosi la scrittura. I risultati furono inizialmente scoraggianti, in quanto la grafia era illeggibile. Alan Bowman dell'Università di Manchester e David Thomas dell'Università di Durham studiarono quella grafia corsiva, precedentemente sconosciuta, e riuscirono a produrre delle trascrizioni.[2]

Note modifica

  1. ^ Bowman, pp. 15–16.
  2. ^ Birley, pp. 57–58.

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