GrassettoLa Socialdemocrazia tedesca dal 1953 al 1963.

1953: L’opposizione socialdemocratica alla Comunità Europea di Difesa

Il 1953 è l’anno delle seconde elezioni politiche tedesche del dopoguerra. La socialdemocrazia non riesce a conquistare nemmeno un terzo dei seggi parlamentari, il tutto a pieno vantaggio del CDU e della CSU, che riescono a garantirsi la maggioranza assoluta dei seggi, con la conseguente rielezione a cancelliere di Konrad Adenauer. Ad animare inoltre la vita politica della Germania occidentale è sicuramente l’accesissima discussione sulla Comunità Europea di Difesa, alla quale la Spd si mostrerà sempre avversa. E’ proprio da questa questione che, tanto l’Avanti! quanto Mondo Operaio, iniziano quasi quotidianamente a presentare ed analizzare le vicende riguardanti il Partito socialdemocratico tedesco. Nel febbraio 1953, Carlo Bonetti firma sull’Avanti una serie di articoli concernenti l’opposizione del presidente socialdemocratico, Ollenhauer, alla ratifica del trattato della Comunità Difensiva Europea (CED), in occasione dell’imminente visita del segretario di Stato statunitense Dulles. L’inviato di Eisenhower ha incontrato Adenauer a palazzo Schaumburg e alla fine del suo breve colloquio si è limitato a leggere alla stampa alcune dichiarazioni più o meno vaghe; significativa è stata ritenuta la frase iniziale: “Solo una forte Europa, pietra angolare della Comunità atlantica, può avere la forza di imporre una pacifica riunificazione della Germania”. Nelle due ore in cui Ollenhauer ha avuto modo di conferire con Dulles, sono emerse tutte le avversioni della SPD al progetto statunitense di spingere la cancelleria tedesca a compiere concreti progressi verso la fondazione della CED. A riguardo Ollenhauer ha affermato che il suo partito considera l’alleanza con l’occidente troppo pericolosa, sostenendo che “tutti coloro che ora reclamano la ratifica del Bundestag al trattato per la CED, dovrebbero chiaramente comprendere che il primo risultato immediato ed inevitabile, di simile decisione, sarebbe quello di approfondire la divisione della Germania. Se ratifichiamo il trattato della Comunità Difensiva Europea legheremo la Germania occidentale in modo permanente ad un’alleanza militare che i sovietici considerano diretta contro di esso. Noi socialisti riteniamo che il rischio di una simile politica sia troppo grande mentre è in gioco l’unità tedesca”. Alla conclusione del colloquio Dulles-Ollenhauer, a cui hanno partecipato anche i deputati Karl Schmidt ed Herbert Wehner, i socialdemocratici hanno dichiarato che il risultato dell’incontro non potrà che difficilmente modificare l’atteggiamento del loro partito . La diatriba tra governo ed opposizione riguardante gli accordi per la Comunità Difensiva Europea è sicuramente il tema più ampiamente trattato dalle testate consultate nei primi mesi del 1953. Da un articolo comparso sull’Avanti! del 20 marzo si rileva che, dopo una seduta di nove ore, la maggioranza clericale del Bundestag di Bonn ha liquidato la “terza lettura” per la ratifica del trattato per la CED con 224 voti contro 165 e due astensioni; il commento del quotidiano in esame è a tratti decisamente polemico, accusando la scarsamente determinata opposizione socialdemocratica di aver facilitato il progetto del cancelliere Adenauer, il quale sembra essere riuscito a far avallare dalla Camera la sua sfida al popolo tedesco, imponendo la sua politica di divisione della Germania e di formazione delle premesse per la guerra civile tedesca e il conflitto generale. Appare quindi all’opinione pubblica che, a riguardo, il presidente socialdemocratico Ollenhauer abbia usato troppi condizionali per dimostrarsi veramente impegnato a fondo. Apparentemente colpito dalle insinuazioni che aleggiavano negli ambienti interessati, il leader dell’opposizione non ha fatto attendere una sua replica in un intervista, in cui veniva rinnovata la proposta del suo partito per nuove trattative, e veniva affermato che la lotta dei socialdemocratici, per un sistema che non compromettesse la possibilità di riunificazione della Germania, sarebbe continuata anche dopo l’eventuale ratifica . Nonostante le dichiarazioni di un Ollenhauer ferito nell’orgoglio, si avvertì un accenno di distacco fra base e direzione socialdemocratica derivato in primo luogo dalle ambigue ed incomprensibili esitazioni della direzione socialdemocratica nella condotta della lotta; se, infatti, quindici milioni di tedeschi della Germania occidentale erano da ritenersi pronti ed impazienti di passare all’azione, attraverso uno sciopero generale che avrebbe potuto invertire la tendenza, i dirigenti di partito si riducevano alla passività . Al pari dell’Avanti!, Mondo Operaio scaglia la propria critica nei confronti dei socialdemocratici che, coerentemente con l’azione sin qui svolta, avrebbero, sì votato contro la ratifica in terza lettura degli accordi per la cosiddetta Comunità Europea di Difesa, ma lo scarso vigore col quale il loro leader Ollenhauer ha condotto l’attacco parlamentare, ha ridotto l’affermazione dell’opposizione . Il bimestre aprile-maggio ha costituito senza dubbio l’apice e il culmine dei vivaci ed aspri diverbi che hanno caratterizzato la più recente vita politica tedesca. Il 2 maggio 1953, Mondo Operaio grida al “colpo di scena”, allorché sembrava che il governo di Adenauer, ottenendo in terza votazione la maggioranza alla Camera dei deputati (Bundestag), fosse venuto a capo del problema sulla ratifica della CED nonostante il voto contrario dei socialdemocratici. Il 24 aprile scorso, tuttavia, il Senato (Bundesrat) aveva rifiutato di ratificare il trattato, prima che la Corte costituzionale di Karlsruhe si fosse pronunciata sulla sua compatibilità con la Costituzione . Quello che Mondo Operaio definisce scandaloso si riferisce al volgare “trucco illegale”, preparato da Adenauer per varare i patti di guerra, che si è consumato a Bonn il 15 maggio 1953, ove il Bundesrat, riunito in seduta straordinaria, ha dato il via al trattato della CED rinnegando vergognosamente il recente voto del 24 aprile. Questa umiliante abdicazione del Bundesrat è stata attuata grazie al cinico voltafaccia dal Presidente Maier, capo “liberale” del governo del Wuertemberg-Baden, il quale, superando arbitrariamente il suo mandato, ha riversato i voti del suo land in appoggio della tesi del Cancelliere clericale. Commentando il voto, il leader dell’opposizione socialdemocratico, Erich Ollenhauer, ha dichiarato che Reinhold Maier si è schierato per la ratifica degli accordi, “contrariamente a quanto deciso, prima della seduta del Consiglio federale, del Gabinetto del Wuertemberg-Baden, da lui presieduto”. Se il dibattito sulla ratifica del trattato della Comunità Europea di Difesa ha infuocato il clima politico della Germania ovest, il 1953 è altresì l’anno delle seconde elezioni tedesche del dopoguerra . Da luglio in poi sia l’Avanti! che Mondo Operaio incentrano la propria attenzione sulla lotta elettorale e sul tentativo socialdemocratico di scalfire la leadership governativa di Adenauer. Sull’Avanti! di domenica 5 luglio, Carlo Bonetti sottolinea come d’ora in poi tutta la vita politica tedesca si va concentrando nel lavoro di propaganda per le elezioni fissate per il 6 settembre del corrente anno. Il punto focale dell’articolo è costituito dal tentativo di tracciare i temi dominanti della campagna elettorale; se alcuni ambienti tedeschi dell’occidente si erano lungamente illusi che tra governo ed opposizione potesse essere trovata una piattaforma comune per la politica estera, il dibattito che ha avuto luogo mercoledì primo luglio al Bundestag, ha fatto cadere queste illusioni: le parti sono apparse più che mai in contrasto, cosicché la prima deduzione che gli osservatori politici hanno tratto dal dibattito, è che la battaglia elettorale sarebbe stata imperniata sui temi di politica estera e la votazione avrebbe principalmente avuto il significato di un referendum sulle posizioni proposte per la questione nazionale . Le intenzioni e gli obiettivi del Partito socialdemocratico tedesco appaiono evidenti tra le righe dell’Avanti! del 29 agosto. Ollenhauer ha difatti tra i propositi quello di una politica estera comune tra il governo che uscirà dalle elezioni del 6 settembre e l’opposizione; obiettivo fondamentale di tale politica “dovrà essere – commenta il leader della SPD – l’unificazione del paese: e fino a che questa non verrà raggiunta, la politica di integrazione della Germania nel sistema militare occidentale dovrà essere accantonata”. Tale proposta è contenuta in un documento di 51 pagine, presentato a Bonn ai giornalisti durante una conferenza stampa tenuta da Willy Fischler, membro della direzione del partito, e dal deputato Orior.

I socialdemocratici, è affermato inoltre nel documento, sono convinti che la sicurezza della Germania non può essere garantita né dall’esercito europeo né da altri patti militari (come il Patto Atlantico), ma solo da un patto di sicurezza che sia firmato oltre che dalla Germania anche dalle quattro potenze. I socialdemocratici respingono ogni politica di forza, ma sono però fautori di una Germania armata. Respingono la sua inclusione in patti militari e chiedono che la Germania unificata sia ammessa all’ONU.

Essi ritengono che nella prossima conferenza a quattro si raggiungerà un “modus vivendi” tra le potenze occidentali e quelle orientali. Il documento socialdemocratico appare come il risultato di una interessante evoluzione nel pensiero dei dirigenti socialdemocratici, che è cominciata nel giugno scorso e si è manifestata assai chiaramente, per la prima volta, nell’ultimo dibattito di politica estera tenutosi al Bundestag. Finora, infatti, la direzione socialdemocratica si era limitata semplicemente a mettere in evidenza l’incompatibilità tra la CED e l’unificazione: attraverso tale documento una chiara posizione è stata presa anche contro il Patto Atlantico, nei confronti del quale, fino a poco tempo prima, erano state spese parole di sostegno. E’ indubbiamente difficile stabilire se le ultime dichiarazioni “rendano” ai fini dell’imminente competizione elettorale, certo è che se i socialdemocratici, secondo i più attenti critici, si fossero decisi un poco prima, la loro lotta contro Adenauer sarebbe stata più fortunata e le loro chances elettorali maggiori . I risultati delle elezioni tedesche compaiono dettagliatamente l’8 settembre sull’Avanti!, decretando un chiaro successo di Adenauer. Il partito democristiano tedesco conquista la maggioranza relativa del paese e quella assoluta nel Parlamento, mentre i socialdemocratici non riescono ad ottenere neanche un terzo dei seggi parlamentari:

Democristiani (C.D.U.)…..........................12.440.799          45,2%
Socialdemocratici (S.P.D.)………………...7.939.774          28,8%
Liberi democratici (F.D.P.)………………..2.628.146            9,3%
Partito tedesco (D.P.)………………………..897.952            3,3%
Associazione dei profughi (B.H.E.)………1.614.474             5,9%
Comunisti (K.P.D.)…………………......…..607.143             2,2%
Partito popolare pantedesco (G.N.P.)……….318.323            1,2%
Partito del Reich tedesco (D.R.P.)……….....295.615             1,1% 
Centro (Z.)……………………………...…..217.342              0.8%
Partito bavarese (B.P.)……………………...465.522              1,7%
Altri………………………………………...115.663              0,5%

I seggi risultano così distribuiti: democristiani 244 (139), socialdemocratici 150 (131), liberali 48 (52), profughi 27, partito tedesco 15 (17), centro cattolico 3 . La netta sconfitta della SPD è imputabile, secondo Mondo Operaio del 19 settembre, all’eccessivo e sterile parlamentarismo di una socialdemocrazia che non avrebbe saputo dar vita ad un movimento popolare di massa. La sua responsabilità sarebbe grande poiché, per la seconda volta nello spazio di una generazione, al fine di combattere immaginari pericoli a sinistra, spinge la Germania verso destra. Il partito di Ollenhauer, associandosi alla politica di repressione esercitata con inaudita violenza contro i comunisti, avrà la soddisfazione di veder dimezzato il seguito elettorale di questi, ma per sé cosa ha ottenuto? Evidentemente soltanto una riduzione della percentuale degli elettori e dei seggi sotto il limite che gli poteva consentire di contrastare la revisione della Costituzione e la militarizzazione della Germania da parte di Adenauer. All’estero la prima parola d’ordine lanciata da Adenauer nel suo discorso all’indomani delle elezioni è stata: non più unificazione ma “liberazione” della Germania orientale . Mentre l’Avanti! si scaglia criticamente, con Carlo Bonetti, sul cattivo operato del partito socialdemocratico, Giorgio Fenoaltea usa toni quasi ironici e sarcastici per esprimere il visibile rammarico per l’esito della tornata elettorale del 6 settembre. “Il Cancelliere – si legge nell’articolo di Mondo Operaio del 3 ottobre – dovrebbe nutrire una calorosa riconoscenza per i suoi avversari, primi fra tutti i socialdemocratici, i quali portano la più grave responsabilità del presente momento della storia tedesca”. Analizzando i commenti a riguardo all’interno delle due fonti giornalistiche, emerge con evidenza il carattere accusatorio nei confronti di una socialdemocrazia tedesca indecisa nei mezzi e poco coerente nei fini; un atteggiamento diverso avrebbe probabilmente, a detta degli interessati, potuto determinare la vittoria alle urne o perlomeno un esito maggiormente ragguardevole. L’elemento primordiale sarebbe dovuto consistere nell’unità popolare, il raccoglimento sotto unica bandiera di tutti coloro che in Germania avevano imparato la lezione nel 1945, che avevano capito la natura del male tedesco e i suoi rimedi, che non intendevano fare del popolo tedesco il cavaliere di ventura di un nuovo “Drang nach Osten” con la benedizione americana. Il non aver attivato una politica di tal genere è molto probabilmente da attribuire alla volontà del partito di salvaguardare la propria fama: perseguire gli stessi dettami ed associarsi a ciò che dice il partito comunista era evidentemente ritenuto dalla direzione della SPD pericoloso e deleterio. In questo modo, per restare puro da ogni sospetto, il partito di Ollenhauer ha rinunciato ad una politica semplicemente priva di contraddizioni, togliendosi forse solo il gusto di non vedere più comunisti nel Bundestag; ha pagato però questo piacere con una sconfitta che lo riduce, nei computi parlamentari, a non avere più voce in capitolo e, sul piano storico, a dimostrarsi inferiore al compito che, in un momento oscuro del paese, da tante parti gli veniva assegnato per la nascita di una Germania democratica .



1954: Presentazione di un piano socialdemocratico per la riunificazione


Se il 1953 non ha visto gli splendori del Partito socialdemocratico tedesco, l’anno seguente, il ’54, ha segnato sviluppi importanti per un partito che doveva scrollarsi di dosso non solo una pesante sconfitta elettorale, ma, soprattutto, degli atti di accusa e critica da parte della propria base. Tanto Mondo Operaio quanto l’Avanti! rivolgono la propria attenzione nei confronti della SPD a partire dal secondo semestre del 1954. Il primo significativo successo è riportato sull’Avanti! da un articolo di Luigi Fossati, il quale testimonia il buon esito delle elezioni regionali, svoltesi domenica 27 giugno, nelle regioni della Renania e Westfalia; il partito socialdemocratico ha infatti nettamente migliorato la propria posizione passando dal 31,9% al 34,5% a scapito del partito democristiano di Adenauer, che ha perso oltre un milione di voti, cioè l’8% dei suffragi rispetto alla consultazione elettorale per il Bundestag, tenutasi nel settembre dell’anno precedente. A riguardo il segretario del partito socialdemocratico tedesco, Ollenhauer, si è dichiarato assai lieto di apprendere i risultati della consulta regionale, i quali hanno dimostrato una volta di più il fatto che – sono parole sue – “il partito socialdemocratico è uno dei fattori stabili della vita politica tedesca”1. Senza dubbio, l’affermazione della Spd alle regionali della Renania e Westfalia, costituisce soltanto uno degli eventi favorevoli di cui il partito socialdemocratico si è reso protagonista. La notizia di una nuova concreta iniziativa per la riunificazione tedesca è apparsa sull’Avanti! del 20 luglio 1954. Alla vigilia del Congresso socialdemocratico da tenersi a Berlino, il presidente del Consiglio della Repubblica Democratica Tedesca, Otto Grotewohl, ha proposto ad Ollenhauer un’alleanza politica fra tutti i lavoratori tedeschi, diretta all’obiettivo della riunificazione del paese, prospettando un’unità d’azione della classe operaia come strumento di lotta contro la CED. All’interno dello stesso articolo, Luigi Fossati sostiene che al Congresso parteciperanno molto probabilmente esponenti della socialdemocrazia europea e fra gli altri non dovrebbero mancare rappresentanti francesi ed italiani; la presenza di questi ultimi non dovrebbe essere tra le più gradite essendosi dichiarati ufficialmente a favore della Comunità Europea di Difesa. Sembra dunque che, pur attraverso le formalità generiche di un saluto congressuale, dovranno augurare, paradossalmente, fortuna e successo ad un partito che è in sostanza il loro più feroce avversario in politica estera. Vale la pena ricordare, riguardo all’atteggiamento del partito tedesco di Ollenhauer nei confronti dei governativi socialdemocratici italiani, un articolo particolarmente critico comparso sull’ultimo numero del Neue Vorwarts (il settimanale ufficiale del Partito) verso l’azione del governo italiano. Per ragioni evidentemente di “tatto”, l’articolo del giornale tedesco non nomina Saragat né gli altri ministri socialdemocratici italiani. Tornando ai preparativi congressuali è senza dubbio importante osservare e valutare le proposte presentate dalle organizzazioni periferiche della Spd a Berlino; tali proposte, che hanno il vero e proprio carattere di mozioni, sembrano riflettere – a detta di Fossati – l’atteggiamento più spontaneo della base socialdemocratica, offrendo oltretutto la possibilità di considerare quale interessante azione politica sulla scena tedesca potrà svolgere il Partito e se i suoi dirigenti saranno all’altezza del loro compito. Ponendo l’attenzione sulla proposte riportate nell’articolo, si nota con chiarezza che tutte le mozioni sui problemi di politica estera ed interna rifiutano esplicitamente non soltanto la CED, bensì qualsiasi collaborazione militare che ponga una parte della Germania nel blocco occidentale. I socialdemocratici di Dortmund, ad esempio, quelli di Marburg e quelli di Gottinga, propongono testualmente: “Per ottenere la pace in Europa, il partito socialdemocratico tedesco rifiuta qualsiasi contributo militare della Germania… la partecipazione della Germania occidentale alla CED o anche ad una coalizione “atlantica”, renderebbe impossibile una pacifica riunificazione del Paese”. La questione dell’unità tedesca ricompare in ogni mozione. Chiedono i socialdemocratici di Hessen: “La direzione del partito è incaricata di sviluppare un programma per la riunificazione della Germania”; e quelli di Mennheim: “Metà della politica socialdemocratica deve essere la riunificazione della Germania… dobbiamo raggiungere l’unificazione tedesca prima di affrontare qualsiasi altro problema politico… l’unità tedesca è la strada verso la pace…”. Nonostante le note positive e i passi in avanti degli ultimi tempi in termini di unità di intenti, è evidente che esista ancora una frattura fra la volontà della base, espressa in queste mozioni congressuali, e il comportamento del gruppo dirigente socialdemocratico. Ollenhauer, ad esempio, insiste nell’offrire l’appoggio socialdemocratico ad una collaborazione anche militare con l’occidente, al di fuori della CED, mentre assai più coerentemente la base del suo partito vuole rifiutare ogni collaborazione militare a qualsiasi titolo. Il leader della SPD, d’altro canto, parla spesso dell’unificazione tedesca, ma con una genericità di termini incredibile. E’ giusto sostenere – come ha fatto ancora di recente Ollenhauer – che l’unificazione tedesca è in cima a tutti i pensieri, che è l’esigenza della coscienza di ogni tedesco, ma non si tratta semplicemente ora di enunciare i pregi e le necessità della riunificazione del paese, quanto di avviare trattative e formulare un programma per arrivare alla riunificazione o quanto meno per gettarne le basi. La base socialdemocratica, ha avvertito la direzione del partito, ha impegnato Ollenhauer a fare un programma per la riunificazione. Il che evidentemente, anche senza voler giocare sulle intenzioni, significa l’invito a rendersi conto di una realtà: che a oriente esiste un’altra parte di Germania con tutte le prerogative di uno stato sovrano, che ha delle sue leggi, che costruisce case e strade, che ha ormai un peso commerciale e industriale non indifferente in Europa2. Da quanto emerge dall’Avanti! di domenica 25 luglio, oltre alla rielezione di Erich Ollenhauer a presidente del partito con Mellies alla vicepresidenza, significativo agli effetti delle conclusioni da trarre da questo congresso è il fatto che tra i nuovi quattro membri della direzione del partito, tre sono della corrente di sinistra, cioè neutralisti e strenui oppositori di qualsiasi forma di riarmo. Fondamentalmente, gli orientamenti riscontrarti al summit di Berlino, a parte certe indecisioni di tipo organico, sono stati abbastanza chiari. Se la tendenza neutralista ad oltranza (rappresentata dai delegati delle Federazioni più attive) è stata bocciata, è pur vero che il principio della collaborazione militare con l’Occidente extra CED è stato approvato con molte cautele. I dirigenti di destra che volevano un’approvazione pura e semplice di questo principio hanno dovuto fare marcia indietro, appena sentiti gli uomini della base. Il congresso ha sanzionato così anzitutto la necessità di trattative con l’U.R.S.S. e con l’Est europeo per la sicurezza e la pace in Europa e per la riunificazione della Germania: questo è stato anche il punto base della soluzione finale. Solo se tutte le trattative pacifiche dovessero fallire, allora ad un congresso socialdemocratico straordinario toccherà decidere sulla collaborazione militare della Germania3. Proprio poche settimane dopo il congresso socialdemocratico, infatti, i numerosi inviti a trattare da parte della Repubblica democratica tedesca e le proposte sovietiche per una conferenza europea, hanno mostrato che la strada dei negoziati è possibile, ed è l’unica sulla quale il partito di Ollenhauer abbia convenienza ad avviarsi. E’ questo il motivo per cui, negli ultimi tempi, tutti i dirigenti socialdemocratici, anche quello Schmidt che ancora è considerato l’elemento della frazione di destra, hanno ripetutamente affermato la loro volontà di impegnarsi a fondo per arrivare all’unificazione della Germania e di prendere in considerazione le proposte per una “sicurezza collettiva” in Europa. Tale orientamento, del resto, è voluto e imposto con decisione dalla base. E’ perciò interessante vedere che in questi mesi in Germania tanto gli organizzati nei sindacati quanto la base del partito socialdemocratico sono in fermento e che i dirigenti devono prendere atto di questo stato di cose e agire di conseguenza, pena l’impopolarità e la sfiducia4. A riguardo, è di notevole interesse riportare una chiara e lucida analisi di Giorgio Fenoaltea il quale, su Mondo Operaio del 9 ottobre 1954, fa eco ai commenti dell’Avanti!. Il giornalista vuol farci intendere che se la politica dei governi al potere non ispira fiducia, esistono tuttavia fattori nuovi di grande importanza, consistenti nel fatto che la socialdemocrazia tedesca e la socialdemocrazia britannica (cioè le due socialdemocrazie europee che con quella scandinava possono reclamare quel titolo di legittimità che consiste nell’essere le reali rappresentanti della classe operaia nel loro paese) hanno ambedue nettamente identificato nell’unificazione tedesca il più urgente problema europeo. Nel congresso di Berlino del luglio scorso, il Partito socialista tedesco – scrive Fenoaltea – ha fatto un notevole passo innanzi dalle posizioni negative che aveva determinato la sua sconfitta elettorale e la vittoria di Adenauer. Pur senza ancora essere pervenuti ad una totale chiarezza di posizioni, il Partito ha visto tuttavia rafforzarsi quell’ala sinistra che era stata recentemente colpita da ostracismo, esprimendo per di più, negli interventi congressuali dei massimi esponenti, una più esatta coscienza dei problemi europei, distinguendosi nettamente da talune sue posizioni del passato che avevano fatto pensare ad una politica estera bipartita. Dopo di allora poi le dichiarazioni dei socialdemocratici tedeschi erano tese a sottolineare la priorità della unificazione su ogni altro problema5. L’evento che però ha forse caratterizzato più di tutti la politica tedesca del 1954, ponendo il Partito socialdemocratico tedesco in chiara rilevanza, è stata quella che Ollenhauer ha definito “morte della CED” in seguito al fallimento della conferenza di Bruxelles. Sembra essere nuovamente l’Avanti! il quotidiano maggiormente attivo a riguardo riportando, il 25 agosto, un lungo ed interessante articolo firmato da Fossati. Tra le righe è riportata una dichiarazione del presidente socialdemocratico: “Noi dobbiamo riconoscere senza indugio che l’esercito europeo è morto”. Il leader Spd ha tratto poi occasione del fallimento di Bruxelles per riproporre un’immediata conferenza stampa delle quattro grandi potenze allo scopo di prendere in esame la riunificazione tedesca e trovare soluzioni alternative alla Comunità Europea di Difesa: “Un serio tentativo deve ora essere fatto per trovare un’altra soluzione ai problemi tedeschi e della sicurezza europea. Molti ritengono che l’esercito europeo sia l’unica soluzione. Il nostro partito ha sempre sostenuto che vi è un’altra via. Solo nel caso in cui le quattro grandi potenze non siano in grado di risolvere i due problemi – ha concluso Ollenhauer – gli stati dell’Europa occidentale dovrebbero creare un sistema di sicurezza su basi più ampie di quello previsto dalla CED”6. All’indomani del fallimento della conferenza di Bruxelles e poche ore dopo un suo incontro con Adenauer – da quanto emerge dall’editoriale dell’Avanti! del 9 settembre, firmato da Fossati – Erich Ollenhauer tenne a Bonn una conferenza stampa che nei giornali, soprattutto americani ed inglesi, ha avuto grandissimo rilievo. In questa occasione il presidente socialdemocratico attaccò decisamente il governo e la politica europeista del cancelliere: “Il governo – disse – deve trarre dal fallimento della CED e dalla mutata situazione, le necessarie conclusioni”. Il che, date le premesse critiche, fu interpretato come un invito alle dimissioni, invito che lo stesso Ollenhauer poi confermò. Sicuramente questo nuovo incontro tra Adenauer e il presidente socialdemocratico si è chiuso con ben altri risultati rispetto a quello precedente, citato da Luigi Fossati, del 1952; allora i due leaders della politica tedesca ebbero uno scambio di idee, su pressione degli americani, allo scopo di trovare un punto di accordo circa la collaborazione con l’Occidente. Questi incontri, anzi, e non soltanto per le loro conclusioni, caratterizzano due epoche diverse della politica tedesca del dopoguerra. In quella occasione Adenauer non fece concessioni all’opposizione e i socialdemocratici, invece, accettarono il principio della collaborazione con l’Occidente, che sino a poche settimane prima avevano rifiutato. La morte di Schumacher, avvenuto poco tempo prima, aveva creato un certo disorientamento fra le file socialdemocratiche, e il nuovo presidente Ollenhauer, temendo il pericolo di trovarsi isolato sulla scena politica tedesca, fu indotto a fare concessioni e a non concentrare tutti gli sforzi del partito sul problema dell’unità del Paese. Questi due anni sono però stati ricchi di ammaestramenti per il Partito socialdemocratico. Esso ha visto rafforzarsi lo schieramento popolare intorno alla decisa opposizione alla CED. I cedimenti verificatisi nelle elezioni del settembre 1953, quando Adenauer stravinse, si possono considerare il contraccolpo causato dalle incertezze passate e il segno di allarme per il futuro. Continuando nella lettura dell’articolo di Luigi Fossati, è da sottolineare come ormai si ha l’impressione che a distanza di un anno la situazione nel Paese sembra essere mutata. I risultati della consultazione elettorale in Renania e Westfalia sono stati un sintomo assai evidente ed è per confermare questo nuovo trend che si attendono con ansia le elezioni nello Schleswig-Holstein, che avranno luogo il 12 settembre, in una regione cioè dove il partito di Adenauer da solo ottenne poco meno del 50% dei voti nella consultazione precedente. Si è dunque arrivati ad una situazione di favore per cui, nonostante le debolezze dei vertici e dell’organizzazione, il Partito socialdemocratico tedesco è portato dalla forza degli avvenimenti ad essere il protagonista di primo piano della lotta politica in Germania. Il tentativo socialdemocratico di trovare ciò che unisce, e di non esasperare ciò che divide (atteggiamento quest’ultimo proprio del partito di Adenauer), viene accolto dall’opinione pubblica con fiducia. La conferma definitiva della bontà dei pronostici circa il roseo futuro del partito socialdemocratico è tutto contenuta nelle elezioni, particolarmente attese, nello Schleswig-Holstein. È innanzitutto indispensabile ricordare che si trattava della prima consultazione popolare dopo il fallimento della CED7. Rispetto alle elezioni politiche del settembre 1953, il partito del Cancelliere Adenauer ha perso esattamente 152.000 suffragi, su un totale di un milione e mezzo di aventi diritto al voto, scendendo da una percentuale di oltre il 47 per cento dei voti alla percentuale del 32 per cento. Il partito socialdemocratico ha avuto un’affermazione sorprendente, superiore a tutte le previsioni, passando dai 26,5 per cento dei voti del 1953 all’attuale 33,5 per cento dei voti. Con dodicimila voti di maggioranza sui democristiani, il partito socialdemocratico è quindi riuscito come il trionfatore di questa competizione elettorale nella regione definita “nera”, cioè clericale e conservatrice della Germania del nord8. Forte del recente successo alle urne, e ormai conscio della propria forza ideologica, nonché della responsabilità nei confronti della base elettorale, il partito di Ollenhauer, per bocca di quest’ultimo, ha annunciato – secondo quanto compare il 25 settembre 1954 sull’Avanti! – di essere pronto a partecipare agli sforzi per il mantenimento della pace e della libertà mediante misure militari alle seguenti condizioni: 1. Gli sforzi per la riunificazione tedesca dovranno essere proseguiti senza sosta. 2. Un sistema di sicurezza europeo dovrà essere ricercato nel quadri delle Nazioni Unite. 3. I trattati nei quali la Repubblica federale tedesca prende impegni militari dovranno poter essere denunciati dal governo federale qualora divengano un ostacolo alla riunificazione tedesca. Questi trattati non dovranno impegnare il futuro governo di una Germania riunificata. 4. Garanzia dell’uguaglianza dei diritti e della protezione di tutti i paesi partecipanti ad un sistema di difesa. 5. Garanzia di un controllo democratico parlamentare sulle forze armate9. “Nessun nuovo impegno va preso con le nazioni dell’occidente – ha affermato Ollenhauer in un intervista riportata sull’Avanti! di venerdì 8 ottobre – prima di aver intavolato e condotto trattative con l’Unione Sovietica e prima che sia stata tenuta una nuova conferenza a quattro. Soltanto in caso di fallimento della conferenza e delle trattative potremo rivedere la nostra posizione”. Il presidente socialdemocratico ha propugnato un patto di sicurezza collettiva europea nel quadro dell’organizzazione delle Nazioni Unite e senza vincoli militari fra gruppi di potenze; per quel che riguarda la situazione attuale della Germania, Ollenhauer ha poi sostenuto di ritenere possibile la costituzione di un governo comune di tutta la Germania e di giungere alla riunificazione. Ribattendo ad Ollenhauer, il presidente del gruppo parlamentare democristiano Von Brentano ha sostenuto che la Germania deve tornare nel gruppo delle grandi potenze occidentali, che ogni isolamento deve essere evitato, e che soltanto un patto militare con l’occidente offre vantaggi alla politica della Germania10. L’unità nazionale della Germania è dunque l’obiettivo basilare della politica di opposizione, costituendo, per di più, un’esigenza che non si limita all’ambito tedesco. Il 6 ottobre 1954, il ministro degli esteri sovietico Molotov ha invitato le potenze occidentali a realizzare l’immediato ritiro delle truppe d’occupazione della Germania, quale primo passo verso l’unificazione del paese, e ad iniziare trattative a quattro per la pacifica soluzione del problema tedesco, attraverso libere elezioni unitarie. Secondo Mondo Operaio del 23 ottobre la proposta avrebbe avuto grandi ripercussioni, specialmente nella Germania occidentale. Al Bundestag, nel dibattito sugli accordi di Londra, il Partito socialdemocratico ha presentato una risoluzione di condanna, chiedendo al governo di “definire con le potenze occidentali una politica comune che conduca all’unificazione tedesca attraverso negoziati fra i quattro e di intervenire per far sì che “si inizino quanto prima possibile negoziati sulla riunificazione della Germania e sulla incorporazione di una Germania unificata in un sistema di sicurezza nel quadro dell’ONU”. Illustrando la risoluzione, il segretario del partito Ollenhauer ha spiegato che riarmare la Germania occidentale, nel quadro del Patto Atlantico, significa rinunciare ad una attiva politica di riunificazione. Nello stesso ordine di idee il Congresso dei sindacati della Germania di Bonn ha approvato quasi all’unanimità (4 voti contrari su 400) una mozione che respinge qualsiasi forma di riarmo “fino a quando non saranno completamente esplicate tutte le possibilità di pacifica riunificazione della Germania”11. Tutto l’apprezzamento, da parte dei socialdemocratici di Bonn, nei confronti delle proposte sovietiche di negoziati, è confermato da Luigi Fossati sull’Avanti! del 19 novembre. Tra le righe infatti emerge che il gruppo parlamentare di Ollenhauer ha reso note alcune proposte formulate nel corso di una lunga riunione tenuta a Bonn. Sostanzialmente il partito socialdemocratico ha proposto: 1. che il Bundestag di Bonn riconfermi, con una dichiarazione solenne, di considerare la riunificazione della Germania attraverso libere elezioni generali quale principale scopo dell’attività politica di tutti gli schieramenti; 2. che il governo si pronunci attraverso una dichiarazione del cancelliere davanti al Parlamento, a proposito delle recenti iniziative diplomatiche sovietiche; 3. che siano accettate nella loro sostanza le note presentate dall’Unione Sovietica il 23 ottobre e il 13 novembre; 4. che nello spirito delle due ultime note sovietiche, Bonn debba esprimere il proprio gradimento per una conferenza dei ministri delle 4 grandi potenze prima della conferenza generale europea. A questo scopo i socialdemocratici hanno proposto di richiedere all’URSS, onde renda possibile prima la riunione dei ministri degli esteri delle 4 Potenze, un rinvio del termine fissato al 29 corrente per la conferenza europea a Parigi o a Mosca12. Oltre che mirare all’accantonamento degli accordi di Parigi, è piuttosto palese che la richiesta odierna dei socialdemocratici tendeva contemporaneamente a parecchi obiettivi, tra i quali quello di creare una nuova base unitaria in politica estera fra maggioranza e opposizione e, soprattutto, quello di mettere in particolare difficoltà proprio il cancelliere, alla vigilia delle elezioni regionali in Assia e Baviera. E’ proprio a questa importantissima consultazione elettorale che si riferisce l’Avanti! del 30 novembre. “I risultati ufficiali delle elezioni regionali svoltesi un Assia e Baviera – esordisce Fossati – hanno segnato un notevole regresso del partito di Adenauer rispetto alle posizioni del settembre 1953, allorché furono tenute le votazioni generali politiche”. Analizzando i risultati delle urne, è da sottolineare che, su circa otto milioni e mezzo di votanti, il partito democristiano ha perso quasi 850.000 voti, raggiungendo nel complesso il 31% dei suffragi contro il 40,5% ottenuto l’anno precedente. Il partito socialdemocratico ha sorprendentemente guadagnato oltre 370.000 voti, passando dal 28,5% al 34,5% dei suffragi13. A riguardo Mondo Operaio del 18 dicembre sottolinea con forza come l’accordo tra socialdemocratici, liberali, partito dei profughi e partito bavarese abbia strappato per la prima volta nella sua storia la cattolicissima Baviera al partito democristiano. Tuttavia, i successi elettorali del partito socialdemocratico nel 1954 non si arrestano al 28 novembre. Nelle elezioni della Berlino occidentale difatti, lo schieramento di Ollenhauer si è assicurato un’ampia e netta maggioranza rispetto al partito del cancelliere. Su 1.554.766 votanti, pari cioè al 91,6% del corpo elettorale, i socialdemocratici hanno ottenuto 684.686 voti, pari al 44% e 64 seggi nel Consiglio cittadino. Il parere di Luigi Fossati sui risultati elettorali di Berlino ovest è manifestato dall’articolo dell’Avanti in data 7 dicembre. Sul piano della politica estera essi confermano l’affermazione della Spd a seguito delle sue recenti posizioni favorevoli a trattative internazionali, e danno l’opportunità di poter dimostrare se, nei prossimi mesi, i socialdemocratici, avvalendosi dalla loro maggioranza in seno al Consiglio, vorranno continuare, nella zona occidentale della città, una politica di conciliazione e di trattative verso la zona est, la sola politica, cioè, che potrebbe togliere Berlino da una situazione di assurda divisione14. Durante tutto il mese di dicembre si assiste, e le fonti utilizzate lo confermano, ad un serrato attacco socialdemocratico nei confronti del governo ed in particolar modo del cancelliere Adenauer. Il 14 dicembre l’Avanti! riporta la notizia di una riunione comune tra direzione, Comitato centrale e la Commissione del Partito socialdemocratico, al termine del quale è stato diramato un comunicato avente il tono di un appello rivolto a tutti i tedeschi, e che addossa gravi responsabilità al governo Adenauer. “Tutto il popolo tedesco deve sapere che esiste oggi il pericolo che tutte le possibilità di trattative fra le quattro grandi potenze per la riunificazione pacifica della Germania siano distrutte”, dice la risoluzione, la quale richiede al governo e al Bundestag ogni sforzo per impedire che la divisione dei paesi diventi irreparabile. Infine la risoluzione socialdemocratica fa appello ai partiti socialdemocratici dell’Internazionale socialista, affinché intervengano presso le potenze occidentali di occupazione in Germania, allo scopo di richiedere la ripresa delle trattative a quattro sul problema tedesco o l’inizio delle necessarie attività diplomatiche per giungere a questo scopo15. Il “j’accuse” dei socialdemocratici al cancelliere e agli accordi parigini è continuata al Bundestag nella seduta del 15 dicembre; il discorso del leader socialdemocratico, durato un’ora e mezza, ha avuto toni che l’Avanti! ha giudicato drammatici. Con una documentazione serrata, Ollenhauer ha riassunto i motivi dell’opposizione popolare tedesca, non soltanto agli accordi di Parigi in sé e ai particolari che essi contengono, ma alle conseguenze politiche che essi determinerebbero. Chiudendo il proprio discorso, Erich Ollenhauer ha così riassunto la posizione socialdemocratica: 1) convinzione che, dopo la morte della CED, bisognasse anzitutto propugnare una conferenza a 4 sul problema tedesco, e che questa conferenza, ancor oggi, e anzi in particolare oggi, deve costituire il principale obiettivo della diplomazia occidentale e di quella tedesca in particolare; 2) realistica ammissione che, senza l’URSS, il problema tedesco non può avviarsi a soluzione, né si può parlare di riunificazione; 3) gli accordi di Parigi non contengono nessuna garanzia sociale per la riunificazione tedesca, ma contengono anzi i presupposti per ostacolare e mettere in pericolo quella riunificazione; 4) il parere oggi espresso da Adenauer, che la ratifica degli accordi di Parigi non indurrebbe l’URSS a respingere ulteriori trattative, è pericolosissimo e può far andare incontro a un grosso rischio. La replica di Adenauer è stata accolta con rumori dai banchi dell’opposizione e – stando a quanto afferma Fossati – con un “silenzio di tomba” da parte dei seggi della maggioranza. L’atmosfera in aula si è andata riscaldando allorché il cancelliere, che aveva preso la parola per rispondere alle critiche rivoltegli in una giornata e mezza di discussioni, ha perso il filo del discorso e ha fatto citazioni sbagliate del discorso tenuto precedentemente da Ollenhauer. Quest’ultimo, riprendendo prima della chiusura dei lavori la parola, ha rinnovato le proprie critiche al governo, imputando il leader democristiano di voler evitare il dibattito su basì di serietà per mancanza di argomenti e di non aver risposto alle sue principali domande16. Già notevolmente vigorosa, la posizione socialdemocratica va ulteriormente consolidandosi quando, nella “nera Baviera”, gli alleati dei democristiani decidono di girare le spalle al partito del Cancelliere per far lega con la Spd, con il chiaro obiettivo di costituire, assieme, un governo di concentrazione. “La politica interna tedesca – ha scritto un diffuso giornale di Amburgo – è in movimento da alcuni mesi a questa parte, e l’episodio bavarese è, a suo modo, un risultato di rottura. Luigi Fossati tratta il caso della Baviera in un articolo del 21 dicembre sostenendo che, pur non essendo determinante, quest’ultimo è oltremodo significativo per avere un quadro dell’atmosfera politica di una Germania in cui qualcosa di nuovo sembra esserci, nonostante la struttura ufficiale dei partiti al Bundestag. Il capovolgimento in seno al governo di Monaco ha – si legge nell’articolo – “un influenza psicologica non indifferente sull’opinione pubblica”. Il fatto che i socialdemocratici siano riusciti a sottrarre ai democristiani i partiti alleati per stringerseli attorno in un nuovo blocco, fa intendere quali possibilità potrebbe avere anche su scala più vasta quella sorta di alternativa che i socialdemocratici vanno offrendo al paese: una riunificazione pacifica in opposizione alla “politica di forza” democristiana. La “politica interna in movimento” come scrivono i giornali, non si limita però alla Baviera, né ha come unico esempio, pur essendo il più evidente, il recente successo elettorale del partito socialdemocratico, la cui posizione va ottenendo consensi fra chi obiettivamente intende pensare al futuro della Germania17.

1955: Manifesto tedesco contro il riarmo di Bonn

Il 1955, stando alle fonti giornalistiche a disposizione, inizia con un interessantissimo editoriale dal titolo “La socialdemocrazia europea di fronte al riarmo tedesco”, firmato da Giorgio Fenoaltea su Mondo Operaio. L’articolo si pone come obiettivo quello di delineare il carattere antimilitarista del Partito socialdemocratico, compiendo una sorta di excursus storico. Definito da Fenoaltea partito tipico della Seconda Internazionale, emerge tra le righe che la socialdemocrazia tedesca, prima del 1914, aveva conseguito grandi successi sulla vita dell’elevazione delle condizioni di esistenza della classe operaia, pur avendo subìto l’influenza dell’equilibrio politico europeo di allora, sino al punto di considerare la rivoluzione come una lontana eventualità del tutto teorica, riducendosi in pratica a comportarsi verso lo stato borghese e verso l’ordinamento capitalistico come ci si comporta verso una realtà “tranquillamente accettata perché ritenuta insostituibile”. Da quanto si apprende, la vecchia socialdemocrazia tedesca non si sarebbe curata di politica generale: problemi internazionali e problemi culturali, questioni militari e questioni economiche sfuggivano al suo interesse, completamente rivolto alla produzione professionale dell’operaio. Al movimento operaio tedesco la storia aveva assegnato la missione di realizzare quella rivoluzione che la borghesia del suo paese, a differenza delle borghesie francese e britannica, non aveva saputo attuare: e cioè introdurre in Germania quegli istituti democratici che, una volta entrati nel costume e nelle mentalità comune, avrebbero resistito ad ogni attentato e avrebbero posto le premesse delle future conquiste verso una democrazia sempre più sostanziale. Fenoaltea vuole dare rilievo ad un movimento operaio, “indottrinato” dal Partito socialdemocratico che, tornando agli anni ’50, ha saputo mettere spesso e volentieri in imbarazzo Adenauer e il suo partito, ricordando ad esempio i novecentomila operai della Ruhr scesi in sciopero nel 1953 all’indomani della rielezione del cancelliere. Furono probabilmente quelle elezioni ad aver convinto Adenauer circa la misura dell’efficacia socialdemocratica; il cancelliere poteva illudersi di aver a che fare con un avversario parlamentare e nulla più, e nell’illusione di essere approvato dalla maggioranza dalla popolazione, ha tessuto la sua politica di integrazione occidentale e di blocco militare, fiducioso di poter facilmente superare gli ostacoli parlamentari che la socialdemocrazia gli avrebbe opposto. La socialdemocrazia, dal canto suo, intensificava la sua battaglia, e nel Congresso di Berlino, nel luglio scorso, comprendendo finalmente che la garanzia del successo politico stava per farsi interprete delle aspirazioni popolari, usciva dall’equivoco sotto la pressione della sua ala sinistra: in quella occasione veniva sostenuta definitivamente la tesi di assoluta opposizione al riarmo, fino a quando non si fossero esplorate tutte le possibilità di un negoziato con l’URSS per arrivare alla riunificazione della Germania. Ed è singolare il rilievo, secondo Fenoaltea, che malgrado la professione di anticomunismo del Partito, le sue tesi di politica estera si siano vieppiù avvicinate alle posizioni della diplomazia sovietica, fino a coincidere con esse su taluni punti. A riguardo Ollenhauer, all’indomani della riunione dei Nove, dichiarava: “Non è concepibile ratificare gli Accordi di Londra che prevedono il riarmo della Germania occidentale senza prima aver tentato un nuovo negoziato con l’Unione Sovietica sulla riunificazione della Germania. Tale negoziato dovrebbe simultaneamente avere per oggetto la costituzione di un patto di sicurezza collettiva tra tutte le nazioni europee: patto che deve includere gli avversari eventuali. E’ necessario infatti scegliere tra un sistema di alleanza contro il blocco sovietico e una liquidazione della guerra fredda sul piano mondiale, continentale e nazionale, mediante un accordo che metta capo a un sistema di sicurezza generale. Solo nel quadro di tale accordo potrebbe trovare posto e funzione un’Europa organizzata in modo accettabile dalle due parti e una Germania riunificata con obbligazioni e diritti internazionalmente definiti”1. L’editoriale sopraindicato viene pubblicato proprio quando, in tutta la Germania occidentale, è in atto una solidissima campagna contro il riarmo, lanciata per mezzo di grandi comizi indetti dalla Spd. Nell’affrontare l’argomento è come sempre puntualissimo l’Avanti! che, a partire dal 18 Gennaio, dà il via ad un’analisi precisa degli avvenimenti in corso. Parlando a Bonn, il vice leader socialdemocratico, deputato Mellies, ha ammonito a non sottovalutare l’avvertimento dell’URSS secondo cui, in seguito ad un eventuale ratifica degli accordi di Parigi, sarà impossibile trattare la riunificazione del paese: “Ciò – ha detto Mellies – potrebbe significare forse che nessuno dei tedeschi viventi vedrà la riunificazione della patria”. Il vice capo dell’opposizione ha infine esortato il popolo tedesco ad opporsi alla politica del Cancelliere e del suo governo, ed ha fatto presente che, malgrado la maggioranza di cui dispone Adenauer al Bundestag, “un’ondata di resistenza può portare al successo”. E’ oltremodo importante rilevare che anche gli attivisti sindacali della Baviera hanno assunto, sulla scia del recente attivismo antiriarmo socialdemocratico, una posizione di punta, richiedendo ufficialmente: 1) Una mobilitazione generale di tutti i lavoratori attraverso riunioni, comizi, manifestazioni, propaganda scritta; 2) la pubblicazione di uno speciale fascicolo a iniziativa dei Sindacati per precisare all’opinione pubblica l’avversione al riarmo; 3) una generale presa di posizione dei sei milioni di organizzati contro la politica di guerra; 4) l’invio di petizioni contro il riarmo ai Parlamenti regionali e al Bundestag di Bonn; 5) una conferenza straordinaria dei sindacati, espressamente dedicata contro il riarmo2. Tutta l’ansia di Ollenhauer di reclamare negoziati tra le quattro potenze prima della ratifica del riarmo traspare nell’articolo di Luigi Fossati sull’Avanti! del 25 gennaio 1955, allorché il leader socialdemocratico, a nome del proprio partito, ha reso noto un documento, recapitato al cancelliere Adenauer nella sua casa di Buehlerheohe. In questo documento, registrato con rilievo dalla stampa tedesca, il partito socialdemocratico ha ufficialmente chiesto al governo di Bonn di impegnarsi ad intervenire presso le potenze occidentali allo scopo di avviare trattative e di giungere al più presto ad una conferenza a quattro sul problema tedesco, e in ogni caso prima della ratifica degli accordi di Parigi. L’opinione a riguardo di Fossati è incoraggiante per il futuro della Spd, infatti la nuova presa di posizione del partito sembrerebbe portare “un elemento nuovo nella già tesa atmosfera politica di questi giorni in Germania occidentale, e costringerà il governo, nelle prossime ore, a una replica che probabilmente non farà che aumentare le chances dei suoi avversari”. La situazione creatasi in Germania – data l’impopolarità del riarmo – è infatti tale che a ogni presa di posizione del governo, il coro delle proteste e delle manifestazioni degli scontenti aumentano. Nella giornata di domenica, a testimonianza del momento di enfasi e mobilitazione, sono stati tenuti numerosi comizi di protesta contro il riarmo. L’azione contro gli accordi di Parigi, oltre all’iniziativa della socialdemocrazia e della Confederazione dei sindacati, è stata accentuata negli ultimi giorni. Entro la fine del mese oltretutto saranno tenuti oltre cinque comizi e riunioni popolari3. E’ in data 30 Gennaio che l’Avanti! riporta la notizia del raggiungimento di una nuova, importantissima tappa della lotta del popolo tedesco; un tono unitario alle proteste contro gli accordi parigini è stato raggiunto con la grande manifestazione di Francoforte. Nella storica Paulskirehe di Francoforte, cara ai ricordi risorgimentali del patriottismo tedesco, sono convenuti millecinquecento delegati, in rappresentanza del Partito e delle organizzazioni socialdemocratiche, dei sindacati unitari, di organizzazioni giovanili e studentesche, del clero cattolico e protestante, realizzando un potente movimento nazionale contro gli accordi di Parigi e per la riunificazione tedesca. Il Convegno ha solennemente approvato e lanciato un “Manifesto tedesco” contro il riarmo di Bonn e a favore di nuove trattative fra le quattro potenze per la riunificazione della Germania, che costituirà d’ora in poi il documento fondamentale della lotta che si svilupperà un tutto il Paese. “Siamo convinti – dichiara il manifesto – che è venuta l’ora di rivolgere solennemente al popolo e al governo un appello perché resista in maniera decisa alla manovra chiaramente evidente per dividere in modo permanente la Germania”. “La creazione di forze germaniche nella Repubblica Federale e nella Germania orientale – viene affermato – eliminerà a tempo indeterminato le possibilità di riunificazione della Germania ed accrescerà la tensione fra Est ed Ovest. Tale azione, inoltre, aumenterà fino ad un grado intollerabile l’angoscia di larghe zone del nostro popolo. L’orribile destino dei membri di un’unica famiglia schierati l’uno contro l’altro in eserciti opposti diventerà realtà”. “Il tentativo di raggiungere un accordo fra le quattro grandi Potenze – ammonisce il documento – deve avere la precedenza sulla formazione di blocchi militari. Si possono e si debbono trovare condizioni accettabili tanto alla Germania quanto ai suoi vicini che assicurino la pacifica coesistenza tra le nazioni europee attraverso la riunificazione della Germania”. Il documento è firmato, tra gli altri, anche dall’ex ministro degli interni Gustav Heinemann, il quale ruppe col Cancelliere Adenauer quando si rese evidente che la sua politica si indirizzava agli ordini di Washington, verso lo sbocco del riarmo e della divisione permanente della Germania. Fra gli altri firmatari ci sono il pastore Martin Niemoller e il vice presidente del Bundestag, socialdemocratico di destra Karl Schmidt. Sette oratori hanno poi preso la parola durante la riunione svoltasi nella chiesa evangelica (trasformata in sede di conferenze) tra i quali il sociologo prof. Alfred Weber, il leader sindacale Georg Reuter, il teologo evangelico prof. Gollwitzer, lo stesso Heinemann ed il leader socialdemocratico Erich Ollenhauer. Ollenhauer ha pronunciato il discorso più importante ed applaudito. “Per la prima volta – egli ha detto – i tedeschi sono posti dinanzi ad una grave responsabilità: quella di accettare volontariamente una politica che rischia di eternare la scissione del Paese. La nostra reazione contro i trattati di Parigi rappresenta, invece, un appello alle potenze occidentali perché, attraverso negoziati, vengano esaminate le possibilità di riunificazione nazionale in pace e in libertà, e perché si discuta la creazione di un sistema di sicurezza europea nel quadro dell’ONU. Sono convinto che queste possibilità non sono esaurite”. Nello stesso articolo dell’Avanti! è riportato inoltre come il cancelliere Adenauer – definito dal giornalista “vivamente impressionato” – abbia tentato, nella stessa serata, di neutralizzare il grande impulso del movimento tedesco contro il riarmo, indirizzando ad Ollenhauer una lettera per negare la possibilità di trattative con l’Est prima della ratifica dei trattati di Parigi, perché così avrebbero deciso le tre Potenze occidentali, e per promettere di contribuire ad aprire negoziati dopo la ratifica4. Evidentemente la promessa del cancelliere è stata considerata insufficiente dal gruppo socialdemocratico il quale, come da copione, ha presentato, all’inizio della seduta del Bundestag di Bonn del 24 febbraio e notificata il giorno seguente dall’Avanti!, una proposta di rinvio, respinta immediatamente dallo schieramento governativo. Il 27 febbraio è il “grande giorno”; a Bonn infatti sono stati approvati dal Bundestag gli accordi di Parigi con 315 voti, contro 153 e 9 astensioni; tali accordi, com’è noto, prevedono l’adesione della Repubblica Federale Tedesca al Patto di Bruxelles (UEO) e la sua entrata nella NATO. Nella seduta odierna è stato inoltre approvato il protocollo che pone fine al regime di occupazione nella Germania occidentale con 327 voti favorevoli contro 1515. I socialdemocratici, dal canto loro, dopo aver votato compatti contro gli accordi, hanno presentato una mozione per definire gli accordi stessi alla Corte Costituzionale di Karlsruhe, e sono decisi a continuare l’agitazione nel paese. Si può dunque prevedere, viene affermato su Mondo Operaio del 19 marzo, che “la cosiddetta Unione Europea Occidentale, se mai vedrà la luce, debba ancora passare attraverso difficili prove6. Per nulla arrendevole, Ollenhauer ha dichiarato in un intervista riportata sull’Avanti! del 2 marzo, che “la lotta contro gli accordi di Parigi continuerà con una nuova forma e con nuovi metodi. I giornali vicini alla socialdemocrazia si mostrano attentissimi al novo corso degli ultimi tempi, offrendo un panorama di come potrà appunto orientarsi la rinnovata lotta di opposizione. Innanzitutto – rilevano questi giornali – il voto del Bundestag non ha per nulla tolto di mezzo taluni ostacoli all’entrata in vigore degli accordi parigini. Viene fatto notare, infatti, che nei successivi giorni (l’8 e l’11 corrente) il complesso degli accordi di Parigi passerà in discussione alla Camera dei Rappresentanti regionali tedeschi e al Bundesrat. Contro gli accordi si sa che voteranno di sicuro i rappresentanti regionali di Brema, dall’Assia, della Bassa Sassonia e della Baviera (ove contemporaneamente si è costituito il governo di concentrazione che fa capo ai socialdemocratici) con un totale, cioè, di diciassette voti potenziali7. Più che mai fiduciosa degli esiti futuri, l’opposizione socialdemocratica, da quanto emerge dall’Avanti! del 10 maggio, ha pubblicato un proprio programma d’azione per la riunificazione tedesca nel quale, dopo aver sostenuto che prima delle libere elezioni dovrebbe essere chiarita quale sarà la futura posizione internazionale della Germania unificata, viene stabilito che “riunificazione e creazione di un sistema europeo di sicurezza vanno considerate come una cosa sola. Le potenze occupanti dovrebbero poi accordarsi sull’entità delle loro truppe che resterebbero in Germania, e sulle forze di polizia tedesche o sulle forze armate tedesche che, sino alla completa evacuazione dei reparti occupanti, si troverebbero a sostituire man mano quelle delle quattro potenze”. L’opposizione chiede inoltre che “la Repubblica federale rinunci agli impianti militari da essa assunti; tale impegno dovrebbe essere sostituito da accordi a quattro nel quadro di un sistema di sicurezza collettiva”. La presa di posizione socialdemocratica assume un particolare rilievo in coincidenza con l’annuncio della decisione dei ministri degli esteri occidentali riuniti a Parigi di acconsentire all’incontro a quattro a breve scadenza. Il progetto socialdemocratico, che pone sopra ogni altra istanza quella della riunificazione, assume come base il sistema europeo di sicurezza già tracciato nelle sue grandi linee da Molotov nella Conferenza di Berlino del ’54. Sull’Avanti! del 10 maggio vengono, a proposito, riportati i cinque punti attraverso i quali Ollenhauer ha sintetizzato il programma pubblicato dal partito: 1) gli impegni militari che la Germania occidentale ha contratto coi trattati di Parigi dovrebbero essere completamente ridiscussi con le quattro grandi potenze nell’ambito di un accordo regionale di sicurezza; 2) l’attuale Unione Europea Occidentale dovrebbe essere allargata onde includervi tutti i paesi europei. In tale unione la Germania riunificata avrebbe gli stessi obblighi militari di tutti gli altri paesi membri; 3) il riarmo della Germania occidentale dovrebbe essere rinviato indefinitivamente per non ostacolare i negoziati sul sistema di sicurezza europeo; 4) l’Unione Europea Occidentale ampliata dovrebbe fissare un nuovo limite massimo alle forze armate e agli armamenti dei paesi aderenti; 5) non appena vi sia la prospettiva di un accordo fra le quattro grandi potenze sulla riunificazione della Germania, le clausole emendate dai trattati di Parigi dovrebbero entrare in vigore. Ollenhauer avrebbe poi accusato il cancelliere di non avere un piano preciso per la risoluzione del sistema tedesco mediante trattative fra i quattro grandi, aggiungendo inoltre che la questione “non è stata discussa con l’opposizione al parlamento di Bonn prima che Adenauer si recasse a Parigi”8. Proprio da tale malcontento il 16 maggio veniva per la prima volta richiesta – si apprende dal giornale di orientamento socialdemocratico della Berlino ovest, il “Telegraph” – la costituzione di un governo di concentrazione nazionale, comprendente anche i socialdemocratici, allo scopo di elaborare un energico programma per la riunificazione del paese9. Nel dicembre del 1955, l’Avanti! traccia una sorta di resoconto sulla socialdemocrazia tedesca, quasi a voler marchiare un anno tutto sommato positivo, contrassegnando il partito come “il gruppo parlamentare più organizzato e forte, come struttura e come iscritti, di tutta la Repubblica federale”. L’articolo in questione esordisce dando rilievo alla solida piattaforma organizzativa ed elettorale che la Spd è riuscita a costruire in quelle che fino ad allora erano considerate roccaforti democristiane come la Baviera e il governo regionale di Bonn. Il merito dei recenti successi del partito sarebbe da ricondurre, secondo il giornalista dell’Avanti!, al proposito dei dirigenti socialdemocratici dell’immediato dopoguerra di allargare la propria fisionomia, anche a costo di sacrificarne la struttura di classe. Un sintomo di questa tendenza è sicuramente rappresentato dal rifiuto del partito a qualsiasi riferimento marxista e dal ritegno nel parlare di nazionalizzazioni di aziende o di riforme strutturali. Proprio con queste affermazioni, il presidente socialdemocratico del dopoguerra Schumacher desiderava ampliare i confini dell’organizzazione, far confluire nel partito elementi progressisti provenienti da altri movimenti, soprattutto dai liberali. Parecchi dei deputati socialdemocratici sono infatti, usando una definizione del giornalista, degli “assimilati, non provengono dal partito e non hanno alle spalle esperienze di lotta operaia”. Il fatto è che se l’esperimento di Schumacher si può dire riuscito ai vertici, non si può dire lo stesso per la base. A detta dell’Avanti!, il partito socialdemocratico non sarebbe riuscito, nella Repubblica federale, a conquistarsi da sé una così larga adesione sufficiente a trasformarsi in maggioranza parlamentare. Il partito ha, proprio per questo, bisogno di alleanze per riuscire a spostare l’equilibrio di governo. L’articolo in questione si fa molto interessante analizzando e lodando l’atteggiamento della Spd sul terreno della politica estera. I socialdemocratici vengono descritti come coloro i quali riescono effettivamente ad offrire una soluzione di ricambio, un’efficace alternativa alla politica NATO. La lotta condotta contro gli accordi di Parigi ha fatto guadagnare alla socialdemocrazia tedesca (lasciata isolata da altri partiti socialdemocratici europei) notevoli simpatie nel paese, e di questo accresciuto prestigio si è avuta tangibile dimostrazione nei recenti risultati elettorali regionali. La campagna contro il riarmo riuscì a mobilitare l’intera opinione pubblica della Germania occidentale. Dopo l’approvazione dei trattati di Parigi parve però che il partito socialdemocratico non sapesse aggiornarsi alla nuova situazione e trovare nuovi motivi di iniziativa politica. Adesso la socialdemocrazia tedesca propone di rimettere in discussione gli accordi di Parigi, che vincolano la prospettiva politica della Bundesrepiblik, propone di superare questi accordi nel quadro di un patto di sicurezza collettivo. Concludendo, emerge dallo stesso articolo che, nonostante la posizione ideologica che vede nemici eguali tanto a destra che a sinistra, è evidente che nell’attuale situazione politica della Germania occidentale è il partito socialdemocratico che offre qualche cosa di concreto, che ha una visione realistica dei problemi di politica estera, che ha una prospettiva di sviluppo, che spera per evitare uno stabilizzarsi della divisione nazionale. Così come è il partito socialdemocratico, nell’atmosfera grigia e monotona del Bundestag di Bonn, l’unico a recare l’apporto di argomenti e una discussione politicamente viva10.








1956: Una concreta soluzione di ricambio alla politica di Adenauer

Che ci si trovi innanzi ad un periodo di evidenti successi per la Spd è fuori d’ogni dubbio e i fatti del 1956 non fanno altro che darne la conferma. Gli esordi dell’anno in questione rappresentano un ulteriore, importantissimo passo verso il consolidamento socialdemocratico. Da quanto di apprende dall’Avanti! del 21 febbraio, “la crisi politica che maturava da tempo nella Renania-Westfalia, rovesciando sul piano regionale lo schieramento di coalizione su cui si regge la stabilità del governo federale, è precipitata oggi al parlamento di Dusseldorf”, ove il governo democristiano del ministro, presidente del Land, Karl Arnold, è stato battuto con 102 voti contrari e 96 favorevoli, sulla mozione di sfiducia dei liberali e dei socialdemocratici. Il governo Arnold, formato da sette democristiani, due liberali e un rappresentante del Zentrum (cattolici di sinistra) si è dimesso, e immediatamente il socialdemocratico Fritz Steinhoff è stato eletto suo successore e ha prestato subito il giuramento di rito. Tra le varie ipotesi che vengono avanzate dagli addetti ai lavori, la più prevedibile sarebbe quella per cui Steinhoff formi un governo di coalizione fra i partiti socialdemocratico, il quale ha alla Dieta di Dusseldorf 76 seggi su 200, il partito liberale, che ne ha 25, ed il partito di “centro”, con 9; in tal modo i cristianodemocratici, disponendo di 90 seggi, passerebbero all’opposizione. Il capo del partito socialdemocratico Ollenhauer, da parte sua, manifestando il suo giubilo per gli avvenimenti di Dusseldorf, ha dichiarato che la nuova coalizione “è pronta ed in grado di realizzare una vera ricostruzione”. E’ ormai evidente che le parole di Ollenhauer mirino assai al di là della situazione locale renano-westfalica1. Riguardo il campo della politica internazionale, testimonia Luigi Fossati in un articolo del 25 marzo, sembrerebbe che il partito socialista unificato della Repubblica democratica tedesca (SED) sia pronta a fare concessioni di metodo e a dimostrare di essere pronto a raggiungere, sulle questioni di comune interesse, un’intesa e un compromesso con la socialdemocrazia della Germania occidentale. Il tema dell’intesa fra i due partiti operai tedeschi è stato ufficialmente ed ampliamente trattato nel corso di una relazione del Comitato centrale del SED, presentata il 24 marzo, all’apertura della terza conferenza nazionale del Partito, dal segretario Walter Ulbricht. Nel compromesso fra le posizioni del SED e del partito socialdemocratico è stata riconosciuta la migliore possibilità per evitare che la questione tedesca rimanga bloccata, protraendo la divisione del paese. Il discorso di Ulbricht è stato realistico: un richiamo al comune senso di responsabilità. “La Germania – ha detto – è divisa, i due sistemi che sulla scena mondiale formano due blocchi opposti, sul suolo tedesco vengono a scontrarsi in modo diretto. Ciò impone ad entrambe le parti, e per quel che riguarda la Germania occidentale al partito socialdemocratico, di guardare in faccia la realtà senza schematismo. Ciascun partito può mantenere sostanziali riserve sulle posizioni e sull’operato dell’altro; ma ciò nonostante una collaborazione su taluni motivi può e deve essere raggiunta”. La risposta del leader Spd, Ollenhauer, è immediata, dichiarando il giorno stesso che la socialdemocrazia “rifiuta il comunismo oggi come ieri. Ma il problema non è ovviamente quello di accettare o rifiutare il comunismo: si tratta solo di dimostrare un volontà di compromesso pur senza voler recedere dalle proprie posizioni di principio. E rifiutare il colloquio costituirebbe, alla lunga, una grave responsabilità per la socialdemocrazia tedesca, data la particolare situazione del paese: addirittura sarebbe un’ipoteca sul futuro sviluppo della Germania”. Proprio sul domani tedesco, il leader del SED controbatte in tono velatamente aspro invitando i socialdemocratici a prendere essi stessi delle iniziative, ad avanzare un programma anziché sollecitare soltanto che le quattro potenze prendano posizioni sulla questione tedesca. “I socialdemocratici – ha detto – facciano essi stessi un programma, e questo servirà come base di discussione”2. Appare evidente che, nonostante il tentativo di compromesso, ci siano non indifferenti sintomi di malumore tra coloro i quali, come la Spd e il SED, auspicano forse più di chiunque altro la riunificazione della patria. Se dal punto di vista prettamente storico e cronachistico, l’Avanti! sembra mostrarsi maggiormente attento e impegnato, le rassegne e gli editoriali di Mondo Operaio costituiscono dei veri e propri momenti di saggistica. Nel mese di maggio, all’interno della rassegna “Orientamenti della socialdemocrazia tedesca”, Mondo Operaio concentra la propria attenzione sulla rivista marxista francese “Cahiers Internationaux” (n. 75) dell’aprile 1956, in cui viene pubblicato un interessante studio di A.P. Lentin circa il Partito socialdemocratico tedesco. L’autore prende spunto dalle dichiarazioni del Congresso di Mosca riguardo i rapporti tra il comunismo e la socialdemocrazia, rapporti che, nella riunione a Londra dell’Esecutivo dell’Internazionale, vennero perentoriamente stabiliti: un comunicato pubblicato il 7 aprile si apriva con la frase: “Tra socialismo e comunismo nulla vi è di comune”, rigettando poi “qualunque idea di cooperazione politica con i partiti della dittatura”. Secondo Lentin, la Spd è passata con rapidità sconcertante dalle iniziative di “guerra fredda” a quelle di distensione, e ciò costituirebbe un riflesso delle contraddizioni in cui il Partito si dibatte. Evidenti a riguardo sono le oscillazioni del partito nei riguardi dell’evoluzione sovietica. “Nel corso della recente riunione del Consiglio dell’Internazionale a Zurigo – afferma Lentin – il rappresentante della SPD fu uno dei più accaniti nel respingere ogni idea di avvicinamento ai comunisti: ma quando, a Londra, si riunisce l’Esecutivo, egli non vi partecipa”. Nell’intervallo, il Partito aveva emesso un apprezzamento ufficiale di carattere positivo sulle dichiarazioni di Krusciov, e Ollenhauer aveva insistito sulla necessita di negoziati con l’URSS abbandonando lo schematismo atlantico. Tutto ciò viene considerato dall’autore come il risultato delle contraddizioni che travagliano un partito innegabilmente legato alle masse lavoratrici, ma diretto da un esecutivo piccolo-borghese e riformista. Il tono di Lentin sembra farsi polemico, accusando la macchinosa burocrazia insita nel partito di soffocare un colosso forte di 700.000 membri, e rappresentante il 30-35% dell’elettorato: il forte aspetto burocratico viene qui definito “un marchingegno pesante, rigido e centralizzato, formato da funzionari installati da molti anni nei loro posti retribuiti”. Effettivamente l’autore, a ragione, fa riferimento ad anziani, iscritti al partito magari da cinquant’anni, e sempre rimasti negli uffici ove hanno perduto ogni contatto con le officine e gli operai, diventando per di più timorosi di ogni battaglia “rischiosa”. Il discorso si fa estremamente interessante allorché, imputando alla direzione partitica un potere pressoché assoluto, Lentin elenca e analizza i principi cardine sui quali essa si fonda: 1. Ripudio del marxismo. Proprio il partito che Marx ed Engels amavano è quello che più si è allontanato dalle loro dottrine. Esso nacque nel 1875 dalla fusione di due movimenti, uno marxista, l’altro antimarxista, e quest’ultimo ha avuto la meglio. Il programma di Heidelberg (1925) adottò qualche principio marxista, ma rimase lettera morta: e dopo la seconda guerra mondiale, la tendenza si accentua, fino al punto che nel congresso del 1954 si arrivò a dichiarare apertamente che il Partito “non può limitarsi a difendere unicamente gli interessi della classe operaia”. 2. Collaborazione di classe. La socialdemocrazia tedesca, per antica tradizione, ha sempre preferito le soluzioni tecniche, nel quadro delle istituzioni esistenti, alle soluzioni politiche, con il risultato di allontanare le masse dalla politica: ed oggi la burocrazia dirigente il Partito ha fatto propria questa tradizione, e non contesta l’autorità del padronato. Quanto al programma del Partito, non vi figurano né riforma agraria né socializzazione delle imprese, ma soltanto la nazionalizzazione delle industrie-chiave, la pianificazione del credito, la perequazione tributaria. Sino ad allora, la sola rivendicazione difesa con energia, sino a farla diventare legge, è quella della “cogestione”: cioè il diritto degli operai di essere rappresentati nella direzione delle imprese (non direttamente, ma per il tramite dei sindacati), diritto che peraltro non modifica in nulla il carattere capitalistico delle imprese medesime. 3. Nazionalismo integrale. Dei due primi movimenti operai dalla cui unificazione sorse l’attuale SPD, uno era stato fondato nel 1863 da Lasalle e l’altro nel 1869 da Bebel. Da allora, il problema del nazionalismo non ha cessato di dominare la socialdemocrazia tedesca. Si ricordi come nel 1875 Marx osservasse che il programma di Gotha non contenesse una parola sulle funzioni internazionali della classe operaia tedesca. Senonché Schumacher, il capo della socialdemocrazia tedesca nel dopoguerra, ricondusse il Partito precisamente sul terreno nazionalistico, identico a quello dei vecchi militari conservatori: il che spiega l’adesione di certi generali ex nazisti e di altre personalità compromesse, così come spiega l’ambiguità della lotta del Partito contro la CED, lotta condotta dai dirigenti con spirito nazionalistico e dalla base con spirito pacifista. 4. Antisovietismo e anticomunismo. All’indomani della seconda guerra mondiale, la propaganda socialdemocratica contro l’URSS e contro i comunisti non ha avuto nulla da invidiare a quella di Washington e, d’altra parte, la SPD ha accentuato il suo carattere proletario: il 95% degli iscritti ha un reddito mensile inferiore a 300 marchi e nel 1954 il Partito risultava composto per due terzi da proletari o proletarizzati. Ciò pesa in modo decisivo sui destini del partito, ponendo in essere la principale contraddizione fra base e direzione. La Germania Occidentale è il paese europeo ove più acutamente si manifesta la spontaneità delle masse. Questo fatto, e l’altro del carattere controrivoluzionario della direzione, costituiscono i dati della storia dialettica della socialdemocrazia tedesca3. Sino al 1953, secondo il parere di Lentin, la socialdemocrazia pagò a caro prezzo il proprio atteggiamento “antistorico”e titubante, con la conseguente catastrofe elettorale che la vide perdere una cifra come 4 milioni di voti. E’ da quel momento in poi che la socialdemocrazia, come sottolinea anche l’Avanti! del 3 dicembre 1955, iniziò seriamente ad offrire una reale soluzione di ricambio alla politica del cancelliere Adenauer, politica marchiata al congresso di Berlino del 19544. Un altro congresso, questa volta da tenersi a Monaco dal 10 al 14 luglio 1956, è destinato a scrivere un capitolo di notevole rilevanza per il partito di Ollenhauer. Il summit, da quanto testimonia Luigi Fossati sull’Avanti del 10 luglio, avrà inizio con la relazione del leader di partito sul tema “Una svolta politica tedesca”, alla quale seguiranno quelle concernenti “La seconda rivoluzione industriale”, “Il lavoro del gruppo parlamentare socialdemocratico” e, per finire, quella sulle singole attività dell’organizzazione del partito. Come detto il congresso si concluderà sabato 14 corrente con la nomina della nuova presidenza del partito e con la votazione della mozione politica che servirà come indicazione generale per la campagna elettorale dell’anno seguente. Saranno infatti le elezioni dell’autunno 1957 e le iniziative per la riunificazione tedesca le due sostanziali direttrici di marcia congressuale. La socialdemocrazia tedesca sembra intenzionata con questo nuovo congresso di Monaco a mettersi davanti all’opinione pubblica tedesca come una precisa alterativa di governo, affermando la necessità di attuare una nuova politica tanto nei rapporti interni fra le due Germanie, quanto nei confronti dell’oriente europeo e della stessa alleanza occidentale. A Monaco ci si dovrebbe in sostanza pronunciare per la creazione di una nuova maggioranza parlamentare nel prossimo anno, seguendo una formula che lascerebbe aperta la possibilità tanto di una collaborazione coi liberali e il partito dei profughi, quanto con lo stesso partito democristiano senza però Adenauer. “In seno al partito, alla vigilia di questo congresso, non manca di essere rilevata una partecipazione dei militanti più attiva del solito, così come un generale, ampio dibattito di idee. L’attività della sinistra si presenta considerevolmente rafforzata poiché talune iniziative, ad esempio circa i rapporti tra Ovest ed Est tedesco, si sono ora imposte come una generale necessità”. Esordisce così l’interessante campagna per l’attivazione dei quadri periferici di partito e per la sburocratizzazione dell’apparato svolta dal giornale della sinistra socialdemocratica “Die Andere Zeitung”5. Il congresso di Monaco è stato inaugurato ufficialmente nel pomeriggio di martedì 10, con un discorso di saluto agli ospiti e ai delegati, da parte del vicepresidente Mellies. Già in mattinata però, anche se in via del tutto ufficiosa, aveva avuto luogo una riunione congressuale a porte chiuse, convocata dalla direzione del partito per concordare un programma di massima del dibattito. Da quanto si apprende da un corposo articolo dell’Avanti! firmato da Luigi Fossati, secondo l’attuale presidenza socialdemocratica, compito del partito sarebbe, principalmente, quello di apprestarsi, nelle elezioni del 1957, a rompere il monopolio politico detenuto da Adenauer, offrendo al paese un’alternativa rispetto all’attuale immobilità: in sostanza, iniziative di riunificazione tedesca tramite trattative e contatti diretti con l’Unione Sovietica e, in forme ancora da definire, anche con la Germania orientale. Ma la socialdemocrazia, anche se può considerarsi favorita tanto dagli avvenimenti distensivi internazionali, quanto dal progressivo isolamento delle posizioni democristiane nella stessa Germania ovest, non può ancora contare sulla possibilità di ottenere una maggioranza assoluta che le consenta, in tutta libertà, di attuare una propria azione politica. Il partito, si ritiene, avrà bisogno di alleati, dovrà sostanzialmente tentare un rovesciamento di alleanze per formare una nuova coalizione governativa a Bonn. Qui entra in gioco il possibilismo di cui, da anni ormai, danno prova i dirigenti socialdemocratici, i quali, già all’epoca di Schumacher, avevano tolto al partito una fisionomia classica per farne un movimento di tipo progressista, che potesse accogliere attorno a sé anche elementi di preparazione liberale. L’intera atmosfera di questo congresso sembrerebbe dunque denotare il tentativo del partito socialdemocratico di inserirsi prepotentemente nello schieramento governativo, se non addirittura di diventarne il perno. Con l’obiettivo di perseguire questo fine, le direzione socialdemocratica è parsa evidentemente preoccupata di assicurare alla pubblica opinione, non soltanto tedesca, che la solidarietà della Germania all’occidente non è garantita esclusivamente dal governo Adenauer6. Se è vero però che a Monaco ci siano tutti i presupposti affinché si giunga a posizioni unitarie e solide, è indubbio che, nel decidere l’orientamento futuro del partito, le organizzazioni di base, nella loro maggioranza influenzate dalla sinistra, hanno in occasione preso posizioni precise, richiedendo fra l’altro anche un immediato ritorno ideologico al marxismo, mentre il rifiuto alla politica di riarmo suona secco e deciso. Il secondo giorno dei lavori è stato segnato dall’approvazione all’unanimità delle mozioni politiche presentate dalla presidenza socialdemocratica e dalla commissione direttiva, in base alle numerose proposte presentate dalle federazioni. Sulla riunificazione della Germania – segnala l’Avanti! del 12 luglio – la mozione più lunga e impegnativa “chiede trattative con tutte e quattro le grandi potenze, per arrivare, in clima di reciproca fiducia, alla revisione degli accordi di Parigi e del cosiddetto Patto di Varsavia, che vincolano attualmente i due stati tedeschi”. Proprio per questo, una nuova politica estera del governo di Bonn deve, secondo il parere socialdemocratico, contribuire alla diminuzione della tensione internazionale favorendo, tra l’altro, un accordo sul disarmo. Nel medesimo articolo di Fossati si accenna alle questioni di politica interna, per le quali il congresso ha votato una risoluzione che ha il compito di costituire la base per la campagna elettorale; in essa è affermato che il partito deve necessariamente essere rafforzato in modo che risulti impossibile governare il paese senza la partecipazione socialdemocratica. L’attenzione principale era comunque rivolta ai problemi di politica estera e alla necessità di imprimere nuove iniziative all’azione governativa della Repubblica tedesca, per evitare il pericolo di un isolamento e quindi del mantenimento della divisione tedesca per un numero indeterminato di anni. Durante la presentazione della propria relazione, Ollenhauer ha dichiarato: “Il governo Adenauer sta imprimendo alla politica di Bonn un corso pericoloso. Il vecchio cancelliere non vuol riconoscere gli avvenimenti nuovi verificatisi sulla scena internazionale, uno su tutti il processo di distensione avvertibile da alcuni mesi. La politica della NATO – ha proseguito il leader socialdemocratico – è oggi assolutamente insufficiente alle necessità del mondo occidentale e la Germania, che si trova nella situazione più delicata, non deve esitare a sviluppare una propria politica la quale ponga, se necessario, in discussione la stessa partecipazione di Bonn negli accordi di Parigi”. Nonostante l’interessante e sentita esposizione delle proposte presentate da Ollenhauer, si sono fatte sentire energicamente le voci dell’organizzazione di base: delegati di Francoforte sul Reno e di Monaco hanno chiesto un rifiuto più deciso delle leggi e meno compromessi parlamentari, mentre rappresentanti di altre federazioni hanno sostenuto la necessità di riconoscere la realtà costituita dalla R.D.T. e di non dover continuare a ragionare in base a schemi predefiniti7. L’idea di una socialdemocrazia tedesca stabile e desiderosa di proiettarsi all’avvenire partendo dalla solida base vigente, si è riflessa nella rielezione, rispettivamente alla presidenza e alla vicepresidenza del partito, di Erich Ollenhauer e Wilhelm Mellies; su 379 votanti, il primo ha ottenuto 338 voti e il secondo 306. Alla conclusione dei lavori, la stampa tedesca ha commentato i risultati politici del congresso socialdemocratico con grande rilievo: il dibattito di politica interna ed estera hanno posto il partito socialdemocratico tedesco in una posizione di assoluta iniziativa sulla scena tedesca. In particolare, vengono commentate le posizioni di politica estera assunte dal partito socialdemocratico, soprattutto l’invito per un’intensificazione dei rapporti diplomatici con l’Unione Sovietica. Secondo il punto di vista di Luigi Fossati sull’Avanti! del 14 luglio, trattandosi di necessità politiche generalmente riconosciute è probabile che, prima o durante la campagna elettorale, anche Adenauer, o perché sollecitato da elementi influenti del suo partito, o infine per il timore dell’influenza socialdemocratica, possa assumere iniziative in questa direzione. Laddove il congresso socialdemocratico, invece, è parso voler bloccare le iniziative, è stato nei confronti dei rapporti fra Germania occidentale e orientale, ovvero fra partito socialdemocratico e partito socialista unificato. E’ evidentemente intervenuta, qui, una pressante considerazione di carattere elettoralistico, alla quale è stata sacrificata ogni altra esigenza. Ugualmente settaria è stata la posizione del congresso sui problemi dei rapporti col comunismo, sollevato in una lettera inviata da Ollenhauer dal Partito Comunista dell’URSS. “Il partito socialdemocratico, che ha ora una parte preminente nel movimento operaio della Repubblica federale tedesca ha – dichiara la lettera – grandi possibilità nella lotta ingaggiata in Europa per la causa della pace contro le forze della reazione e del militarismo. Questo ci permette di esprimere la speranza che, nel discutere il tema della svolta della politica tedesca, il vostro congresso contribuirà ad eliminare il pericolo di una guerra e a consolidare la pace nonché la solidarietà fra i popoli e l’unificazione della Germania su una base pacifica e democratica”8.











1957: Sconfitta socialdemocratica alle elezioni politiche

Che i problemi di politica internazionale siano quelli più affrontati e dibattuti in seno alla Germania è evidente anche nei primi mesi del 1957. Nel mese di gennaio infatti, e precisamente il giorno 31, il ministro degli Esteri Von Brentano ha aperto il dibattito di politica estera al Bundestag, esponendo ancora una volta le grandi linee della politica di Adenauer tra gli applausi della maggioranza e le vivaci disapprovazioni dell’opposizione socialdemocratica sostenuta da una parte del pubblico delle tribune. Von Brentano – da quanto riferito dall’Avanti! del primo febbraio – ha riaffermato che la Germania occidentale non è a priori contraria alla creazione di un sistema di sicurezza europeo votato all’eliminazione dei due blocchi antagonisti, ma ha espresso le proprie riserve circa “le buone intenzioni” dell’URSS. Egli ha inoltre ancora una volta sostenuto che la riunificazione della Germania rimane in primo piano tra le preoccupazioni del governo Adenauer, ma non è detto che si debba giungere concretamente alla sua realizzazione. La replica del partito socialdemocratico non si è di certo fatta attendere e Ollenhauer, intervenuto nel dibattito, ha detto: “Noi siamo per la riunificazione con l’inclusione della Germania in un sistema di sicurezza europeo nel quale la Germania riunificata abbia eguali diritti e doveri, un sistema di sicurezza europeo che possa essere garantito dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica”1. Ancora una volta a dimostrazione dell’amplissimo impegno socialdemocratico verso una soluzione del problema relativo alla riunificazione del paese, l’Avanti! del 2 marzo riporta la notizia del soggiorno di quindici giorni negli USA di Erich Ollenhauer. Al rientro in patria, il presidente della Spd si è detto molto soddisfatto del viaggio compiuto, sottolineando altresì la simpatia dell’opinione pubblica americana per il problema della riunificazione tedesca, dichiarandosi convinto che gli americani “stiano facendo progressi verso l’obiettivo della riunificazione della Germania”. Prima che Ollenhauer giungesse a Bonn, il partito socialdemocratico tedesco aveva diramato un comunicato in cui si definiva “un grande successo” il viaggio negli Stati Uniti di Ollenhauer. “Questi ha convinto gli americani – dice il documento – che Germania non vuol dire solo Adenauer”. Il comunicato spiega infatti che prima del viaggio del leader socialista negli Stati Uniti, molti americani fossero convinti che le uniche speranze della Germania fossero fondate sulla figura dell’ottantunenne cancelliere, capo del partito democristiano2. Avvicinandosi il giorno delle attesissime elezioni, la Spd accantona per un momento i propositi sulla politica estera, facendo il punto sulle proprie intenzioni a livello economico e sociale. Qualora il risultato delle operazioni politiche del prossimo settembre gli attribuisse una maggioranza in parlamento, il partito socialdemocratico, da quanto ha affermato Ollenhauer durante una conferenza stampa, avrà tra gli obiettivi da perseguire assolutamente quello del pubblico controllo sulle industrie chiave (carbone, acciaio e prodotti chimici), in una forma ancora da stabilire, “in modo da poter essere affiancata alla nazionalizzazione di tipo inglese o ad una forma di proprietà e di controllo misto”3. Le prospettive generali del partito socialdemocratico sembrerebbero dunque – si legge nell’articolo di Luigi Fossati di Mondo Operaio di aprile – assai promettenti. E’ innegabile, difatti, che recenti iniziative socialdemocratiche abbiano guadagnato larga popolarità, pur non essendo ciò ancora sufficiente a giustificare i pronostici di una vittoria alle urne. Il giornalista porge poi l’attenzione sul fatto che negli ultimi due anni i risultati delle elezioni regionali e comunali hanno segnato un notevole passo in avanti del partito socialdemocratico: alcuni rovesciamenti delle alleanze prima esistenti hanno consentito interessanti esperimenti di governi di coalizione (nella Renania-Westfalia e nella stessa Baviera finora dominio incontrastato dei democristiani) che fanno perno sui socialdemocratici. Sebbene un apposito congresso, convocato a Dortmund in giugno, dovrà definitivamente ed ufficialmente fissare il programma definitivo dell’alternativa socialdemocratica di governo, Fossati traccia, sempre nel medesimo articolo, i punti fondamentali delle prospettive socialdemocratiche: 1) accettazione sostanziale del punto di vista laburista – il cosiddetto piano Gaitskell – sulla creazione di una fascia neutrale in Europa che comprenda i due stati tedeschi, nonché alcuni paesi dell’Europa dell’Est; 2) un piano di sicurezza collettiva europea garantito dalle quattro grandi potenze, nel quadro di un programma di disarmo graduale; 3) limitazione e controllo dei contingenti armati delle due Germanie, ritiro delle truppe straniere della NATO e del blocco di Varsavia al di là dei confini della fascia neutrale; 4) rinuncia, se necessario, della Germania occidentale alla NATO; 5) riunificazione della Germania in base in base a libere elezioni generali; 6) intensificazione dei rapporti con l’Unione Sovietica, inizio di relazioni diplomatiche con tutti i paesi dell’Europa dell’est e accordi commerciali con la Cina; 7) in politica interna, l’instaurazione di un controllo statale sulle industrie chiave (carbone, acciaio, monopoli chimici) sotto forma eventuale di nazionalizzazione o proprietà mista; 8) una riforma fiscale a favore dei lavoratori a reddito fisso; 9) abolizione del servizio militare obbligatorio.4 Proprio in riferimento alla più che probabile rinuncia della Germania alla NATO, un portavoce della socialdemocrazia ha dichiarato, in un intervista riportata dall’Avanti! di domenica 14 luglio, che il partito, qualora uscisse vittorioso dalle elezioni del 15 settembre, chiederà una revisione dell’alleanza atlantica. Più esplicitamente “che la Germania sia sciolta dai suoi obblighi verso la NATO. Concludendo, il portavoce ha criticato “la politica di forza militare” del cancelliere Adenauer, osservando come un eventuale contrattacco delle forze della NATO (in caso di guerra tra Oriente ed Occidente) finirebbe per seminare lo sterminio fra il popolo tedesco5. Se finora i toni del dibattito sono stati assolutamente pacati, a quattro settimane dalle elezioni la macchina propagandistica dei partiti inizia a mobilitare le ultime e decisive forze. Da quanto confermato anche dall’Avanti! del 21 agosto, sebbene taluni avvenimenti interni ed internazionali favoriscano le loro posizioni, i socialdemocratici tedeschi sono apparsi finora sulla difensiva. A tal proposito, in una recente riunione socialdemocratica, è stata espressa l’opinione che il tono generale della propaganda di partito – caratterizzato dai discorsi di Ollenhauer – “sia ancora troppo mansueto”. I socialdemocratici hanno infatti dato, finora, l’esempio per un andamento correttissimo della campagna elettorale, evitando ogni insinuazione, affidandosi esclusivamente alla documentazione, all’evidenza delle cose. Ecco però che nelle ultime ore, come lo stesso Ollenhauer, che ha abbandonato la sua consueta mitezza, altri membri della presidenza socialdemocratica, hanno ribattuto ai colpi bassi avversari con solidi attacchi. Iniziando il suo giro elettorale per la Germania, a bordo di un aereo svizzero da turismo, il leader socialdemocratico ha sostenuto a Essen che “in pratica, la politica di Adenauer tende a mantenere la spartizione della Germania” e che la propaganda democristiana “ha usato la diffamazione come mezzo di lotta elettorale”. A Brema, invece, ha ribadito che, pur avendo le quattro potenze una precisa e storica responsabilità nei confronti della riunificazione della Germania, devono essere proprio i tedeschi ad impedire che “l’argomento riunificazione venga sempre rinviato”6. Tuttavia i socialdemocratici, mentre cercano di contraddistinguere la loro politica estera ponendola come una vera e propria alternativa alla via imboccata dal governo, cercano anche di non aumentare i contrasti, rallentando il loro programma sociale. La parola “socializzazione” dei mezzi di produzione, ad esempio, è scomparsa dal vocabolario elettorale dell’opposizione ed è stata sostituita, ma con cautela, dalla formula “controllo pubblico” di taluni rami delle industrie-chiave, banche escluse. Luigi Fossati commenta questo aspetto sull’Avanti del 30 agosto, asserendo che il partito socialdemocratico intende evidentemente “uscire dall’isolamento politico”. I socialdemocratici ritengono infatti, anche se non viene ufficialmente dichiarato, che un partito di importazione marxista non possa ottenere più del trenta per cento dei voti nell’attuale situazione politica; proprio per questo essi cercherebbero di darsi degli obiettivi più “aperti”, schierandosi a favore di una politica laica, in contrapposizione ad un’impostazione governativa di tipo clericale, per una politica di equidistanza fra i blocchi militari, in opposizione all’atteggiamento governativo di passiva adesione all’alleanza occidentale, e per un generico progresso sociale in raffronto al conservatorismo e alla restaurazione dei ceti industriali tedeschi. Di conseguenza – afferma con sicurezza Fossati – “i socialdemocratici vanno attenuando la fisionomia di partito di classe”. Sembra quindi, tirando le somme, che il contrasto fra gli schieramenti socialdemocratico e democristiano, che si è andato polemicamente accentuando in questa vigilia elettorale, è tale da non poter far intravedere soluzioni di compromesso (la cosiddetta “politica a due” di tipo austriaco, di cui si era parlato un anno fa). Attenendoci alle analisi degli specialisti, una funzione determinante avranno certo, nell’equilibrio delle forze politiche che stanno per affrontare il responso delle urne, quegli elettori che, quattro anni prima, votarono per i partito minori. Si tratta di circa sei milioni di elettori. Presumibilmente soltanto una parte di essi manterrà la fiducia ai piccoli partiti: il grosso, invece, preferirà orientarsi verso i due maggiori schieramenti politici tedeschi. La formazione del nuovo governo della Germania occidentale dipenderà quindi, in misura notevole, dall’orientamento di questa parte della pubblica opinione7. Il giorno stesso in cui la Germania ovest è chiamata alle urne, sull’Avanti! viene pubblicato un interessantissimo articolo targato Pietro Nenni il quale descrive il punto della situazione riguardante la decisiva tornata elettorale. Il socialista italiano esordisce tracciando un’analisi sulla legge elettorale vigente, attraverso la quale il popolo tedesco (trentacinque milioni di elettori) eleggerà la nuova Camera dei deputati (Bundestag). Il modello di tale legge è riconducibile a quello della proporzionale personalizzata e corretta. Personalizzata perché l’elettore dà due voti, uno nominale per il candidato della sua circoscrizione che ha le sue preferenze, uno di lista per il partito che egli vorrebbe al governo. (Senza che il voto personale debba necessariamente concordare con quello di lista; senza cioè che il candidato a cui va il voto personale debba appartenere al partito a cui l’elettore dà il voto di lista). Proporzionale corretta poiché i partiti che non raggiungono il 5% dei voti espressi o che non hanno tre eletti con i voti personali, perdono ogni diritto ad essere rappresentati. Fu il caso del partito comunista tedesco nelle elezioni del settembre 1953. Dall’interpretazione di Nenni, il partito di Adenauer punterebbe le proprie fortune elettorali sulla prosperità economica conseguita dalla nazione negli ultimi anni, mentre il Partito socialdemocratico esclusivamente sul valore dell’unificazione tedesca. La sua critica di fondo ad Adenauer investe – si legge nell’articolo – in accordo con i liberali, “il tema che ci è comune in Italia del monopolio democristiano del potere e quello dell’inefficienza della politica atlantica di Adenauer ai fini della riunificazione tedesca”. Proprio sul tema della riunificazione Nenni rivolge la sua attenzione considerandola una conquista della pace e della democrazia, ma mettendo in risalto come, al pari di Adenauer, l’idea di un’unificazione negoziata fra i due governi tedeschi dell’Ovest e dell’Est venga respinta da Ollenhauer. Egli attende – scrive Nenni – “l’unificazione da un’iniziativa diplomatica internazionale, ma delle quattro potenze e non solo di quelle occidentali”. Espresso il suo punto di vista, Nenni conclude soffermandosi sul fatto che, nonostante l’assidua campagna pro riunificazione perpetuata dall’opposizione, il problema dell’unità tedesca abbia scosso le coscienze e le intelligenze meno di quanto si potesse credere. Il materialismo borghese, (l’”arricchitevi” di Adenauer, che ricorda quello del francese Guizot) sembra interessare i tedeschi più dell’unificazione. La previsione è quella per cui la vittoria di Adenauer sia cosa certa. La causa di una più che probabile, ma eventuale sconfitta socialdemocratica, risiederebbe dunque dalla lotta piuttosto fiacca condotta sul piano sociale, ponendosi più sul terreno scandinavo dello “stato di benessere” che su quello, che era tradizionalmente il suo, della nazionalizzazione dei mezzi di produzione e di scambio. Dottrinariamente essa è oggi in piena rottura nonché col marxismo di Marx, bensì anche col marxismo dei revisionisti e dei deterministi tedeschi. Rimane il partito che convoglia nella lotta politica e nella lotta sindacale gli operai e i lavoratori tedeschi. “Ad esso va il nostro augurio di successo. Se la prospettiva non è di vittoria, nel senso di un rovesciamento degli attuali rapporti di forza politica e di classe, pure un suo aumentato peso politico sarà un elemento di sicurezza per i lavoratori, una garanzia per la pace”8. Al di là dell’editoriale sopraccitato, nello stesso giorno l’Avanti! propone un altro articolo che ha ancora una volta per oggetto le odierne elezioni. Solo quattro partiti, tra cui quello socialdemocratico, intervengono con proprie liste in tutti i dieci lander tedeschi; l’Unione Cristiano Democratica è presente in nove, essendo rappresentata in Baviera dall’Unione Cristiano Sociale. Il Partito comunista, che nel 1953, come già detto, aveva raccolto i 2,2% dei voti, senza peraltro ottenere alcun seggio alla Dieta, non partecipa questa volta alle elezioni. Esso è stato difatti dichiarato fuori legge dalla Corte Costituzionale di Karlsruhe il 17 agosto 1956, come l’altro partito, il “Partito Socialista del Reich”, di tendenze neonaziste. I quotidiani consultati sembrano aver confermato tutte le intuizioni di Pietro Nenni. Alle urne Adenauer ha ottenuto la maggioranza assoluta delle preferenze (50,2% contro il 45,2% del 1953) sebbene, nello stesso tempo, la socialdemocrazia abbia visto aumentare i propri voti (31,8% contro i 28,8% delle precedenti elezioni); i liberali, dal canto loro, hanno ottenuto il 7,7%, perdendo quasi 2 punti percentuali9. Come previsto da molti, quindi, hanno avuto una responsabilità decisiva tutti quegli elettori che, nelle elezioni passate, optarono per i partiti minori e che, nell’odierna consultazione, hanno diretto la propria scelta verso i due partiti più rilevanti. Quando dunque, da qui ad un mese, il nuovo Bundestag si riunirà per la prima volta a Berlino, i settori occupati dai deputati democristiani saranno sì più numerosi dell’ultima ma volta, ma a sinistra – commenta Luigi Fossati sull’Avanti! di martedì 17 settembre – “premono con forza i socialdemocratici, che si spingeranno più al centro per fare posto ai loro 16 nuovi deputati: in questo modo, i settori che prima erano occupati dai rappresentanti dal blocco dei profughi ora vedranno deputati democristiani”. Il fatto è certamente significativo dato che Adenauer ha sì per la seconda volta conquistato la maggioranza assoluta infrangendo i sogni socialdemocratici di vittoria, ma questi ultimi escono dalla prova rafforzati e in voti e in seggi. Per cui a buon diritto Ollenhauer, commentando i risultati elettorali, ha potuto affermare: “Siamo stati battuti ma non umiliati”10. I socialdemocratici hanno retto alla prova, e benché siano naturalmente disillusi per l’insuccesso registrato, non per questo appaiono abbattuti; da mercoledì riuniranno la loro direzione ed esamineranno accuratamente i dati elettorali delle singole regioni, per vedere dove c’è stato cedimento e dove un’avanzata, ed analizzare le cause della sconfitta. Tuttavia, trascorsi meno di due mesi dalla consultazione elettorale, alle elezioni valide per il rinnovo del consiglio comunale e del senato della città-stato di Amburgo, il partito socialdemocratico ottiene la maggioranza assoluta col 53,7% dei voti; la vittoria è parsa schiacciante considerando lo scarno 33,3% raccolto dal partito cristiano-democratico11. La vittoria del partito di Ollenhauer ad Amburgo, uno dei lander della Repubblica federale, contiene risvolti piuttosto determinanti, privando il governo di Bonn della maggioranza di due terzi di cui gode in seno al Bundesrat, necessaria al governo federale per poter far votare eventuali leggi ed emendamenti alle leggi esistenti che modificano la costituzione vigente. Nonostante il partito socialdemocratico abbia assorbito degnamente l’insuccesso del 15 settembre, Luigi Fossati, questa volta su Mondo Operaio, fa notare come, nella situazione vigente, le prove che attendono la Spd nei mesi a seguire siano le più impegnative di questo dopoguerra, “poiché assai fragile è divenuto l’ostacolo che può impedire di trasformare la maggioranza assoluta di un partito nella pratica dittatura del partito stesso. Ma per la socialdemocrazia tedesca si porrà certamente anche un problema di chiarificazione interna, reso necessario dal riesame della politica seguita negli ultimi anni”. In effetti, l’alternativa politica che i socialdemocratici tedeschi hanno offerto al paese in occasione di queste elezioni era precisa, per quanto concerne i temi di politica estera, ma quanto mai contraddittoria per quanto riguarda le direttive della politica interna. Più che determinare l’andamento della campagna elettorale – è questo il parere del giornalista – con una dettagliata impostazione programmatica, il partito socialdemocratico si è trovato a dover mettersi sulla difensiva e a fronteggiare con mezzi inadeguati l’aggressività democristiana e il peso determinante della personalità politica di Adenauer. Più che avviare un progetto di coalizione coi gruppi minori che, alleati nel 1953 alla democrazia cristiana, le avevano poi volto le spalle disgustati dall’autoritarismo di Adenauer, il partito socialdemocratico ha preferito un’impostazione “a due” della campagna elettorale, accentuando quell’orientamento bipartitico che già era rilevabile nell’elettorato tedesco, e che non poteva non recare un’affluenza massiccia di voti alla Democrazia Cristiana12.











1958: Il congresso della ripresa socialista

Il 1958 si apre all’insegna della richiesta socialdemocratica di negoziati per la disatomizzazione in Europa. Il dibattito sulla politica estera, iniziato giovedì 23 gennaio al Bundestag, è stato caratterizzato da due forti interventi critici, nei confronti di Adenauer, da parte del presidente del gruppo liberale, Erich Mende, e del leader socialdemocratico Ollenhauer. Quest’ultimo ha dichiarato che sarebbe possibile fare un primo passo verso il disarmo controllato, indicando polemicamente al governo di cominciare perlomeno a “negoziare la creazione di una zona cuscinetto di 1.200 chilometri tra i due blocchi”1. Proprio quello della lotta contro l’installazione di armi atomiche nella Bundeswehr è il tema predominante delle manifestazioni indette dalla federazione dei sindacati e dal partito socialdemocratico, alla vigilia della festa internazionale dei lavoratori. La decisione di dare alla giornata del primo maggio questo carattere di lotta sui problemi internazionali era stata presa ancora prima della conclusione del recente dibattito di politica estera al Bundestag, nel corso del quale la maggioranza democristiana votò un ordine del giorno in cui si dichiarava favorevole ad accettare tutte le armi “moderne” secondo le direttive della NATO. Dopo di allora, i socialdemocratici presero l’iniziativa di indire un referendum in tutto il territorio federale per sentire l’opinione del paese in merito alla fornitura di armi atomiche alla Bundeswehr; il governo tuttavia si oppose sostenendo che “un plebiscito è inconcepibile perché non è previsto dalla costituzione”. Visto che al Bundestag era impossibile far approvare il progetto, data la maggioranza assoluta democristiana, la socialdemocrazia decise di far prendere iniziative di referendum ai consigli regionali dove essa era in maggioranza; Adenauer però respinse questo tentativo, minacciando di far sciogliere i consigli che avessero indetto il giudizio popolare. Anche se privata della possibilità di sollecitare un voto del paese su questo gravissimo argomento, la socialdemocrazia non intese comunque alzare bandiera bianca: il segretario del partito, Ollenhauer, rivolse difatti, in data 30 aprile, un nuovo appello al ministro degli esteri Von Brentano ed al governo federale, affinché si astenessero dal riarmo nucleare della Germania occidentale. “Armi atomiche sul territorio sul territorio della Repubblica federale – ha detto Ollenhauer – significano anche armi atomiche per la Germania orientale che, qualora la situazione dovesse diventare seria, non avrebbe certo nessuno scrupolo a fare uso di tali armi per radere al suolo le nostre città e a sterminare ogni essere umano. Il riarmo atomico non ci dà la sicurezza, ma spiana la strada che porta al caos. La sicurezza può essere raggiunta solo attraverso trattative per un disarmo controllato e per una distensione europea”. Dal canto loro i cristiano-democratici sostenevano la necessità di possedere armi atomiche, in base a rivelazioni del ministro degli esteri norvegese, secondo cui “nei paesi orientali i sovietici avrebbero già installato basi missilistiche”. La smentita arrivò celere dal ministro degli esteri cecoslovacco David il quale, in un intervista all’agenzia Cetska, sostenne che le notizie divulgate circa i missili sovietici “non sono altro che propaganda destinata a giustificare il riarmo atomico della Germania occidentale”2. Il 1958 è, in ogni modo, un anno dai notevoli risvolti per la socialdemocrazia tedesca, risvolti che si vedono concretizzare al congresso del partito tenutosi a Stoccarda nell’ultima settimana di maggio. Annunciato come “il congresso della ripresa socialista”, esso ha avuto, ancora prima della sue inaugurazione, un inizio per le strade di Stoccarda con una manifestazione popolare contro il riarmo atomico e gli esperimenti nucleari: “Ricordatevi di Hiroshima” e “Basta con la morte atomica!” erano le frasi più spesso ricorrenti sugli striscioni recati dai dimostranti. Il successo della campagna antiriarmo sollecitata dalla Spd, manifestata anche dalla decisione di alcuni governi regionali tedeschi di indire referendum popolari sulla questione del riarmo atomico tedesco, non poteva che mettere in allarmo il governo federale di Bonn, il quale precipitosamente si è rivolto alla Corte Suprema repubblicana, denunciando la pretesa incostituzionalità delle proposte e dei provvedimenti adottati dall’opposizione. Tornando all’imminente congresso socialdemocratico, un articolo dell’Avanti! del 20 maggio riporta il sunto della relazione introduttiva ai lavori che va a riconfermare gli atteggiamenti già noti del partito socialdemocratico: 1) in favore di una zona smilitarizzata al centro d’Europa e a favore di trattative internazionali sul disarmo e per la distensione; 2) sospensione degli esperimenti atomici da parte dell’occidente e cessazione, in Germania e fuori, dei focolai di “guerra fredda”; 3) opposizione al riarmo della Germania occidentale, riarmo che – a detta del leader socialdemocratico – “mette in pericolo, con uno stanziamento di oltre dieci miliardi di marchi all’anno (millecinquecento miliardi di lire), il tenore di vita della popolazione e l’equilibrio economico della repubblica federale”3. La svolta effettiva raggiunta tuttavia dal congresso socialdemocratico è stato il riconoscimento che i contatti con la Germania orientale costituivano una necessità per sbloccare la situazione tedesca, contribuendo per di più ad una distensione interna in Germania, e ad una politica di trattative fra le grandi potenze. Questa constatazione – fa notare l’Avanti! del 21 maggio – costituisce un realistico passo in avanti rispetto all’ultimo congresso socialdemocratico, tenuto a Monaco due anni prima, durante il quale la richiesta dei delegati di accettare il colloquio con la Germania orientale, era stata soffocata da una manovra congressuale diretta dall’allora segretario della federazione berlinese. Insieme a questa “porta aperta”, per così dire, verso l’Est, un altro fatto nuovo del congresso socialdemocratico di Stoccarda è costituito dalla posizione di primo piano assunta da Herbert Wehner, membro della direzione e attualmente uno dei candidati, alla carica di vice presidente del partito. Wehner rappresenterebbe autorevolmente la tendenza che non vuole rinunciare, in sede ideologica e politica, alle prerogative classiste di un partito socialdemocratico dell’Europa occidentale, e ciò in contrasto con l’altra tendenza, che vorrebbe trasformare il partito socialdemocratico tedesco in un movimento popolare di tipo scandinavo, con concessioni di sostanza sul terreno economico. Le dichiarazioni fatte da Wehner durante il primo giorno di lavoro congressuale (accettare il confronto con il partito comunista della Germania orientale, inserirsi con trattative economiche, politiche e culturali laddove è possibile, allo scopo di stabilire contatti con i tedeschi dell’est) e la decisione del congresso di sostenere una politica che possa condurre gradualmente alla riunificazione, senza discriminazioni di nessun genere, danno un’impostazione nuova alle prossime battaglie politiche della socialdemocrazia tedesca. Sebbene tra gli ambienti socialdemocratici circolasse voce che Wehner si sarebbe aggiudicato la poltrona della dirigenza di partito, durante l’ultimo giorno del congresso di Stoccarda, Erich Ollenhauer è stato rieletto per la quarta volta presidente del partito socialdemocratico tedesco. I 380 delegati hanno concentrato i loro suffragi al presidente uscente (che ha riscosso 319 voti) mentre per la vicepresidenza hanno prevalso lo stesso Herbert Wehner e Von Knoeringen. Nonostante il successo, all’interno al partito, di Ollenhauer, la forte ascesa di Wehner stava ad indicare senza dubbio, secondo gli osservatori, che la corrente dell’apertura a sinistra si stesse facendo sempre più compatta. La rielezione del presidente uscente avrebbe pertanto un solo e chiaro significato: stando all’autorevole parere di Luigi Fossati (Avanti!, 23 maggio) l’assemblea avrebbe voluto dare all’opinione pubblica l’idea che il partito non mostrava alcuna screpolatura interna. Proprio in merito alle elezioni presidenziali e vicepresidenziali del partito, il servizio stampa democristiano non ha nascosto di certo il suo livore affermando infatti che ”la rielezione di Ollenhauer non inganna nessuno. Si tratta di una concessione tattica agli elettori, ogni tentativo dei capi del partito di impedire l’ascesa di Wehner alla vice presidenza è fallito. Da oggi il vero capo del partito socialdemocratico è Wehner. Ollenhauer, Erler e Karl Schmid subiscono da oggi il predominio dell’ala sinistra del partito. Essi hanno perso la fiducia dei membri del loro stesso partito”4. A quanto pare comunque il congresso della socialdemocrazia tedesca sembra destinato in generale ad avere un’importante funzione chiarificatrice, non soltanto all’interno del partito, ma anche nella stessa situazione politica generale della Germania occidentale. Per la prima volta nel dopoguerra infatti la socialdemocrazia ha indicato con precisione le condizioni di restaurazione politico-economica che caratterizzano lo stato tedesco di Bonn, cioè quello di “stato provvisorio” che in forza di circostanze provocate dalla guerra fredda, pretende di rappresentare l’intera Germania. L’illusione di un compromesso democristiano-socialdemocratico, di un governo a due sul modello austriaco, è caduta clamorosamente: il congresso di Stoccarda si è incaricato di precisare che, con l’attuale direzione del partito democristiano tedesco, non esistono soltanto differenziazioni di metodo, bensì divergenze di sostanza sugli obiettivi della lotta politica interna ed estera. La critica interna non ha risparmiato nessuno, né alla base né ai vertici: prova ne sono i frequenti rilievi sul conto del presidente del partito Erich Ollenhauer e di altri elementi della presidenza. Inoltre sul campo del rapporto con l’est i delegati tedeschi hanno mostrato, senza eccezione, al congresso, la comune tendenza a voler intraprendere con serietà e comprensione (pur accentuando la divergenza sul terreno ideologico) gli avvenimenti del mondo comunista, rifiutando gli slogan pur abituali in certi ambienti socialdemocratici della “necessità di liberazione dal giogo moscovita”. I socialdemocratici tedeschi hanno a riguardo ritenuto necessaria una chiarificazione e un contatto senza paure e pregiudizi, convinti d’altro canto che solo la cessazione del clima di guerra fredda e delle provocazioni organizzate potrà favorire, insieme alla causa della riunificazione tedesca, anche il processo di democratizzazione del blocco sovietico. Gli avversari dei contatti fra Est ed Ovest (fra socialdemocratici e membri del S.E.D., il partito della Germania orientale) sono usciti sconfitti dal congresso: la sconfitta è sintomo di tutto un mutato orientamento e di un maggiore realismo di giudizio5. In conclusione è giusto affermare che i socialdemocratici sembrano aver lanciato definitivamente un ponte verso la Germania orientale. Un’interessante e acuta analisi circa il congresso socialdemocratico di Stoccarda e le sue implicazioni viene pubblicata nel maggio 1958 su Mondo Operaio. L’articolo, scritto da Fossati, esordisce parlando di “svolta” e di “radicalizzazione” del partito, facendo inoltre notare come il congresso abbia mostrato di voler riesaminare una politica di opposizione condotta in modo eccessivamente rassegnato negli anni scorsi, condotta su posizioni difensive anziché offensive. Il riesame della politica socialdemocratica di questo dopoguerra è stato fatto – secondo Fossati – solo a metà, trascurando forse certe questioni d’impostazione organizzativa e ideologica, che sono alla base di un compromesso, rivelatosi più dannoso che utile; ma d’altra parte il programma “riformatore” del partito, sostenuto dalla tendenza liberaleggiante decisa a trasformare la socialdemocrazia tedesca in un partito di tipo nordico o in un movimento popolare “amarxista”, ha dovuto segnare il passo. Le due elezioni perdute (nel 1953 e nel 1957) che hanno garantito la maggioranza assoluta alla democrazia cristiana nel Paese, non sono state prive di insegnamenti. A Stoccarda, la proposta di trattare con la Germania Orientale e con il SED è passata senza la minima resistenza. La direzione del partito è stata modificata nella sua struttura: Erich Ollenhauer, il presidente che era succeduto al ben più combattivo Schumacher, è stato criticato, e il suo ruolo politico è apparso in declino. I due vice presidenti, Von Knoeringen e Wehner, promettono un’azione più decisa in sede politica e organizzativa6. Costatando l’esito della consultazione elettorale, svoltasi domenica 6 luglio in Renania-Westfalia, si ha l’impressione che il congresso di Stoccarda abbia avuto una funzione chiarificatrice presso l’elettorato tedesco. Pur avendo perso il controllo del land a favore del partito cristiano-democratico, la socialdemocrazia tedesca è riuscita a migliorare la propria posizione, ottenendo 700.000 voti in più rispetto al 1956. A fare le spese del predominio dualistico sono stati i liberali e tutti i partiti minori, a dimostrazione che, dopo l’ultimo congresso della Spd, gli elettori della Germania ovest hanno probabilmente optato per una scelta di campo ben precisa. Chiarendo la propria posizione a Stoccarda, il partito socialdemocratico ha attirato l’attenzione generale su di sé riscuotendo inaspettati consensi, “donando” però ad Adenauer, allo stesso tempo, la porzione scettica della popolazione tedesca7. 1959: La svolta di Bad Godesberg

Il 1959 è senza dubbio l’anno che segna una svolta decisiva per il partito socialdemocratico tedesco. Nel novembre dello stesso anno si svolge nella cittadina di Bad Godesberg il congresso che, più di ogni altro, viene considerato il momento di mutamento fondamentale, essendo il risultato dell’elemento programmatico fondativo di una nuova impostazione politica, se non proprio di una diversa identità partitica. Prima del suddetto congresso tuttavia, non sono mancati avvenimenti degni di interesse storico, con protagonista assoluta la socialdemocrazia tedesca. A conferma della recente distensione dei rapporti tra la Germania occidentale e quella orientale, “patrocinata” dalla Spd, viene pubblicata dal Daily Telegraph del 17 febbraio 1959, una lettera in cui il presidente del partito socialdemocratico, Erich Ollenhauer, afferma che una cooperazione fra le due Germanie può costituire un primo passo per la riunificazione del paese. Necessario a tal fine però – si legge nella lettera – è il raggiungimento di un accordo vincolante tra le quattro potenze ed i tedeschi circa la successione dei tempi e delle misure che devono condurre alla riunificazione della Germania1. Allo scopo, inoltre, di garantire lo statuto di “città libera” dell’ex capitale tedesca Berlino, il leader socialdemocratico si è detto sostenitore della presenza di piccoli contingenti delle truppe americane, inglesi e francesi, al fianco di quelle sovietiche e di altri paesi neutrali, nei settori occidentali berlinesi. Proprio questo è stato il tema fondamentale trattato durante la visita tedesca del primo ministro sovietico Krusciov il quale, in un discorso tenuto al velodromo d’inverno di Berlino est, ha ribadito la necessità di risolvere il problema tedesco mediante la conclusione di un trattato di pace: “se le potenze occidentali si rifiutano di firmare questo trattato – egli ha detto – noi firmeremo, nonostante il loro rifiuto, questo trattato con la sola Repubblica Democratica Tedesca”. Nella stessa mattinata, dopo una visita al municipio di Berlino est, il primo ministro sovietico aveva incontrato il leader socialdemocratico tedesco Erich Ollenhauer trattenendolo a colloquio per un’ora e tre quarti nella sede dall’ambasciata sovietica. La conversazione, alla quale hanno assistito il vice ministro degli esteri Zorin e l’ambasciatore Pervukin, si è svolta, come informa un comunicato ufficiale, in “un’atmosfera amichevole, ed ha avuto per oggetto la conclusione di un trattato di pace con la Germania, lo status di Berlino ovest, la liquidazione dell’occupazione nella Berlino occidentale, ed il consolidamento della pace e della sicurezza in Europa”. Al termine del colloquio, nel primo pomeriggio, il leader Spd ha tenuto a proposito una conferenza stampa esprimendo di aver avuto l’impressione che “da parte sovietica si compirà ogni sforzo per impedire una guerra e giungere ad una soluzione pacifica. Su moltissimi punti abbiamo riscontrato il nostro disaccordo, ma siamo stati entrambi del parere che l’incontro sia stato utile, che non esista alcun problema che non possa e non debba essere risolto mediante pacifici negoziati. Una soluzione per entrambe le parti è possibile: l’URSS auspica evidentemente una soluzione durevole di tutti i problemi più urgenti, ma esistono divergenze con gli occidentali per quanto riguarda le possibilità e le forme con cui risolvere i problemi stessi. I negoziati che si apriranno – egli ha concluso – saranno senza dubbio laboriosi: il loro sviluppo dipenderà in buona misura dall’atteggiamento degli occidentali”2. Sicuramente l’incontro con Krusciov è stato determinante anche dal punto di vista dei rapporti con la Repubblica Democratica Tedesca; il rafforzamento di questa volontà rappresenta sicuramente l’aspetto nuovo dell’atteggiamento socialdemocratico. L’Avanti! del 20 marzo ha a riguardo pubblicato un articolo in cui viene testimoniata la creazione di un progetto elaborato da una speciale commissione formata da esponenti socialdemocratici. Il piano è suddiviso in due parti, una militare ed una politica. Il programma militare, che si articola su sei punti, prevede la creazione di una zona cuscinetto assottigliata, avente lo scopo di ridurre la tensione e di permettere la soluzione pacifica dei problemi politici. C’è dunque la volontà di creare una “zona di distensione”, che dovrebbe includere le due Germanie, la Polonia, la Cecoslovacchia e l’Ungheria, dalla quale dovrebbero essere ritirate le truppe della NATO e del Patto di Varsavia. Tutte le nazioni interessate alla “zona di distensione”, inclusi gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, dovrebbero sottoscrivere un accordo di sicurezza collettiva a garanzia dello status della zona, nella quale sarebbe istituito un controllo. Il programma politico prevede invece la graduale riunificazione della Germania sia politicamente sia economicamente, attraverso una fusione progressiva delle due parti del paese, inizialmente mediante la confederazione. Da questo punto di vista, la riunificazione dovrebbe avvenire in tre fasi: 1) costituzione di una “conferenza pentedesca” per regolare gli affari interni tedeschi, composta da un ugual numero di rappresentanti delle due Germanie, attraverso l’eliminazione di ogni restrizione al commercio internazionale; 2) creazione di un consiglio parlamentare con rappresentanza paritetica per le due parti della Germania, incaricato di elaborare il maggior numero possibile di leggi nazionali, relativamente a questioni come il traffico stradale, ferroviario e sulle vie d’acque interne, le poste ed il telegrafo; 3) il consiglio parlamentare preparerebbe delle leggi pangermaniche e, in ultimo, dovrebbe approvare, con una maggioranza di voti dei due terzi, una legge per l’elezione di un’assemblea nazionale, con lo scopo di redigere la costituzione della Germania riunificata3. Senza dubbio, questo piano per la distensione e la riunificazione rappresenta il punto di arrivo più significativo e concreto del nuovo corso revisionistico da tempo inaugurato e propagandato dalla Spd, sanzionato dall’ultimo congresso di Stoccarda nel maggio dell’anno precedente. Su Mondo Operaio, Enzo Collotti fa notare come, attraverso il piano disposto, la Spd abbia evidentemente compiuto uno sforzo non indifferente di avvicinamento alla tesi della confederazione tra le due Germanie, prospettata dalla Repubblica Democratica Tedesca come primo passo verso la riunificazione delle due parti del paese diviso. In sostanza, le proposte della SPD si possono così sintetizzare: 1) creazione in Europa di una “zona di distensione” comprendente le due Germanie, Polonia, Cecoslovacchia e Ungheria; 2) mantenimento dello status quo per Berlino; 3) procedura per l’unificazione per la Germania in tre tempi, mediante la creazione di organismi pantedeschi comuni alle due Repubbliche tedesche. Il processo è dunque concepito attraverso una serie di tappe successive nel tempo, e di misure parallele nel campo politico e in quello economico. Anche qui la SPD ha realisticamente capovolto la successione cronologica voluta e finora imposta da Adenauer al blocco occidentale: le libere elezioni pantedesche sono concepite non già quale passo preliminare della riunificazione, ma come ultimo atto del lento e graduale processo di avvicinamento e di reciproco adeguamento dei due regimi esistenti nelle due Germanie. Con certezza si può quindi asserire che, a parte la sua validità sul piano tecnico, il progetto della SPD presenta un profondo significato politico, non tanto per le prospettive che immediatamente apre, quanto per l’impegno a convogliare su posizioni attivamente distensive larghe masse popolari della Germania. A questo punto Enzo Collotti avanza un monito. Il popolo tedesco si troverebbe, a suo dire, di fronte ad uno spaventoso pericolo: se le quattro potenze non si accordassero sul problema di Berlino, incomberebbe la minaccia di una guerra. Se essi si accordassero invece solo sul problema berlinese, vi sarebbe il pericolo che la divisione della Germania sia perpetuata. È a questo punto che l’iniziativa sovietica nel problema di Berlino e il progetto di un trattato di pace, che l’Unione Sovietica ha potuto redigere in seguito a lunghi anni di occasioni perdute e di errate speculazioni, diventano determinanti per la salvaguardia della pace mondiale. Tra le proposte avanzate dal partito socialdemocratico sono contenuti anche importanti elementi tratti dalle proposte per la distensione in Europa, avanzate tra l’altro anche dal Sottocomitato per il disarmo del Senato americano, dal diplomatico americano Kennan, dal leader dell’opposizione britannica Gaitskell, dall’ex presidente del Consiglio belga Van Zeeland e dal ministro degli Esteri polacco Rapacki. Tutte queste proposte e progetti offrono – a detta di Collotti – un lato comune: essi si sforzano, nella consapevolezza della realtà che determina la politica mondiale, di raggiungere prima di tutto una distensione militare in Europa, per rendere possibile anche la soluzione dei problemi politici ed economici europei. In definitiva, il partito socialdemocratico tedesco chiede l’immediata convocazione di una conferenza delle quattro grandi potenze che, in base ad un accordo di massima, incarichi una commissione permanente, con la partecipazione consultiva della Repubblica federale e della Repubblica democratica tedesca, di elaborare proposte per un sistema di sicurezza europeo ed il progetto di un trattato di pace con l’intera Germania. La situazione inasprita tra Occidente ed Oriente potrà permettere una distensione in Europa soltanto se ci si deciderà a risolvere gradualmente i problemi politici di quest’area. Queste le proposte del partito socialdemocratico: 1. Delimitazione di una zona di distensione che comprenda in primo luogo le due parti della Germania, la Polonia, la Cecoslovacchia e l’Ungheria. 2. Nell’ambito di questa zona di distensione e del suo eventuale ampliamento entreranno in vigore gli accordi relativi alle limitazioni di armamenti delle truppe nazionali e al ritiro di egual misura delle truppe straniere della NATO e del patto di Varsavia. Le forze armate nazionali non possiederanno bombe atomiche e all’idrogeno. Le armi di questo tipo in possesso delle truppe straniere ancora di stanza nella zona, verranno “congelate”, cioè né aumentate né potenziate. Dopo l’attuazione della “limitazione militare” che dovrà compiersi in fasi precise per quanto riguarda lo spazio e il tempo nella zona di distensione, non ci saranno né truppe straniere né armi atomiche e nucleari. 3. Tutti gli accordi relativi alle limitazioni degli armamenti e all’allontanamento delle forze armate contrapposte della NATO e del patto di Varsavia situate nell’Europa Centrale, dovranno essere garantiti sin dall’inizio mediante un illimitato controllo terrestre ed aereo. 4. L’inviolabilità di tutti gli Stati partecipanti alla zona di distensione dovrà essere garantita mediante un accordo di sicurezza collettiva tra tutti gli Stati interessati, ivi compresi gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. 5. Con l’entrata in vigore del sistema di sicurezza europea, gli Stati situati nella zona di distensione dovranno uscire dalla NATO e dal patto di Varsavia. Gli Stati situati nella zona di distensione recheranno quindi un adeguato contributo, nell’ambito di questo sistema di sicurezza europeo, alla sicurezza propria ed europea. 6. Mantenimento dell’attuale status giuridico e della garanzia militare per Berlino sino alla soluzione del problema tedesco. Impegno delle quattro potenze al rispetto delle disposizioni relative a Berlino ovest, proclamate valide in seguito all’abolizione del blocco nel 1949 e riconosciute valide anche al tempo dell’accordo del 20 settembre 1955 concluso tra l’URSS e la Repubblica democratica tedesca. Affinché questo piano possa essere attuato il partito esige: 1. Trattative tra i quattro Stati direttamente responsabili della questione tedesca per l’elaborazione di un trattato di pace pantedesco. 2. Trattative per la preparazione di un sistema di sicurezza europeo. 3. Nomina di delegati della Repubblica federale tedesca e della Repubblica democratica tedesca, quali partecipanti, con poteri consultivi, alle conferenze sul trattato di pace e su un sistema di sicurezza. 4. Consenso del governo federale alla costituzione di organi composti da delegati dei governi della Repubblica federale tedesca e della Repubblica democratica tedesca, ai quali, nell’ambito dei regolamenti concordati dalle grandi potenze, sia affidato l’incarico di proporre misure per la graduale unificazione delle due parti della Germania. 5. Mantenimento dell’attuale status giuridico e della sicurezza militare di Berlino fino alla soluzione della questione tedesca4. Come è sempre accaduto finora, l’elettorato tedesco ha anche questa volta accolto con grande entusiasmo lo spirito di iniziativa socialdemocratico. Nelle elezioni svoltesi domenica 19 aprile nella Bassa Sassonia e nella Renania-Palatinato, il partito di Ollenhauer ha compiuto un sensibile passo in avanti mentre i democristiani, pur migliorando rispetto alle precedenti consultazioni regionali, hanno perso voti nei confronti delle elezioni politiche del 1957. Nella Renania-Palatinato, il Partito cristiano-democratico ha mantenuto la maggioranza dei seggi conquistandone uno in più (sono passati da 51 a 52), con il 48,8% dei voti; i socialdemocratici hanno conquistato un seggio, passando da 36 a 37 e in percentuale dal 31,7 al 34,8; in regresso i liberali e il blocco dei profughi a vantaggio del partito del Reich. Nella Bassa Sassonia invece la Spd ha mantenuto la maggioranza relativa, passando dal 35,2 al 39,%, conquistando otto seggi in più; i democristiani sono passati dal 26,6 per cento al 30,8 per cento (cinque seggi in più). Commentando i risultati, il presidente del partito Erich Ollenhauer, ha dichiarato che il voto rappresenta “una brillante conferma” del piano elaborato dal partito per la riunificazione della Germania, dimostrando inoltre che una larga parte dell’opinione pubblica vede con favore i piani per un disimpegno militare nell’Europa centrale. Ollenhauer – si legge sull’Avanti del 21 aprile – si è dimostrato particolarmente lieto per le forti perdite subite dal partito di Adenauer, rispetto ai risultati delle ultime elezioni politiche5. I recenti sintomi di evoluzione manifestatisi in seno ad alcuni partiti socialdemocratici europei, dal Labour Party al partito belga e, almeno in politica estera, a quello tedesco, hanno posto in primo piano il problema del ruolo della sinistra europea e della sua capacità di rivedere metodi ed impostazioni tradizionali, in vista di un’accentuazione della lotta di classe sul piano interno e della lotta per la distensione e per la pace sul piano internazionale. E’ in questa situazione che cade particolarmente opportuna la pubblicazione della monografia di Enzo Collotti – presentata nel luglio 1959 da Federico Coen su Mondo Operaio – dedicata alla socialdemocrazia tedesca. Il testo si pone l’obiettivo di tracciare un quadro d’insieme di quello che, tra i partiti socialdemocratici dell’Europa continentale è, nello stesso tempo, il più importante numericamente, il più saldamente ancorato ad una base operaia, nonché il più apertamente staccato dall’alveo tradizionale del marxismo e della lotta di classe. Aspetto peculiare della Spd è, secondo l’opinione di Collotti, l’incapacità di sottrarsi all’egemonia culturale della classe antagonista e soprattutto alla suggestione di quello spirito nazionalista che già nel secolo scorso aveva influenzato largamente gli intellettuali e il ceto medio. Sarebbe proprio questa incapacità di contrapporre decisamente la propria concezione del mondo e della società alle ideologie borghesi a spiegare il graduale cedimento della SPD alle tendenze imperialistiche della borghesia tedesca. Il problema della conquista del ceto medio, come osserva l’autore, è stato, negli anni passati ed ancora oggi, il problema capitale della socialdemocrazia tedesca, e non soltanto tedesca. Quasi polemicamente, il metodo puramente elettoralistico con cui i dirigenti di destra della Spd hanno affrontato questo problema nel dopoguerra, è descritto come l’esempio più istruttivo del modo in cui esso non deve essere affrontato da un partito socialista. Un’impostazione tale infatti condurrebbe il partito operaio, come è avvenuto in Germania, ad attenuare progressivamente i propri originali postulati ideologici e programmatici, sostituendoli con quegli elementi tratti dal bagaglio ideologico borghese che “si giudicano volta a volta più prossimi alla mentalità della piccola borghesia”6. Nel dopoguerra, allo scopo dichiarato di evitare che i partiti di destra rivendicassero ancora una volta il monopolio del patriottismo, il Partito socialdemocratico tedesco aveva assunto un atteggiamento talvolta marcatamente nazionalistico. A riguardo, altrettanto significativo è l’atteggiamento assunto in questi anni sul problema del rapporto con i comunisti. La socialdemocrazia infatti non solo rifiuta ogni collaborazione con il partito comunista tedesco occidentale (K.P.D.), ma non esita a lanciare contro di esso l’accusa di essere un partito antinazionale, strumento dell’imperialismo sovietico, scendendo anche in questo campo sullo stesso terreno polemico dei partiti borghesi. La presentazione di Coen del testo di Enzo Collotti si conclude con la messa in evidenza delle prospettive incerte in seno al partito7. Appare sempre più chiaro, da quanto traspare dall’analisi del testo, che la socialdemocrazia tedesca si adopera ormai dichiaratamente per consolidare la stabilità del sistema vigente, fiduciosa di poter associare in qualche modo la classe operaia al godimento del “benessere”, derivante dall’economia di mercato, purificata dalle distorsioni delle pratiche monopolistiche. Questa almeno apparente conciliazione del movimento operaio tedesco con l’ordine borghese, di cui esso è divenuto quasi parte integrante, tenderebbe a ridurre sempre più la differenza tra i due maggiori partiti tedeschi. L’unico aspetto in grado di contraddire questa tendenza è rappresentato oramai – citando Enzo Collotti – “soltanto dall’abisso che si scava ogni giorno di più tra di essi sul problema dell’unificazione”. Nel frattempo, quasi a smentire l’imputazione di “cattiva condotta” da parte di Collotti, il Partito socialdemocratico riporta una larga vittoria nelle elezioni per il rinnovo della Dieta di Brema, il più piccolo land della Germania occidentale. Il partito di Ollenhauer, che già deteneva la maggioranza relativa con il 47% dei voti, ha conquistato, domenica 29 settembre, la maggioranza assoluta con il 54,%; il Cdu ha nettamente perduto consensi, passando dal 18 al 14 seggi. I socialdemocratici sono passati invece da 52 a 618. Le elezioni, avvenute domenica 11 ottobre, rivestivano indubbiamente un particolare significato, essendo le prime svoltesi dalla primavera scorsa allorché era scoppiata nella democrazia cristiana tedesca la grossa battaglia per la designazione del candidato alla presidenza della repubblica, battaglia che aveva visto di fronte Adenauer ed Erhard. Gli esperti ritengono pertanto che queste elezioni costituiscono un po’ il banco di prova della popolarità del vecchio cancelliere, il quale, pur avendo provvisoriamente chiuso in proprio favore la disputa con il ministro dell’economia, non si può certamente dire che abbia dalla sua la maggioranza del partito. A quasi un mese dalla consultazione di Brema, ha finalmente luogo nella cittadina di Bad Godesberg, presso Bonn, il determinante congresso straordinario del Partito socialdemocratico tedesco, al quale partecipano 340 delegati incaricati di esaminare ed approvare il nuovo programma del partito (definito “Grundsatzprogramm”, “Programma fondamentale”). La relazione introduttiva, in data 13 novembre, è stata presentata dal leader della Spd, Ollenhauer, il quale ha affrontato innanzitutto la politica interna, sostenendo che tre gravi pericoli incombono sulla democrazia tedesca: 1) il regime autoritario creato da Adenauer, incompatibile con la democrazia parlamentare in quanto fa perno su un uomo solo; 2) alcune leggi, come quella sullo “stato di necessità”, che metterebbero praticamente il bavaglio alla radio e alla stampa, con grave pericolo per le libertà fondamentali; 3) la tendenza verso la concentrazione dei capitali e dell’industria che minaccia l’indipendenza e la libertà d’azione dei lavoratori. Il leader socialdemocratico ha quindi enunciato due punti nuovi nel programma del partito, uno sul servizio militare e l’altro sui controlli economici. Sul primo punto, il partito sostiene di accettare il principio della “difesa nazionale”, sostenendo che il cittadino non può sottrarsi al suo dovere di difendere la democrazia, ma non accettando tuttavia il principio della coscrizione obbligatoria. Viene così riconosciuta, da parte della Spd, la legittimità degli obbiettori di coscienza, ponendo come suo primo compito la lotta contro il militarismo e la guerra. In merito ai problemi economici, il nuovo programma segna soprattutto l’abbandono del principio della collettivizzazione dei mezzi di produzione come “strumenti” di liberazione della classe operaia e condizione del benessere generale: “Solo dove altri metodi non possono garantire una sana organizzazione dei rapporti delle forze economiche – afferma il programma – è necessaria e opportuna la messa in comune dei mezzi di produzione”. Subito dopo la relazione del segretario è iniziata una discussione particolarmente animata in quanto parecchi delegati hanno vivacemente criticato il nuovo programma: in particolare il rappresentanti di Amburgo ha ammonito di “non gettare fuori bordo il marxismo” e dichiarato che, nella sua forma attuale, il nuovo programma è inaccettabile per gran parte dei delegati. E’ stato inoltre ricordato che i due terzi degli iscritti al partito sono operai e che tale peculiarità deve essere posta in rilievo nel programma9. I lavori del congresso sono continuati all’insegna di vivaci critiche (accompagnate da 250 mozioni) da parte dell’ala sinistra del partito; la stragrande maggioranza dei delegati tuttavia, fedele ad Ollenhauer, ha approvato la spinta a destra adottando in linea di massima il nuovo programma. Ben raramente un documento politico ha segnato una così radicale importanza nella storia di un partito ed un così vasto irradiamento negli organismi affini, sia europei, sia mondiali. Evidentemente un nuovo stile di pensiero era sentito come indispensabile per avviare le nuove generazioni ad un rapporto europeo con la storia da costruire, nell’interesse comune ed anche, specialmente, tedesco. Il “socialismo democratico aspira ad un nuovo e migliore ordine sociale e politico”. I “nuovi” socialisti perseguono una società nella quale ogni individuo possa liberamente espandere la propria personalità e partecipare in modo responsabile, come membro al servizio della Comunità, alla vita politica, economica e culturale dell'umanità. Affondando le proprie radici nell’etica cristiana, nell'umanesimo e nella filosofia classica, i socialisti di Bad Godesberg non hanno la pretesa di annunciare verità supreme e ciò non per mancanza dì comprensione, né per indifferenza riguardo alle diverse concezioni della vita o verità religiose, bensì per rispetto delle scelte dell'individuo in materia di fede, scelte sul cui contenuto non devono arrogarsi il diritto di decidere né un partito politico, né lo Stato. Il partito socialdemocratico tedesco appare quindi, d’ora in poi, come il partito della libertà dello spirito. Esso è composto di uomini provenienti da diversi indirizzi religiosi ed ideologici, uomini la cui intesa si fonda sulla comunanza dei valori etici fondamentali e sulla identità degli obiettivi politici. “Il Partito socialdemocratico tedesco – è scritto sul programma – propugna un ordinamento sociale ispirato a valori fondamentali. Il socialismo è una missione continua volta alla conquista della libertà e della giustizia, alla loro tutela ed al loro consolidamento”. L’adesione al socialismo democratico implica però alcune rivendicazioni fondamentali, che devono essere soddisfatte in una società civile. Tutti i popoli devono sottomettersi ad un ordinamento giuridico internazionale che disponga di un adeguato potere esecutivo. La guerra non deve essere uno strumento della politica. “Noi lottiamo per la democrazia, che deve divenire la forma d'organizzazione statuale e sociale generalmente ammessa, in quanto essa sola è l'espressione del rispetto per la dignità della persona. Noi ci opponiamo ad ogni dittatura, a qualsiasi genere di dominazione totalitaria ed autocratica, perché esse non rispettano la dignità dell'individuo, ne annullano la libertà ed infirmano il diritto. Il socialismo si attua solo attraverso la democrazia e la democrazia attraverso il socialismo”. Con questa ultima asserzione, presentandosi chiaramente come un movimento di lotta per la libertà democratica, la Spd si allontana definitivamente dei presupposti marxisti e uno slittamento determinato verso destra appare ormai definitivo. D'altronde il mutamento del clima culturale che si è verificato negli anni cinquanta, dopo i fatti d’Ungheria e le rivelazioni di Krusciov al ventesimo congresso del Pcus, costituisce il presupposto di una vera e propria “cultura nuova”; l’allontanamento dalle proprie matrici ideologiche sembra ormai essere il necessario passaggio verso la comprensione di una società in oggettivo mutamento10. Il fatto nuovo, confermato anche da un articolo di Mondo Operaio di novembre, non sta dunque tanto nella posizione concretamente assunta sui vari problemi del socialismo, quanto nella volontà di codificare solennemente, in una vera e propria carta del revisionismo di destra, il ripudio già in atto del marxismo e della lotta di classe e l’accettazione già in atto del settore specifico della politica economica ad ogni altro aspetto della vita sociale. L’articolo in questione conclude la propria analisi adottando un tono a dir poco pungente, definendo “donchisciottesca” l’ingenuità con cui i dirigenti del partito si convertono alle tesi del liberalismo borghese, proprio in un paese in cui la tradizione liberale è politicamente ed economicamente più debole e in cui, l’esperienza fallimentare della Repubblica di Weimar e quella sanguinosa del nazismo, gravano ancora come ombre minacciose sulla riconquistata democrazia. Viene altresì lanciato l’avvertimento che la classe operaia della Germania di Bonn finirà per pagar cara il cambio di rotta se non riuscirà a trovare in tempo, negli eventi internazionali che maturano e nella solidarietà con i lavoratori della RDT, la forza necessaria “per invertire le tendenze opportunistiche dei dirigenti del partito che oggi, bene o male, la rappresenta”11.




1960: Polemiche sul revisionismo

Gli strascichi della svolta di Bad Godesberg sembravano destinati a protrarsi nel tempo e nella memoria socialdemocratica. Proprio in polemica nei confronti del congresso e del revisionismo, Pietro Nenni pubblica su Mondo Operaio (gennaio 1960) un articolo avente il chiaro obiettivo di denunciare la decapitazione socialista attuata dalla Spd. Il programma di Heidelberg del 1925 rappresenta il punto di partenza e di riferimento per sottolineare quella che per Nenni è una vera e propria involuzione ideologica. Se dopo Heidelberg era chiaro che la socialdemocrazia aveva come assunto cardine quello di “combattere per l’abolizione della dominazione di classe e delle classi medesime, per diritti e doveri eguali per tutti, senza distinzione di sesso e di origine”, il congresso del 1959 esordiva con la seguente affermazione: “I socialisti lottano per una società nella quale ogni uomo possa liberamente sviluppare la sua personalità, e possa cooperare come membro attivo e responsabile della società alla vita politica, economica e culturale dell’umanità”1. Si ha l’impressione che Nenni, rapportando queste due differenti asserzioni, voglia far notare come la novità, proposta a Bad Godesberg, non sia tanto nei valori morali o in quelli spirituali (“il socialismo è il partito della libertà spirituale”), quanto nei suoi obiettivi di fondo. Abbandonando infatti la formula lapidaria del programma di Heidelberg: “Il fine della classe operaia non può essere raggiunto che con il passaggio della proprietà capitalistica privata dei mezzi di produzione alla proprietà socialista”, il Partito socialdemocratico tedesco pare abbia voluto, quasi per rassegnazione, rinunciare a quelle ataviche prerogative degne di un partito socialista. Nel mese di febbraio, sempre su Mondo Operaio, compare un interessante articolo, firmato da Vincenzo Balzamo, sulla considerazione rispetto al partito degli studenti socialdemocratici. Preoccupazione comune dei giovani iscritti sembrerebbe essere costituita dal grande pericolo della rinascita nazista, cosa che gli esponenti socialdemocratici tendevano a considerare infondata. Le decisioni a cui pervenne il Congresso studentesco di Francoforte del 23-24 maggio 1959 “contro il militarismo e contro la restaurazione” furono infatti sconfessate dal Partito socialdemocratico: l’aver domandato immediati negoziati con la Germania est e l’aver accusato in molti interventi Adenauer di essere un nazista, a detta del Partito socialdemocratico, rappresentò il colmo della confusione a cui gli studenti potessero arrivare. La realtà è che tutto quanto fu detto al congresso – secondo Balzamo – venne interpretato come un forte monito rivolto dai giovani soprattutto al loro partito, il quale si cullava nella situazione apparentemente buona creata dalla Democrazia Cristiana, e che gli studenti invece consideravano carica di incalcolabili pericoli: pericoli di svuotamento delle istituzioni democratiche, di espansionismo imperialista, di rinascita di un forte militarismo, di una sempre più pesante riabilitazione degli uomini del nazismo. Furono tre i documenti che scaturirono dalle commissioni del congresso studentesco: quello “sulle cause sociali della restaurazione”, quello “sul militarismo nella repubblica federale” e quello sulla “tendenza reazionaria nella giustizia e nell’amministrazione”. Al fine di arrecare nuova stima alla democrazia e rendere possibile la formazione di una coscienza democratica, i giovani socialdemocratici hanno espressamente chiesto: 1. eliminazione del concentramento di potenza economica privata mediante un controllo collettivo; 2. democratizzazione dei mezzi di formazione dell’opinione pubblica; 3. eliminazione dell’Amministrazione e della Giustizia delle forze nazionalistiche e antidemocratiche e controllo democratico degli organi citati; 4. lotta, con ogni mezzo democratico, all’introduzione di ogni legge eccezionale; 5. impedimento di ogni tentativo di reintroduzione della pena di morte; 6. assicurazione dei diritti basilari nel diritto penale politico; 7. amnistia per tutti coloro che sono condannati per avere attentato alla sicurezza dello Stato; 8. protezione dell’attività politica e libertà d’opinione e d’insegnamento dei professori, e inoltre l’eliminazione delle influenze nazionalsocialiste e antidemocratiche nelle scuola e nell’università2. A causa di queste denuncie, ritenute eccessive, molti giovani vennero espulsi dal Partito socialdemocratico. Soltanto il 9 gennaio del 1960 nel discorso di Norimberga, il leader della Spd Ollenhauer compì un atto di pentimento che tuttavia apparve tardivo: “E’ molto difficile, per un osservatore straniero comprendere la realtà tedesca. So bene che molti ci invidiano, perché ci ritengono il Paese più avanzato dell’Europa Occidentale, che meglio ha saputo superare i disagi della guerra. Eppure non è così, perché alla base del nostro sistema economico e sociale permangono le stesse contraddizioni che portarono al nazismo prima e alla catastrofe dopo. E so bene che è molto difficile per noi oppositori dell’attuale regime esser creduti o perlomeno compresi”. Benché la critica politica nei loro confronti fosse, come abbiamo visto, aspra ed ampia, il 15 maggio 1960 i socialdemocratici riportavano una vistosa affermazione nelle elezioni regionali svoltesi nel Baden-Wuerrtemberg, passando dal 28,9 al 35% dei voti. Contemporaneamente i democristiani subivano una netta flessione scendendo dal 42,6 al 39,4%. Nello stesso giorno, alle elezioni municipali della Saar, si registrava un netto progresso socialdemocratico conquistando 15 seggi sui 49 in palio, otto in più rispetto al 19563. Tuttavia, a conferma della “crisi ideologica” che ha investito il partito di Ollenhauer, l’Avanti! di venerdì primo luglio dà la notizia di un dibattito, sulla politica estera, al parlamento federale di Bonn, che avrebbe segnato un cedimento della socialdemocrazia tedesca verso le tesi della democrazia cristiana di Adenauer. La nuova presa di posizione della Spd è stata illustrata dal deputato Herbert Wehner, leader del gruppo socialdemocratico del Bundestag e considerato esponente della sinistra del partito. Wehner, dopo aver sottolineato i legami che uniscono la Germania occidentale alla NATO, ha dichiarato, con grande soddisfazione dei democristiani, che il vecchio piano tedesco dei socialdemocratici, che prevedeva il ritiro delle truppe della NATO dalla Germania di Bonn e di quelle del Patto di Varsavia dalla Germania orientale, è ormai morto. Dopo avere appoggiato il riarmo della Germania occidentale Wehner ha affermato con molta disinvoltura che il suo partito avrebbe mirato a togliere di mezzo la politica estera tra i problemi principali che sarebbero dovuti essere affrontati l’anno seguente nel corso della campagna elettorale. Per concludere, l’oratore ha aggiunto che i socialdemocratici sarebbero stati pronti ad unirsi ai democristiani ed agli altri partiti affinché il mondo potesse comprendere che “non importa chi sia al governo nella Germania occidentale, il paese resta fermo nel suo attaccamento alla libertà e all’alleanza con l’occidente”4. E’ il congresso del partito, che ha aperto i lavori il 21 novembre ad Hannover, a confermare ancora di più il cambio di rotta intrapreso dalla socialdemocrazia tedesca. I 340 delegati in rappresentanza di 625.000 iscritti sono chiamati, in primis, ad elaborare la piattaforma elettorale per le elezioni di settembre, nelle quali il partito combatterà sotto la guida di Willy Brandt. Già all’esordio del congresso la maggioranza, capeggiata da Ollenhauer, è stata vivacemente osteggiata dalla sinistra che, alla riunione dei metallurgici svoltosi a Berlino ovest, ha auspicato in politica estera la creazione di una zona smilitarizzata al centro dell’Europa. Questa tendenza è stata però duramente respinta da Brandt il quale, ad Hannover, si è mostrato assolutamente favorevole all’armamento atomico nell’ambito della NATO5. L’articolo dell’Avanti! fa notare a riguardo come la posizione del futuro candidato socialdemocratico alla cancelleria coincida in molti punti con quella di Adenauer. Tuttavia, nella giornata di martedì, la seconda dei lavori congressuali, il presidente Erich Ollenhauer ha svolto e presentato il rapporto sul tema “Lo stato sociale e democratico. I compiti della socialdemocrazia tedesca nei tempi moderni”. Durante la discussione, il presidente del partito ha vivacemente polemizzato con Adenauer nell’ambito della politica interna ed estera, rimproverando al cancelliere di avere persistentemente respinto gli inviti dell’opposizione ad essere ascoltata sui principali problemi mondiali, e di aver introdotto nella pratica di governo un sistema “autoritario” che eccede i limiti fissati dalla costituzione della repubblica federale. In conclusione Ollenhauer, fedele alla “carta di Bad Godesberg”, ha sostenuto che le crisi internazionali saranno sempre determinate dalle “mire espansionistiche del comunismo”, ignorando completamente le responsabilità dell’occidente6. E’ piuttosto evidente che questa visione attuale delle cose e degli ostacoli che si pongono sulla strada della pace e dell’unità tedesca non contribuisce certo a fare intendere all’elettorato quale alternativa di governo offre la socialdemocrazia rispetto ai cristiano-democratici. E’ bensì vero che Ollenhauer ha affermato di non approvare incondizionatamente la politica estera di Adenauer, ma in pratica le differenziazioni sono poco nette: in definitiva, la socialdemocrazia tedesca non ha ancora saputo indicare con concretezza un’alternativa capace di sprigionare nella Germania occidentale le forze che si battono per la distensione e per la pace e che oggi vengono soffocate dalla politica oltranzista di Adenauer. Tra i compiti del congresso di Hannover c’era, tra l’altro, quello dell’elezione del presidente del partito; la scelta è ricaduta nuovamente su Ollenhauer con 287 voti favorevoli e 30 astensioni. Alla carica di vicepresidenti sono stati confermati Waldemar Von Knoeringen e Herbert Wehner7. Il 25 novembre, con la scelta di Willy Brandt a candidato alla cancelleria, il congresso socialdemocratico tedesco ha chiuso i suoi lavori. Molti commentatori politici hanno individuato, nell’esaminare quanto detto ad Hannover, il profilarsi di una minaccia di scissione intorno al problema dell’armamento atomico, oltre alla rinuncia dei principi classisti. Certo è che il partito, come afferma Paolo Vittorelli sull’Avanti! del 27 novembre, “ha compiuto un ulteriore passo verso destra, dopo l’abbandono dei principi ideologici del socialismo al congresso di Bad Godesberg di un anno fa”. Il problema più serio consisterebbe nel conoscere le motivazioni che hanno spinto la Spd a prendere decisioni tanto discutibili. Per Vittorelli il risvolto elettoralistico rappresenterebbe solo in parte una giustificazione plausibile. Intanto, un grande partito operaio non compie tutte queste rinunce solo per vincere le elezioni. Per quanto i suoi dirigenti possano essere staccati dalla realtà operaia, essi debbono tener conto delle pressioni e delle esigenze del loro elettorato operaio, e “non possono preoccuparsi solo di dire e di fare ciò che farà piacere a quel margine di elettorato borghese che completerà i voti operai”. Ma la ragione più grave che sembra essere alla base della svolta profonda della socialdemocrazia tedesca sarebbe lo slittamento dell’opinione pubblica della Repubblica federale tedesca, compresa una larga parte delle masse lavoratrici, su posizioni nazionaliste e oltranziste: la Spd ha avuto forse il torto di rinunciare a guidare le masse verso sinistra, anche a costo di una prolungata impopolarità, e si è lasciato invece trascinare verso destra dallo spostamento dell’opinione pubblica. La conclusione alla quale si vuole giungere è dunque la seguente: se anche la Spd, che ai tempi di Schumacher era un partito conseguentemente neutralista e classista, è giunto con Willy Brandt su posizioni abbastanza vicine al nazionalismo di Adenauer, vuol dire che “non si può più chiudere gli occhi sulla gravità della situazione tedesca e sull’urgenza di affrontare in sede responsabile la questione della Germania”. Altrimenti non rimarrà più nessuno, in Germania, per difendere quelle soluzioni sulle quali le grandi potenze dell’Est e dell’Ovest si saranno finalmente messe d’accordo per la conclusione della pace con la Germania. Quando una situazione analoga si ebbe in Germania al tempo della Repubblica di Weimar si ebbe il nazismo. Siamo ancora in tempo per evitare che si ripeta una seconda volta”8. I dissensi degli addetti ai lavori e la svolta a destra del Partito socialdemocratico tedesco non sembrano però, ancora una volta, aver intaccato il consenso presso l’elettorato. Nelle elezioni per l’elezione della Dieta regionale della Saar del 4 dicembre 1960, la Spd (159.668 voti, 30%) è riuscita a raddoppiare i voti e i seggi che deteneva nella precedente assemblea. Il partito di Adenauer (194.982, 36,6%) ha sì mantenuto la maggioranza relativa, perdendo tuttavia quella assoluta9.



1961: Risultati positivi per il Partito socialdemocratico alle elezioni di settembre

L’anno delle elezioni non poteva non assistere all’intensificarsi delle polemiche e delle tensioni tra i due maggiori partiti della Repubblica federale tedesca; l’Avanti! del 17 maggio 1961 riporta la notizia del ritorno in patria di Adenauer, dopo un periodo di vacanza trascorso a Cadenabbia, immediatamente seguito da un discorso quanto mai violento tenuto a Norimberga. L’attacco principale del cancelliere è stato sferrato proprio contro il partito socialdemocratico, affrontando con decisione il problema del riarmo atomico della Germania. I voltafaccia nel campo della politica estera ed in quello della difesa nazionale costituiscono l’oggetto del rimprovero di Adenauer alla socialdemocrazia che, rispondendo alle accuse in un comunicato stampa, ha reagito definendo il leader del Cdu “il cancelliere in vacanza perpetua”, rilevando inoltre che, appena rimesso piede in territorio tedesco, egli aveva voluto “gettare ancora una volta i semi della divisione in seno al popolo tedesco”. Il giorno seguente, a Bonn, la Spd aveva rincarato la dose, definendo Adenauer “un uomo senza onore” e “scandalosi” i suoi attacchi contro l’opposizione. Il comunicato dell’ufficio stampa socialdemocratico si chiede anche se il cancelliere, con il suo discorso di Norimberga, abbia voluto inaugurare una nuova tattica elettorale. Richiamandosi ad un altro comizio del cancelliere nella stessa città quattro anni addietro, nel quale egli aveva profetizzato lo sfacelo del paese e del lander sotto un’amministrazione socialdemocratica, il comunicato sottolinea che “tali previsioni non si sono avverate e che i lander governati dalla Spd non hanno alcun motivo per lamentarsi dei loro amministratori”1. Come dimostra questa serie di attacchi verbali dall’una e dall’altra parte, le attesissime elezioni di settembre monopolizzano l’attenzione dell’ambiente politico tedesco; soltanto con la pubblicazione dei rispettivi programmi elettorali è però possibile comprendere effettivamente quanto sta avvenendo nella Germania di Bonn e quali mutamenti si sono verificati dall’ultima consultazione elettorale. Il programma della Cdu è un documento-fiume che pretende – secondo un articolo di Attilio Pandini pubblicato dall’Avanti!2 – di dare una risposta a tutte le questioni, grandi o piccole, che si porranno nei futuri quattro anni al popolo tedesco. A riguardo è molto interessante riportare il commento di un ironico e provocatorio, Willy Brandt, rispetto agli ambiziosi propositi del cancelliere e del suo partito: “Dalla NATO alla nonna, Adenauer ha pronte le ricette per accontentare qualsiasi palato. La cucina del “vecchio” è tradizionalista. I suoi ingredienti li conosciamo bene: molto lardo alla Erhard, tipo miracolo economico per famiglia, reso ancor più appetitoso dall’affumicatura dell’azionariato popolare; le solite salsicce di carne mista: asinello conservatore, agnello cristiano, orso berlinese e aquila imperiale; il noto birrone alla Strauss, la birra forte della Hofbrauhaus di Monaco, che va subito alla testa facendo confondere volentieri la Bundeswehr con la Wehrmacht hitleriana. Infine come “dessert” elettorale, il famoso pasticcio di cavallo e di allodola della “giusta distribuzione del reddito”. Tuttavia anche il programma dei socialdemocratici risulta vasto ed organico e Pandini, secondo cui è fondamentale confrontare con i precedenti l’ultimo piano programmatico, ha avviato una sorta di inchiesta, intervistando a proposito numerosi dirigenti qualificati della Spd. Dalle dichiarazioni di Jesco Von Puttkamer (direttore del giornale socialdemocratico Vorwaerts), di Hans Heberard Dingels (dell’ufficio stampa della Spd) e di Werner Thonnessen (capo dell’ufficio stampa del sindacato IG Metall) emerge che in effetti, in politica estera, non vi sono differenze sostanziali tra il Partito socialdemocratico e quello del cancelliere Adenauer. Effettivamente, da Bad Godesberg in poi, la Spd si richiama alla fedeltà atlantica, approva il servizio militare obbligatorio e soprattutto fa a meno di opporsi aprioristicamente all’armamento atomico della Bundeswehr. Quasi in risposta a questa sorta di defezione socialdemocratica, si è formata in Germania una nuova formazione politica, la Dfu (Deutsche Friedens Union, Unione tedesca della pace), che si presenta agli elettori proprio con il programma che la Spd aveva sei o sette anni prima: neutralismo, disarmo atomico, riunificazione tedesca in un centro Europa neutralizzato. Ne fanno parte socialdemocratici dissidenti, intellettuali pacifisti e alcuni leaders minori del disciolto partito comunista tedesco. Richiamandosi nei suoi manifesti elettorali ad Albert Schweitzer, il medico filantropo, si definisce “la nuova forza, l’opposizione che sa quello che vuole: Neutral atomwaffenfrei, una Germania neutrale e libera da armi atomiche”. L’opinione dei più comunque sostiene che difficilmente il nuovo partito riceverà i voti dei socialdemocratici in disaccordo con la politica della SPD: i delusi preferirebbero manifestare la propria protesta astenendosi, oppure votando scheda bianca. Attilio Pandini conclude il suo interessante articolo rivolgendo la propria attenzione al ruolo notevole che avranno i giovani in queste elezioni. Sarebbero più di un milione i cittadini che domenica 17 settembre voteranno per la prima volta, e un sondaggio alla vigilia del voto testimonia che i giovani di entrambi i sessi dai 21 ai 30 anni sono schierati a sinistra: il 36% voterebbe per la Spd e soltanto il 28% per la Cdu. Ma anche fra questi giovani ci sarebbe un’alta percentuale di incerti, il 25%. Proprio l’elettore esitante sarà probabilmente quello che dirà alla fine la parola decisiva, non condizionata tuttavia dai programmi scarsamente differenziati, bensì dagli stati d’animo personali. Sembra, all’indomani del 17 settembre, che per una volta i sondaggi elettorali abbiano colpito nel segno. La consultazione elettorale, privando i democristiani della maggioranza assoluta e “premiando” con circa due milioni di voti in più rispetto al 1957 il partito socialdemocratico, ha confermato le posizioni critiche assunte da una larga parte dell’elettorato tedesco verso la politica della Cdu. Il cancelliere Adenauer esce dunque sconfitto: e che si tratti di una sconfitta lo dicono, forse più delle cifre, gli attacchi dei suoi stessi “discepoli”, fino a ieri rispettosi e deferenti verso il “vecchio”. Strauss, forte della buona tenuta della Csu (i democristiani hanno perduto in Baviera soltanto lo 0,5 per cento dei voti rispetto al 1957, mentre la CDU nel resto della Germania federale ha perso il 5 per cento) si è presentato la notte del 7 marzo alla televisione di Monaco per appoggiare la candidatura di Erhard; anche Gerstenmaier, il presidente del Bundestag si è detto favorevole alla candidatura del “papà del miracolo economico”. I liberali, guadagnando un milione e 700 mila voti, hanno raggiunto la quota di quattro milioni e diecimila, passando da 41 a 66 deputati, mentre i partiti minori non hanno ottenuto alcun seggio. In ogni modo il nuovo Bundestag si riunirà per designare il nuovo cancelliere soltanto dopo un mese. Il leader socialdemocratico Brandt, dopo aver espresso soddisfazione per l’avanzata della SPD, ha fatto chiaramente intendere di essere favorevole ad un governo di “unione nazionale”, formato da tutti i tre partiti del Bundestag o almeno dalla CDU e dalla SPD. “Questo – ha detto Brandt – è il parere che il mio partito porterà al capo dello stato”. Sarà infatti il Presidente della Repubblica che, secondo la costituzione, dovrà indicare al Bundestag, dopo essersi consultato con i partiti, il nome del nuovo candidato alla cancelleria. Il borgomastro di Berlino ha aggiunto che la Germania si trova in un periodo critico e che dei tempi ancora più difficili si preannunciano, per cui è necessaria “l’unione di tutte le forze”. Naturalmente Adenauer, Strauss e anche Erhard hanno ancora una volta respinto questa ipotesi. Per un chiarimento della situazione, cioè per avere indicazioni concrete sulla formazione del nuovo governo, si dovranno attendere i prossimi giorni: il pronostico più ovvio è, naturalmente, quello di una coalizione fra democristiani e liberali, con alla testa Erhard o, come molti ritengono più probabile, Adenauer; ma in questo caso il vecchio uomo politico dovrebbe impegnarsi formalmente a “passare la mano” dopo pochi mesi3. A una settimana dal responso elettorale il leader dei cristiano-democratici si è incontrato a palazzo Schaumburg con una delegazione del partito socialdemocratico comprendente, fra l’altro, il presidente Ollenhauer, il borgomastro di Berlino ovest Brandt e il vice presidente Wehner, esponente dell’ala sinistra del partito, per conoscere e valutare i rispettivi orientamenti di massima verso le varie convergenze che si prospettano in rapporto alla mutata situazione parlamentare, in vista della formazione del nuovo governo tedesco. L’incontro – da quanto riportato dall’Avanti! di martedì 26 settembre – è stato dedicato in gran parte ai temi di politica estera, con speciale riferimento alla questione germanica, e allo scambio di vedute fra gli interlocutori delle due parti sulle questioni riguardano la formazione del nuovo governo federale. Sembrerebbe che all’indomani dell’incontro, resterebbe esclusa, com’era facilmente prevedibile, soltanto la combinazione liberal-socialdemocratica che porterebbe alla cancelleria Willy Brandt. Adenauer intanto, in un intervista concessa alla tv tedesca, ha confermato la propria intenzione di abbandonare la carica di cancelliere, che molto probabilmente sarà assunta da Erhard4.




1962: La Spd è pronta a governare

Nonostante la rielezione, per la quarta volta, di Adenauer alla carica di cancelliere, il Partito socialdemocratico tedesco, forte del largo consenso ottenuto alle ultime elezioni, ha annunciato chiaramente, per bocca del suo presidente Erich Ollenhauer, di sentirsi ormai pronto a prendere le redini della politica germanica. In seguito alle recenti catastrofi che hanno coinvolto la Germania, quella della miniera di Luisenthal e dell’alluvione nel nord, il bollettino socialdemocratico rivela, in data 3 marzo, che il cancelliere “si è guardato bene dall’accorrere sul posto”, lasciando inoltre ad Erhard il compito di parlare davanti al Bundestag su questi luttuosi avvenimenti. Il servizio stampa socialdemocratico prosegue rilevando che “tra pochi giorni la repubblica federale tedesca dovrà accontentarsi di avere un cancelliere in vacanza a Cadenabbia. Dovunque indirizziamo gli sguardi, troviamo esempi dell’inazione governativa dovuta all’evidente incapacità del capo del governo. Dobbiamo trovare finalmente il coraggio di dire la verità al popolo tedesco: e cioè che le sorti del paese non sono più nelle mani di un eroe pieno di forza e di iniziative, ma semplicemente di un uomo vecchio e stanco”. “Noi – prosegue il bollettino – non giudichiamo l’uomo Adenauer, il quale per la sua tarda età è costretto a misurare il tempo dedicato agli affari di stato. Ma va tuttavia tenuto presente che egli ha deciso spontaneamente di assumersi il grave onere del quarto cancellierato, non accorgendosi che la sua era si è chiusa il 13 agosto, con il fatto compiuto di Berlino. Oggi c’è solo da registrare il fatto che insiste a voler mantenere ancora in vita un uomo ed un sistema ricorrendo a sistemi artificiosi”1. Nel congresso annuale della Spd, apertosi il 26 maggio a Colonia, al Palazzo delle Assemblee, i 300 delegati hanno dibattuto proprio su un’eventuale conquista del cancellierato da parte del borgomastro di Berlino, Willy Brandt. Dai lavori congressuali però è anche trapelato che, per giungere all’ambizioso obiettivo, si sarebbe disposti “a sacrificare qualsiasi cosa”. Dopo la rinuncia ideologica di Bad Godesberg, che aveva visto il marxismo messo in un canto, ora a Colonia si è fatto il bilancio dei progressi compiuti in tema di voti (11 milioni e mezzo, pari ai due quinti dei seggi in Parlamento) e si deciderà d’identificare gli sforzi per giungere alla coalizione nazionale coi democristiani e coi liberali. Ollenhauer non ha nascosto di sperare in uno spostamento a favore del suo partito delle masse cattoliche, che costituiscono la grande maggioranza del corpo elettorale in molte regioni tedesche: sul terreno delle enunciazioni di carattere sociale, che possono essere condivise da tutti, il presidente della Spd si è augurato quindi di giungere ad una collaborazione generale con le forze cattoliche e protestanti del paese. Come afferma Gianluigi Melega in un articolo dell’Avanti! di domenica 27 maggio, gli stessi sindacalisti, i meno convinti assertori della linea Brandt, accetterebbero la piega politica scelta dal partito senza farne una questione ideologica2. Appare ormai evidente che la convergenza nella coalizione nazionale con i DC e i liberali va ben oltre i limiti di una mossa tattica. A tutt’oggi fra i tre partiti le differenze sono minime ed è quanto mai chiaro che, con questa involuzione della socialdemocrazia nella Germania federale, è venuta meno un’alternativa socialista. Il 30 maggio, con un grande applauso di tutti i presenti alla triade che guiderà il partito per il 1963, il presidente Ollenhauer e i vice presidenti Wehner e Brandt, si sono chiusi al Palazzo delle Assemblee della città, i lavori del congresso socialdemocratico di Colonia. Il sindaco di Berlino rimane il candidato del partito alla carica di cancelleria, e la sua posizione di destra, che egli ha ulteriormente accentuato nel suo discorso al congresso, potrà probabilmente e paradossalmente permettergli di raggiungere il trono di Adenauer anche prima di quanto non sia logico aspettarsi. Mentre dunque a sinistra ci sono i socialdemocratici, che tolgono loro voti nelle zone industriali e nelle grandi città, e a destra subiscono il rafforzamento dei liberali, i democristiani sembrano essere alle strette. Oltre a dover combattere su due fronti, i democristiani sono incapaci di liberarsi del loro vecchio leader, non perché non lo desiderino, ma perché le lotte per la successione, se si scatenassero oggi, sarebbero di tale violenza da dilaniare e rovinare il partito. Qualcosa di nuovo, tuttavia, salterà presumibilmente fuori a Dortmund, quando si aprirà l’assemblea annuale della Cdu, in un congresso che dovrebbe vedere Adenauer uscire ancora a capo del partito, ma con a fianco un comitato direttivo allargato, comprendente il nuovo segretario per l’organizzazione, Dufhues, e i “notabili” Gerstenmaier, Krone, Blank, Erhard e Von Hassel3. Intanto, a giustificare il momento di impasse del Partito cristiano-democratico, alle elezioni di domenica 8 luglio per il rinnovo della Dieta della Renania-Westfalia, c’è stata una notevole affermazione dei socialdemocratici. Conquistando 9 seggi, per un totale di 90, la Spd ha comportato la perdita della maggioranza assoluta democristiana. Gli osservatori politici hanno rilevato che i risultati di questa consultazione elettorale sono un’espressione diretta del malcontento nei confronti dell’appena nata coalizione governativa di Bonn (Cdu-liberali), il cui lavoro ha lasciato e lascia molto a desiderare4. A meno di quattro mesi di distanza per di più, nelle elezioni regionali dell’Assia, il Partito socialdemocratico si trova a conquistare la maggioranza assoluta con 51 seggi, ovvero tre in più rispetto alla precedente assemblea5. Sono questi gli ultimi atti che hanno portato a quella che molti commentatori politici hanno definito “crisi di Bonn”, quella fase che ha visto il progressivo cedimento della stabilità della coalizione governativa tra cristiano-democratici e liberali. La situazione risultò ad un certo punto tanto critica che, da quanto riportato dall’Avanti! del 5 dicembre, iniziò una serie di colloqui fra i rappresentanti democristiani e quelli socialdemocratici per un’eventuale formazione di un governo di coalizione. Secondo alcune indiscrezioni giornalistiche, uno dei maggiori punti di discussione nella riunione del 4 dicembre tra Adenauer e Ollenhauer con i loro collaboratori, sarebbe stata la riforma della legge elettorale che avrebbe trasformato il vigente sistema misto a sistema maggioritario. Ovviamente l’approvazione in parlamento di tale modifica avrebbe comportato il tracollo del partito liberale, di cui i due grossi partiti si sarebbero ripartiti in pratica le spoglie. Benché fosse presto per poter azzardare l’effettiva possibilità di un governo Adenauer-Ollenhauer, era certo che ormai anche l’ala destra democristiana, nonché alcuni gruppi industriali, si sarebbero mostrati favorevoli ad un accordo fra i due tradizionali partiti nemici tedeschi. Dal canto loro i liberali, preoccupati di rimanere tagliati fuori dal gioco, avevano già, nella serata stessa dell’incontro tra il cancelliere ed Ollenhauer, attuato una contromanovra. Il vice leader del gruppo liberale Bucher, infatti, dichiarava con tempismo perfetto che “la maggior parte dei componenti del suo gruppo è favorevole a riannodare i contatti tra liberali e socialdemocratici, con l’eventuale prospettiva di dar vita ad una nuova coalizione senza Cdu”6. Evidentemente però, il desiderio del leader della Spd di approdare ad un accordo col maggior partito della Repubblica federale tedesca rappresentava più di una semplice ipotesi. Nonostante l’insistenza democristiana nel pretendere che Adenauer rimanesse alla cancelleria, un portavoce del partito socialdemocratico dichiarava in data 5 dicembre che i socialdemocratici avevano seria intenzione di pervenire ad una grande coalizione: nella serata di mercoledì 5 dicembre il gruppo parlamentare socialdemocratico approvava con 175 voti favorevoli, 12 contrari e 4 astenuti la proposta del direttivo di partito di continuare i negoziati con la Cdu per la formazione del nuovo governo. La commissione incaricata di condurre le trattative era formata, tra gli altri, da Ollenhauer, Wehner, Willy Brandt, Erler e Karl Mommer. Nonostante l’ottimismo che aleggiava tra gli ambienti interessati, alcune testate giornalistiche tedesche si fecero portavoce dei dissensi e delle resistenze che tuttavia esistevano in seno ai partiti coinvolti nelle trattative. Il General Anzeiger scrive che “le riserve si sono già fatte in vasti circoli del partito di maggioranza relativa. Più di un democristiano prevede che la Cdu riporterà danni da tali sviluppi. Anche le preoccupazioni dei socialdemocratici non sono minori. Presentare Adenauer come nuovo cancelliere – scrive sempre il General Anzeiger – e per giunta capo di nove ministri socialdemocratici, è penoso anche per un partito che dal programma di Bad Godesberg al congresso di Colonia, ha percorso una sorprendente via per liberarsi dal bagaglio classista”7. E’ un articolo, sempre dell’Avanti!, di sabato 8 dicembre, a riportare che nuovi colpi di scena interessavano la crisi di Bonn: “i negoziati fra democristiani e socialdemocratici si sono rotti” e “Adenauer si ritirerà a vita privata nell’autunno del 1963”. Sembra che già la sera del 6 dicembre si era avuta l’impressione che i colloqui di Ollenhauer con il capo del governo avessero avuto esito negativo, sia per la breve durata dell’incontro, sia per il fatto che non era stato concordato un nuovo appuntamento. La commissione della Cdu-Csu aveva discusso lungamente la situazione, e l’ottantaseienne statista si era irrigidito contro le richieste dei socialdemocratici di fissare un termine perentorio per il suo ritiro dalla scena politica e contro il suggerimento avanzato da Ollenhauer, secondo cui, per placare le diffidenze riscontrate nella base del partito, i cristiano-democratici avrebbero dovuto fare concessioni di una certa importanza. In questo modo, presentando probabilmente richieste più blande, il partito liberale si candidava definitivamente come compartecipante di una rinnovata coalizione governativa senza più l’ormai scomoda presenza di Adenauer. Il suo successore dovrebbe essere il vice cancelliere nonché ministro dell’economia Erhard; non a caso infatti Von Brentano, dinanzi al proprio gruppo parlamentare, ha ribadito, fra i generali applausi, che Erhard sarebbe intervenuto personalmente nelle consultazioni per la creazione del nuovo governo8. A questo punto è naturale fare la constatazione che proprio in seguito alla scelta di un uomo di destra come Erhard alla futura carica di cancelliere, ci si sia opposti definitivamente alle trattative fra democristiani e socialdemocratici, i quali ultimi avevano posto come veto proprio l’ingresso dell’economista ufficiale di Bonn in una coalizione che avrebbe seguito un indirizzo politico contrario alle tesi dello stesso Erhard.





1963: La fine dell’era Ollenhauer

Il 1963 inizia con la convinzione dei socialdemocratici che sia ancora possibile tentare di entrare a far parte del governo, questa volta però cercando di stringere accordi con i liberali di Mende. In effetti la Spd continua a riscuotere grandi successi elettorali, se pur a livello regionale. Domenica 30 marzo infatti, alle elezioni per la Dieta svoltesi nella Renania-Palatinato, il partito di Adenauer ha subito una nuova e grave sconfitta. Il responso delle urne ha costituito un’amara delusione per i cristianodemocratici che hanno perduto alla Dieta la maggioranza assoluta che detenevano fin dalle prime elezioni regionali. Il partito vincitore è dunque risultato quello socialdemocratico di Ollenhauer, che è passato dal 34,9 al 41,1%, mentre i liberali, membri della coalizione governativa, sia nel governo federale di Bonn che nel governo regionale della Renania-Palatinato, sono passati dal 9,7 per cento al 10,1 per cento. Il quadro completo dei risultati elettorali è il seguente: CDU: 778.096, pari al 44,4% (829.236 voti e 48,4% nel 1959), sette seggi in meno; SPD: 713.194, pari al 40,7% (596.084 voti e 31,9% nel 1959), sei seggi in più; FDP: 177.370, pari al 10,1% (165.937 voti e 9,7% nel 1959), un seggio in più. E’ stato proprio in seguito a questi risultati elettorali che il partito socialdemocratico ha ufficialmente offerto ai liberali la possibilità di entrare a far parte del nuovo gabinetto di coalizione. Sembra che i socialdemocratici sarebbero disposti a concedere quattro portafogli: quelli dell’istruzione, della giustizia, dell’economia e dell’agricoltura. Se ciò si realizzasse, liberali e socialdemocratici disporrebbero nella nuova Dieta regionale di 54 seggi (43 la Spd e 11 il Fdp) contro i 16 del partito di Adenauer1. Il primo semestre del 1963 non offre grandi spunti degni di analisi finché, ad ottobre, e precisamente il 16, viene diramata l’aspettata notizia del definitivo ritiro di Adenauer, e l’elezione a cancelliere di Ludwig Erhard, con 279 voti favorevoli, 180 contrari, 24 astenuti e una scheda nulla. Da notare che i 24 deputati astenuti dalla votazione al Bundestag erano democristiani, a testimonianza che già erano presenti al parlamento alcuni nostalgici di Adenauer2. A chiudere un’annata sicuramente non particolarmente ricca di rilevanti avvenimenti, relativi al Partito socialdemocratico tedesco, è la notizia della scomparsa, all’età di 62 anni, di Erich Ollenhauer. Il leader socialdemocratico, ricoverato tre mesi prima per gravissimi disturbi circolatori, è deceduto per embolia polmonare. E’ molto significativo l’articolo dell’Avanti! del 15 dicembre che commemora, rievocando i momenti salienti della sua intensa vita, il protagonista assoluto del socialismo tedesco negli ultimi dieci anni, l’uomo che, nonostante tutto, è riuscito nell’intento di rappresentare il contrappeso allo strapotere di Konrad Adenauer. Il ricordo di Ollenhauer negli ultimi due anni è certamente legato appunto alla sua battaglia per affrettare il tramonto e la fine dell’era adenauriana; durante i lavori del Congresso del Partito svoltisi a Colonia nel maggio 1962 egli era stato difatti il primo a chiedere con un vigorosi attacchi al governo federale, le dimissioni del cancelliere. Il leader Spd era divenuto presidente del partito nel 1952, dopo la morte di Kurt Schumacher. Entrato ancora in giovane età nella vita politica e nella lotta sindacale, dopo essere stato presidente della gioventù dell’Internazionale socialista dal 1921 al 1922 ed essere divenuto membro del comitato direttivo del Partito socialdemocratico tedesco, era stato costretto, nel 1933, ad emigrare a Praga conseguentemente all’avvento al potere del cancelliere Hitler; nel 1938 dalla capitale cecoslovacca si era trasferito a Parigi da cui era partito nel 1940 per recarsi a Londra dove rimase fino al 1946, anno del suo ritorno in Germania. Undici mesi più tardi veniva eletto vice presidente della Spd, svolgendo in pratica fin da quel momento le funzioni di presidente sostituendo Schumacher durante la sua malattia. Dovevano ancora passare sei anni prima di assumere la direzione del partito, ma in effetti, in questo periodo di tempo, egli svolse in più occasioni missioni particolarmente importanti e delicate che le condizioni di salute impedirono a Schumacher di effettuare. Intanto, nel settembre 1948 veniva rieletto vice presidente della SPD e nel luglio 1951 presidente della conferenza dell’Internazionale socialista a Francoforte sul Meno. La sua più viva battaglia politica fu sicuramente quella che avrebbe dovuto portare all’unificazione della patria; fu difatti l’autore di un piano che reca il suo nome e che prevedeva un sistema di sicurezza europea comprendente una Germania riunificata e dotata di diritti e doveri pari a quelli degli altri paesi compresi nel sistema stesso. Pur mostrandosi continuamente contrario a negoziati diretti tra Bonn ed il governo di Berlino est per la riunificazione della Germania, non aveva mai cessato di insistere sulla necessità di negoziare con l’URSS. A questo proposito, aveva anche criticato la dotazione delle forze armate tedesche con armi nucleari, esprimendosi a favore del programma del ministro degli Esteri polacco (“piano Rapacki”) per l’istituzione di zone denuclearizzate in Europa. Dichiarando sempre di non mirare a cariche di governo, in caso di successo elettorale dei socialisti, riteneva di essere più utile come presidente del partito. I numerosi viaggi all’estero gli avevano consentito inoltre di guadagnare la generale fiducia degli altri partiti socialisti nei confronti del suo, contribuendo alla sua elezione, dapprima alla vice presidenza dell’Internazionale socialista e poi, poco prima della sua morte, alla presidenza della stessa Internazionale3.









Conclusione

Nonostante i numerosi successi elettorali a livello regionale, il Partito socialdemocratico tedesco, tra il 1953 e il 1963, ha sempre rappresentato l’opposizione all’interno del parlamento della Repubblica Federale Tedesca. Proprio i numerosi consensi ottenuti all’interno dei vari land (dalla Renania-Westfalia alla Bassa Sassonia, passando per l’Assia, la Saar e soprattutto la Baviera, tradizionale roccaforte democristiana) hanno testimoniato la bontà e l’efficacia della politica socialdemocratica, nonostante le numerose ed accesissime accuse provenienti tanto dalla stampa quanto dalla stessa base partitica. Se è vero che la “battaglia” al blocco occidentale, eccezione fatta per la decisa opposizione alla Comunità Europea di Difesa, è stata piuttosto ambigua e, col passare del tempo, sempre più debole, è altrettanto vero che la socialdemocrazia ha rappresentato forse il partito che più di ogni altro, grazie anche alla tenacia del presidente Ollenhauer, ha saputo mantenere vivo il problema della riunificazione della patria. Tornando al discorso dei rapporti del partito nei confronti del blocco atlantico, è importante sottolineare il cambio di tendenza che ha visto protagoniste un po’ tutte le compagini socialiste europee. Gli anni ’50, in seguito ad avvenimenti tanto significativi come i fatti di Ungheria del 1956 e la diffusione del rapporto segreto di Krusciov sullo stalinismo al ventesimo congresso del Pcus nel febbraio dello stesso anno, videro un sostanziale cambio di rotta nei confronti dei dettami marxisti. Usando le parole di Pietro Scoppola: “i drammatici avvenimenti del 1956 ebbero un effetto dirompente sulla cultura della sinistra”1. A riguardo è estremamente rilevante constatare l’atteggiamento del Partito Socialista Italiano, e porre l’attenzione sulle sue similitudini con i cugini tedeschi è quasi d’obbligo. Il Patito socialista risorse, in seguito al secondo conflitto mondiale, come un partito di professione marxista e con una struttura provvisoria, in attesa cioè della fusione con il Partito comunista in un partito unico della classe lavorativa. In occasione del sessantesimo anniversario della propria fondazione, nel 1952, il Psi lanciò un appello ai socialisti del Comisco per un’azione unitaria in difesa della pace del mondo. Gli obiettivi da perseguire risultavano speculari rispetto a quelli della Spd: la fine della corsa al riarmo, la coesistenza pacifica tra est ed ovest e l’opposizione alla ratifica degli accordi di Parigi. Fino al 1953, i rapporti tra il Partito socialista e quello comunista si mostrarono piuttosto alternanti, infatti se è vero che Nenni presentava il proprio partito alle masse lavoratrici come un partito ideologico e pronto alla fusione, è altresì verificabile che spesso la maggioranza partitica dichiarò fuori luogo il problema della fusione, avvertendo che le condizioni della unificazione non erano ancora mature. E’ chiaro che da tali affermazioni sembra trasparire un giudizio limitativo della capacità democratica del Partito comunista, in contrappeso al chiaro ed inequivocabile impegno che il Partito di Nenni era in procinto di assumere. Il 24 ottobre 1956 la crisi ungherese precipitava e Nenni considerò l’intervento sovietico “un atto di incoscienza e di provocazione” affermando di fatto che tra Psi e Pci ci fosse ormai un abisso difficilmente sanabile. Fu proprio all’indomani dei fatti d’Ungheria che trapelò l’evidenza del conflitto tra quelle che rappresentavano ormai due anime antitetiche del socialismo italiano: mentre i “nenniani” condannarono duramente l’invasione sovietica, la “sinistra” di stampo morandiano ne prese le difese. In effetti il neutralismo iniziò a rivelarsi come prospettiva politica nuova, in presenza dei nuovi sviluppi della realtà mondiale, nei confronti della quale il Partito socialista apparve da subito più rapido ed elastico del Pci. La fase di tormentata evoluzione del Partito Socialista Italiano nella seconda metà degli anni cinquanta (che tra l’altro approdò alla scissione del Psiup nel 1964), corrispondeva ad un travaglio che coinvolgeva, per l’appunto, tutta la sinistra democratica e socialista europea. Il congresso di Venezia del 1957, come quello di Bad Godesberg per i socialisti tedeschi, rappresentò l’atto ufficiale di una svolta ideologica. La relazione di Nenni partiva da una inequivocabile dichiarazione di fede nella democrazia2. In area socialista, in definitiva, che sia essa italiana o tedesca, il tema di un allontanamento definitivo dall’ideologia marxista e quello della trasformazione in partito interclassista era ampliamente posto con grande chiarezza. Come nel 1959 Ollenhauer, all’interno del “programma fondamentale”, apriva ad un elettorato, quello cattolico, che fino ad allora era stato a dir poco evitato, il partito di Nenni, già nel congresso di Torino nel 1955, dichiarava: “La soluzione del problema dei nostri rapporti con le masse cattoliche, con il loro partito e le loro organizzazioni, è fondamentale per quanti vogliono creare in Italia le condizioni di una evoluzione rivoluzionaria, che si compie col metodo e coi mezzi della democrazia”3. Ha scritto, per concludere, Ennio Di Nolfo che per il socialismo “il passaggio dal filosovietismo di maniera sotto argomentazioni neutralistiche a un neutralismo condizionato […], rappresentò un travaglio durato una decina d’anni, alla metà dei quali si ebbe la svolta del 1956”4. Fu dunque proprio allora che i socialisti avrebbero, per così dire, scoperto la diplomazia, e quindi avrebbero cominciato a tentare l’uso dell’azione internazionale ai fini di un progresso democratico avanzato. Nonostante tutte le similitudini tra Spd e Partito socialista italiano nell’affrontare il nuovo corso della sinistra europea, in realtà i due partiti vivevano, al loro interno, situazioni piuttosto differenti. In effetti, a differenza del Partito socialdemocratico tedesco, il quale poteva contare su una schiera di dirigenti piuttosto compatta circa lo slittamento a destra (e la candidatura di Willy Brandt alla cancelleria ne è la conferma), il Partito socialista italiano è da sempre rimasto da sempre maggiormente ancorato a quelle prerogative che ne facevano un partito a carattere ideologico. All’interno del Psi, e soprattutto tra i suoi quadri intermedi e tra i dirigenti di formazione morandiana, era sempre presente quel carattere attrattivo nei confronti del mito unitario e frontista.