Riassunto modifica

Prefazione modifica

Monelli parla in modo diretto al lettore ed inizia col raccontargli il motivo per il quale ha deciso di proporre una nuova edizione del libro. Egli si permette anche di rispondere alle critiche che gli sono state fatte in relazione al linguaggio utilizzato nella narrazione, dicendo che in quell’epoca “si parlava così, eravamo fatti così”[1]. In seguito difende il suo “libretto” dicendo che “non è né bestemmia né celebrazione né deprecazione, e mai potrebbe esserlo"[2].
Affermando che sarà impossibile scrivere altri libri riguardanti la guerra finchè non ne verrà una nuova, poiché chiunque provasse a scrivere sul tema basandosi sui suoi ricordi, produrrebbe solamente “un libro falso”, perché “la memoria più fedele e più umile deforma i fatti lontani” [3]. Aggiunge inoltre che, nonostante le modifiche fatte, il suo “libretto” è rimasto invariato.

Passa quindi a raccontare come viveva prima che lo chiamassero per il servizio da soldato: descrive i suoi stati d’animo e i sentimenti che prova nel momento in cui la guerra arriva e lui è costretto a partire. Scrive

«quando andai soldato, io non ero sicuro delle mie capacità che con la piccozza o la scotta in mano, o postillando qualche volume di storici o di esegeti»

e continua

«fin dai primi anni dell’Università avevo l’abitudine di annotare su libretti tascabili, quasi sempre epigrammaticamente, per modo di citazioni, di scorci, di allusioni, di versetti sgangherati e balordi, i rari avvenimenti, le frequenti fantasie, le delusioni e le mortificazioni delle mie vane giornate; e questa abitudine conservai da soldato»

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Evoca quindi la sua prima impressione della guerra, dei suoi superiori e dei suoi rivali. In seguito egli paragona i suoi racconti a quelli di altri dicendo, in modo molto freddo

«Ma le giornate di battaglia chi di noi s’indugiava a centellinare l’odore dei morti, a investigare il carnaio, a compassionare i corpi mutilati? Diffidate, signori miei, se un libro di guerra ha troppi di questi ingredienti. I morti puzzavano; chi lo nega? Ma l’abitudine a quel tanfo era tale, che la sensazione il più delle volte non si traduceva in percezione, non toccava il fondo dell’animo preoccupato di tante altre piccole cose più umili»

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Prosegue scusandosi con i lettori per le bevute, le bestemmie, gli aneddoti di retrovia e di riposo, per la tanta nostalgia pulita di casa e per l’odore di bosco e di terra, dicendo:”Noi non si pensava ad altro”.[7].
Conclude quindi

«E rimando per il mondo a cercar gente della mia fede e delle mie nostalgie, questo paio di scarpe risolate e imbullettate e bene ingrassate: ma che son rimaste le stesse, adatte al piede di tutti i veci che son tornati, buone ancora a riprendere i cammini noti fra i mughi e per le sassaie.»

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Parte I modifica

È l’autunno del 1915: Paolo Monelli deve partire per la guerra e si sottopone ad un esame di coscienza per “sapere con che purità si prepari all’olocausto” [9]. La sua partenza è segnata dal timore, ma anche da un moto d’orgoglio e dal piacere di rischiare, dettati dalla gioventù.
Durante la guerra, il primo e più forte sentimento che prova è la nostalgia della compagna; egli sperava che il conflitto non gli avrebbe lasciato il tempo di abbandonarsi ai ricordi, invece la guerra inizialmente è fatta di attese snervanti, piuttosto che di combattimenti.
Il “battesimo del fuoco” avviene a Natale, quando, scampato ad una fucilata, si rende conto di quanto la morte sia vicina. Prova un profondo terrore per la forte probabilità di perdere la vita. Terminata questa battaglia, i combattimenti si spostano e i soldati si abbandonano al vino che, distogliendo le loro menti dalla cruda realtà, dà loro felicità.
La guerra, però, è di nuovo in agguato e una notte Monelli è chiamato a presidiare Roncegno con i suoi commilitoni; poco dopo, in febbraio, l’esercito riesce a conquistare Marter e, come di consueto, festeggia con il vino, anche se il capitano aveva messo tutti in guardia, dicendo che poteva essere stato avvelenato dagli Austriaci. Durante la notte tutti temono un attacco, che è sferrato all’alba.
Il conflitto prosegue con combattimenti alternati a lunghi riposi oziosi, sempre “disturbati” da bombe o fucilate “[…] Rare fucilate. […] due bombe a cinque metri da te e non sai ancora come sei rimasto illeso […] allora pensi che il senso della tregua è ingannevole” [10].
I soldati stanno seppellendo i loro caduti e Monelli riflette su quel modo così violento di morire, dicendo direttamente alle salme che le loro anime troveranno pace solamente quando questa sarà ritornata anche in quei luoghi.
In aprile, durante una battaglia, un amico del giovane tenente viene ucciso e Monelli riflette sulla mostruosità della guerra.
Si susseguono due mesi (aprile e maggio) di aspri combattimenti: il 23 maggio l’esercito perde Cima 12 e Monelli e la sua truppa, abbandonati dal resto dei soldati, rimangono soli su un’altra vetta, dove l’unica consolazione e fonte di sollievo è, ancora una volta, il vino, perché la vita del soldato è segnata da combattimenti, fatiche, nostalgie e sofferenze.
Il 26 maggio gli Ungheresi sfondano le linee italiane, ma l’esercito riesce a ricacciarli indietro; la notte prosegue con continui attacchi e in Monelli si fa strada un sentimento nuovo: la voglia di morire e porre fine a quella vita di stenti.
È quasi estate e il sole caldo favorisce i bombardamenti, ma non importa: l’importante è che la primavera inoltrata scaldi gli animi dei soldati e contrasti l’inverno eterno con cui essi convivevano in vetta. Monelli ha il permesso di scendere laddove la guerra non arriva e incontra molte persone; alcune, stufe del conflitto, gli chiedono con che animo egli vada a combattere “[…] come dal dentista […] con angoscioso coraggio” [11] risponde lui, altre, indifferenti, non vogliono sapere come sia davvero la guerra, ma preferiscono tenersi l’idea che dà il cinema, di soldati che non vedono l’ora di combattere e questo contraria profondamente il protagonista.

Parte II modifica

"Ritorna in me la presuntuosa certezza di sopravvivere [...]. Soltanto - superstizione - quella certezza cerco di soffocarla" [12].
Questa la realtà dei soldati nello scenario della guerra. Il destino ha appeso la loro vita ad un filo, un filo oggi intatto, ma domani forse no. Un destino che ha bruciato giovani vite, distrutto famiglie, infranto sogni.
È una guerra contro il nemico, ma non solo: si combatte contro la fame, la sete, la fatica, contro la nostalgia di una vita che ormai non è più vita, contro il freddo dell'inverno e il caldo dell'estate, contro la tristezza, la rassegnazione, la morte.
Si combatte come oggetti, come ombre prive d'identità, come pedine sul campo di battaglia. I soldati si sentono abbandonati dalla loro patria e dal mondo. Credono che se morissero anche tutti, probabilmente a nessuno importerebbe; solo Dio è con loro.
In un clima di disumanità e brutalità, trovano sollievo in piccole cose: un pasto più abbondante del solito, un bicchiere di vino, un raggio di sole che riscalda, una risata con i compagni, una canzone. Cose così insignificanti, ma così indispensabili, piccolezze che rasserenano cuori pesanti.
Monelli sottolinea più volte il suo odio per la guerra. Descrive nel suo diario i combattimenti, le trasferte infinite e logoranti, il frastuono degli attacchi, il timore e l'attesa che sfianca i soldati, i cadaveri di chi è stato meno fortunato, le lettere alle famiglie e alle amate, l'assurdità di ciò che sta accadendo.

Parte III modifica

Nella terza parte il racconto si snoda dai campi di battaglia sull'Altipiano ai campi di prigionia in Austria, per concludersi con l'armistizio e la pace del 4 novembre 1918.
Nel novembre del 1917 si susseguono gli attacchi e nelle trincee i soldati italiani mantengono le posizioni anche con l'aiuto dei “bocetti del '99” [13]. All'inizio di dicembre la battaglia si trasforma in un corpo a corpo, perché le compagnie nemiche si trovano a trenta metri l'una dall'altra. Anche gli ufficiali cadono sul campo di battaglia e sono invidiati dai commilitoni perché in qualche modo hanno raggiunto la fine del tormento; ma per fortuna alla fine “[...] il nemico cede, e si accontenta di sgranare su di noi le mitragliatrici [...]” [14]. I soldati soffrono la fame e il freddo in attesa dei contrattacchi che, quando giungono, sono disperatamente respinti a colpi di baionetta.
Il nemico ormai accerchia le compagnie italiane che sono ridotte al minimo e non possiedono più cartucce per sparare. Il tenente più volte invidia i compagni morti e il loro “sonno irrevocabile” [15], vede piangere i suoi alpini per la vergogna della cattura, dopo tre inverni di guerra, reduci da tutte le sanguinose battaglie combattute fra valli e cime.
I soldati italiani vengono fatti prigionieri, attraversano a piedi la Valsugana e si fermano a Caldonazzo per il riposo notturno; riprendono la marcia il giorno successivo per giungere a Trento dove sfilano fino al Castello del Buonconsiglio. Da qui i prigionieri viaggiano in treno per il nord e, passando per Franzensfeste il 20 dicembre arrivano al Castello di Salisburgo, affamati e senza più traccia di dignità. Nella notte di Capodanno del 1918, i prigionieri tentano la fuga, ma vengono catturati di nuovo e ammanettati. In primavera essi ritentano la conquista della libertà; dopo alcuni giorni, nei quali hanno assaporato la gioia di essere degli uomini liberi, tornano nel vecchio castello. I prigionieri partono in treno, guardati minacciosamente a vista, e giungono a Braunau di Boemia. Da lì nell'estate del 1918 vengono spostati in altro campo chiamato Hart, nel cuore dell'Austria. Un nuovo trasferimento porta i prigionieri in un albergo di alta montagna che, nonostante sia una prigione con numerosi divieti e reticolati, offre ai loro occhi un sereno paesaggio.

Sotto la scorta delle baionette gli uomini partono nuovamente, destinati a Sigmundsherberg; qui il 1 novembre 1918 Paolo Monelli annota una sola parola “Libertà.”. Il giorno successivo una certezza: la guerra è finita. L'ultima parte del capitolo è dedicata a ciò che avviene nel campo dopo l'armistizio e il raggiungimento della pace. Nelle ultime pagine egli riflette sull'impegno di chi ha combattuto l'aspra guerra fino in fondo, senza risparmiarsi e constata amaramente quanto il sacrificio dei soldati non potrà mai essere capito fino in fondo da chi la guerra l'ha osservata da lontano ed ora si sente in diritto di pontificare

«Terminata la battaglia, accorrono da ogni parte i corvi ingordi e gli sciacalli pavidi e gli scarafaggi filosofi che si tennero in disparte e dicono: Basta, la parentesi è chiusa, cerchiamo di trarre il minor male possibile da questa guerra, ripigliamo le regole di prima, peccato che ci avete guastato tante istituzioni e lasciato tanti debiti, beh, speriamo di rimetterci bene in piedi, per vivere adesso si fa così e così, partenza e rotaie e stazioni e caselli fissati lungo la linea»

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Note modifica

  1. ^ Paolo Monelli, Prefazione, in Le scarpe al sole, Milano, La Libreria Militare Editrice, 2008, p. 7, ISBN 88-89660-05-8.
  2. ^ Paolo Monelli, Prefazione, in Le scarpe al sole, Milano, La Libreria Militare Editrice, 2008, p. 7, ISBN 88-89660-05-8.
  3. ^ Paolo Monelli, Prefazione, in Le scarpe al sole, Milano, La Libreria Militare Editrice, 2008, p. 7, ISBN 88-89660-05-8.
  4. ^ Paolo Monelli, Prefazione, in Le scarpe al sole, Milano, La Libreria Militare Editrice, 2008, p. 9, ISBN 88-89660-05-8.
  5. ^ Paolo Monelli, Prefazione, in Le scarpe al sole, Milano, La Libreria Militare Editrice, 2008, p. 9, ISBN 88-89660-05-8.
  6. ^ Paolo Monelli, Prefazione, in Le scarpe al sole, Milano, La Libreria Militare Editrice, 2008, p. 11, ISBN 88-89660-05-8.
  7. ^ Paolo Monelli, Prefazione, in Le scarpe al sole, Milano, La Libreria Militare Editrice, 2008, p. 11, ISBN 88-89660-05-8.
  8. ^ Paolo Monelli, Prefazione, in Le scarpe al sole, Milano, La Libreria Militare Editrice, 2008, p. 12, ISBN 88-89660-05-8.
  9. ^ Paolo Monelli, Parte I, in Le scarpe al sole, Milano, La Libreria Militare Editrice, 2008, p. 15, ISBN 88-89660-05-8.
  10. ^ Paolo Monelli, Parte I, in Le scarpe al sole, Milano, La Libreria Militare Editrice, 2008, p. 47, ISBN 88-89660-05-8.
  11. ^ Paolo Monelli, Parte I, in Le scarpe al sole, Milano, La Libreria Militare Editrice, 2008, p. 76, ISBN 88-89660-05-8.
  12. ^ Paolo Monelli, Parte II, in Le scarpe al sole, Milano, La Libreria Militare Editrice, 2008, p. 147, ISBN 88-89660-05-8.
  13. ^ Paolo Monelli, Parte III, in Le scarpe al sole, Milano, La Libreria Militare Editrice, 2008, p. 187, ISBN 88-89660-05-8.
  14. ^ Paolo Monelli, Parte III, in Le scarpe al sole, Milano, La Libreria Militare Editrice, 2008, p. 190, ISBN 88-89660-05-8.
  15. ^ Paolo Monelli, Parte III, in Le scarpe al sole, Milano, La Libreria Militare Editrice, 2008, p. 191, ISBN 88-89660-05-8.
  16. ^ Paolo Monelli, Parte III, in Le scarpe al sole, Milano, La Libreria Militare Editrice, 2008, p. 219, ISBN 88-89660-05-8.