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Stile e temi letterari

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Mary visse una vita dedita alla letteratura. Il primo a incoraggiarla alla scrittura fu il padre, che la spinse ad esercitarsi attraverso la stesura di lettere (un esercizio che le prendeva un paio di ore ogni giorno),[1] senza contare che la principale occupazione della giovane Mary era di scrivere storie. [2] Sfortunatamente tutti gli scritti giovanili di Mary sono stati persi durante la sua fuga in Francia nel 1814 e nessuno dei manoscritti giunti fino a noi è databile prima di tale anno. Unica eccezione è l'opera Mounseer Nongtongpaw pubblicata dalla casa editrice del padre, la Juvenile Library, nel 1808, quando Mary aveva circa undici anni;[3] ricerche recenti hanno però smentitò l'appartenenza di quest'opera alla mano dell'autrice.[4] Anche il marito Percy incoraggiò con entusiasmo Mary a scrivere: "My husband was, from the first, very anxious that I should prove myself worthy of my parentage, and enrol myself on the page of fame. He was forever inciting me to obtain literary reputation".[5]

Romanzi

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Elementi autobiografici

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Spesso sezioni dell'opera shelleyana vengono interpretate come maschere che nascondono elementi della vita dell'autrice. Vari critici hanno spesso fatto notare la ricorrenza del motivo del rapporto padre-figlia come prova alla loro teoria del forte autobiografismo. [6] Basti pensare come esempio al romanzo Matilda, letto da molti critici in chiave strettamente autobiografica, identificando nei tre personaggi chiavi dell'opera la stessa Mary, suo padre e il marito Percy. Mary Shelley stessa ha confidato di essersi ispirata al suo circolo italiano per la creazione dei personaggi dell'Ultimo uomo: Lord Raymond, che lascia la patria inglese per andare a combattere in Grecia, rappresenterebbe Lord Byron; l'utopico Adrian, che vuol guidare i suoi cari alla ricerca di un paradiso terrestre, ma muore durante una tempesta in mare, il marito Percy Shelley; e se stessa sdoppiata rispettivamente nei personaggi di Lionel e Perdita.[7] In ogni caso, come la stessa Mary Shelley ha affermato nel suo commento al racconto del padre Cloudesley (1830), lei non crede che l'autore "were merely copying from our own hearts".[8] Lo stesso Godwin definì i personaggi letterari delle opere della figlia più come "tipi" che non come ritratti della vita reale.[9] Attuali critici, come Patricia Clemit e Jane Blumberg, sono d'accordo con quest'ultimo punto di vista ed evitano accuratamente di leggere l'opera dell'autrice come essenzialmente autobiografica.



  1. ^ bla
  2. ^ nota
  3. ^ ddd
  4. ^ ccc
  5. ^ Quoted in Wolfson, Introduction to Frankenstein, xvii.
  6. ^ vedi Mellor, 184.
  7. ^ vedi Bennett, An Introduction, 74; Lokke, "The Last Man" (CC), 119. e anche la pag del romanzo
  8. ^ Qtd. in Clemit, Godwinian Novel, 190.
  9. ^ Clemit, Godwinian Novel, 191.


________________________________________--Betta.1 {dici}