Utente:Kuro gakusei/Sandbox

***Importante: finisci la traduzione, sistema bibliografia e note e cerca di fare integrazioni. Attenzione alla sintassi, non tradurre letterale ma rielabora in modo che le frasi abbiano senso anche in italiano. La sezione "Origini" va riformulata in maniera più strutturata, così è un minestrone di informazioni alla rinfusa.

Artista di Kamishibai a Tokyo.

Il Kamishibai (紙芝居? lett. "dramma di carta") è una forma di teatro di strada e narrazione, popolare in Giappone dai tardi anni '20 fino agli anni '60.

Lo spettacolo di kamishibai viene eseguito dal kamishibaiya (紙芝居屋 ?) attraverso delle tavole illustrate di 26,6x38,2cm. Il cantastorie inserisce la prima tavola in un piccolo palco di legno per mostrarla al pubblico, solitamente bambini dai quattro ai dodici anni[1], e nel frattempo ne legge il testo stampato sul retro, con cui racconta la scena rappresentata nell'illustrazione. Al termine toglie la tavola dal palco e vi inserisce quella successiva, andando avanti nella narrazione.

Accanto al testo che legge è presente una piccola riproduzione ridotta dell'immagine presente nel lato frontale, come aiuto durante la recitazione[2].

Origini

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Le origini esatte del kamishibai durante il ventesimo secolo sono sconosciute, apparve "come il vento su un angolo di strada" nella zona di Shimatachi, Tokyo, attorno al 1930. Si ritiene, tuttavia, che il kamishibai abbia radici profonde nella storia artistica dell'etoki (絵解き? "narrativa illustrata"), che può essere fatta risalire ai rotoli illustrati emaki (絵巻?) del dodicesimo secolo, come il Chōjū Giga (鳥獣戯画? "caricature di animali") attribuito al monaco buddhista Toba Sōjō (1053-1140). Esso rappresentava delle caricature di animali antropomorfizzati che fanno satira della società del periodo, ma non aveva testo, rendendolo dunque un aiuto grafico per una storia raccontata oralmente. E' considerato il precursore diretto del kamishibai.

Durante il periodo Edo (1603-1868) ci fu un fiorire delle arti visive e di rappresentazione, in particolare grazie all'ukiyo-e. Gli etoki acquisirono popolarità nel tardo diciottesimo secolo: i cantastorie si piazzavano agli angoli delle strada con un rotolo aperto e appeso ad un palo.

Nel periodo Meiji (1868-1912) i tachi-e (立ち絵? "illustrazioni in piedi"), simili a quelli del periodo Edo, erano esposti da artisti che muovevano delle figure ritagliate, montate su dei paletti di legno (simili ai pupazzetti d'ombra in Indonesia e Malaysia). Il monaco zen Nishimura (chi??, uno a caso che si chiama così o è una figura importante??) ha fatto uso di queste immagini durante i sermoni per divertire i bambini. Altra forma di etoki era lo stereoscopio giapponese modificato, importato dall'Olanda. Di taglia molto più ridotta, sei incisioni di paesaggi e scene della vita di tutti i giorni erano posizionate una dietro all'altra sul dispositivo e abbassate quando richiesto, così che l'osservatore, che le guardava attraverso una lente, potesse vivere un'esperienza di illusione dello spazio creata da questo dispositivo. Lo sviluppo tecnologico e artistico dei periodi Edo e Meiji possono essere collegati alla creazione del kamishibai.

Età d'Oro

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Dal 1932 al 1945 il kamishibai era uno dei mezzi fondamentali per la diffusione della propaganda ad un pubblico più ampio, sia adulti che bambini[3]. Dopo anni di difficoltà economiche, l'Associazione Educativa Kamishibai (?? il nome originale?? e la fonte?) trovò improvvisamente un mercato di massa per i suoi prodotti, generosamente sovvenzionato dalle istituzioni governative. L'associazione non fu l'unica a beneficiare delle commissioni del governo, anche i centri di distribuzione dei gaitō kamishibai (街頭紙芝居? lett. "kamishibai delle strade") combinarono le loro forze per mettersi all'opera. Le storie erano pensate per trasmettere stili di vita pratici in tempo di guerra (per esempio la prevenzione di malattie)[4]. Tramite il kamishibai fu operata anche una propaganda diretta alle donne, per spingerle a contribuire alla guerra. Gli sforzi delle donne per supportare la guerra furono cruciali e molto denaro, tempo e attenzione furono impiegati per renderli efficaci, con messaggi molto variegati rivolti al pubblico femminile.[5]

When the audience arrived they would sell sweets to the children as a fee for the show, which was their main source of income. They would then unfold a butai, a miniature wooden proscenium which held the illustrated boards for the narrator to change as he narrated (and provided sound effects for) the unscripted story.[6] True artists only used hand-painted original art, not the mass-produced kind found in schools or for other communication purposes.[7]

Kamishibai kashimoto (dealers) were sought to commission and rent artwork to narrators for a small fee.[8] The creation of these boards was similar to that of an American comic book company with each person separately doing the colouring of a panel. The principle illustrator would make pencil sketches that were then done over with thick brushes of India ink. Watercolour paint was then applied to delineate the background and foreground, an opaque tempera paint was then added on top and lastly a coat of lacquer to give it shine and protect it from the elements.[9] A mix of ‘trashy pop culture’ and fine artistry kamishibai blended the traditional linear style of Japanese painting with the heavy chiaroscuro of Western painting, contrasting light and dark to give the figures depth and dynamism.[10]

There were a variety of popular stories and themes in kamishibai, which are now seen in contemporary manga and anime, including one of the first illustrated costume superheroes in the world, Ōgon Bat ("Golden Bat") in 1931, superheroes with secret identities like Prince Ganma whose alter ego was a street urchin and the popular genre of gekiga or "drama pictures".[11][12] Many prolific manga artists, like Shigeru Mizuki, were once kamishibai artists before the medium went out of vogue in 1953.[13]

File:Ogon Batto Kamishibai.jpg
Kamishibai panel of Ōgon Bat

Kamishibai was also utilised as a source of communication to the masses, an "evening news" for adults during the Second World War and the Allied Occupation (1945–1953). There are theories about the acceptance of drawing as a means to communicate in Asian nations more so than in Western nations which can be linked to the different printing technologies utilised in each regions histories. In the West, text and image eventually became separated because of the Gutenberg method of moveable type.[14] In Japanese language of complex characters, it was much easier to employ the woodblock printing.[14]

Declino

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Oggi il kamishibai è più noto come uno dei diretti precursori, nel dopoguerra, di manga e anime, godendo di grande popolarità nei suoi quarant'anni di successo. Negli anni '30 e primi anni '40 prevalse sul cinema e la radio come forma di intrattenimento per bambini; negli anni '50, invece sui manga. Erano anche gli anni d'esordio della televisione, che inizialmente era nota come denki kamishibai (電気紙芝居? "kamishibai elettronico").[15]

Il kamishibai oggi

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Nel Toyota Production System, le tavole del kamishibai sono usate come controllo visivo per le revisioni in un processo manifatturiero. Una serie di carte è posizionata su una tavola e selezionate casualmente, o in paniera programmata, dai supervisori e direttori dell'area. Le carte appaiono dapprima come rosse con su scritto i compiti che gli operai devono svolgere e, una volta svolti, gli operai girano le carte così che mostrino il lato verde con le stesse istruzioni che erano riportate sul lato rosso, ad indicare che il compito è stato svolto.[16]

Kamishibai performers

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Kamishibai storytelling is currentlyTemplate:When being conducted as part of an ongoing campaign to promote world peace. Maki Saji[17] (a Buddhist nun) created a kamishibai based on the story of one of the many children, Sadako Sasaki, who suffered as a result of the atomic bomb raid on Hiroshima in 1945. In May 2010 she was a delegate at a Meeting of the Treaty on the Non-Proliferation of Nuclear Weapons at the United Nations in New York, where she performed to promote a world in harmony and free of nuclear arms.

See also

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References

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  1. ^ Sharalyn Orbaugh, Kamishibai and the Art of the Interval, in Mechademia, vol. 7, 2012, pp. 78-100.
  2. ^ Junko Sukoi, 17 - Kamishibai, the Art of Japanese Visual Storytelling, in Ken Goodman, Shaomei Wang, Mieko Shimizu Ivantosch, Yetta Goodman (a cura di), Readin in Asian Languages, Making Sense of Written Texts in Chinese, Japanese and Korean, New York, Routledge, 2012.
  3. ^ Sharalyn Orbaugh, Kamishibai and the Art of the Interval, in Mechademia, vol. 7, 2012.
  4. ^ Tara McGowan, Performing Kamishibai, New Literacy for a Global Audience, Routledge, 2015.
  5. ^ Sharalyn Orbaugh, The Properly Feminine Nationalist Body in the Propaganda of Kamishibai of Suzuki Noriko, in U.S.-Japan Women's Journal, n. 45, 2013, pp. 50-68.
  6. ^ Eric P. Nash, Manga Kamishibai: The Art of Japanese Paper Theatre, New York, Abrams Comicarts, 2009, p. 17.
  7. ^ Eric P. Nash, Manga Kamishibai: The Art of Japanese Paper Theatre, New York, Abrams Comicarts, 2009, p. 6.
  8. ^ Eric P. Nash, Manga Kamishibai: The Art of Japanese Paper Theatre, New York, Abrams Comicarts, 2009, p. 79.
  9. ^ Eric P. Nash, Manga Kamishibai: The Art of Japanese Paper Theatre, New York, Abrams Comicarts, 2009, pp. 77–78.
  10. ^ Eric P. Nash, Manga Kamishibai: The Art of Japanese Paper Theatre, New York, Abrams Comicarts, 2009, pp. 78–79.
  11. ^ Eric P. Nash, Manga Kamishibai: The Art of Japanese Paper Theatre, New York, Abrams Comicarts, 2009, p. 18.
  12. ^ Frederik L. Schodt, Manga! Manga! The World of Japanese Comics, Tokyo, Kodansha International Ltd., 1997, p. 66.
  13. ^ Frederik L. Schodt, Dreamland Japan: Writings on Modern Manga, Berkeley, Stone Bridge Press, 1996, p. 179.
  14. ^ a b Eric P. Nash, Manga Kamishibai: The Art of Japanese Paper Theatre, New York, Abrams Comicarts, 2009, p. 61.
  15. ^ Sharalyn Orbaugh, Kamishibai and the Art of the Interval, in Mechademia, vol. 7, 2012.
  16. ^ Kaizen Institute, Kamishibai, 3 Maggio 2013.
  17. ^ ホーム Home, su sajimaki.com, 佐治妙心(佐治麻希) Myoshin Saji (Maki). URL consultato il 7 ottobre 2013 (archiviato dall'url originale il March 31, 2012).
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