Memoria. Rivista di storia delle donne
StatoBandiera dell'Italia Italia
Linguaitaliano
Periodicitàquadrimestrale
Genereperiodico di storia delle donne
Fondazione1981
Chiusura1991
EditoreRosenberg & Sellier
ISSN0392-4564 (WC · ACNP)
 

Memoria : rivista di storia delle donne è la prima rivista di storia delle donne fondata in Italia nel 1981, testimonianza della crescita di un nuovo campo di studi e dello sforzo di costruzione di una più autorevole identità pubblica.[1] Il primo numero è stato pubblicato nel 1981, per i tipi di Rosenberg & Sellier; la rivista ha chiuso con il numero 33 del 1991 (stampa 1993).

Nell'editoriale di presentazione del primo numero di Memoria viene dichiarato che si tratta del progetto "di un gruppo di donne impegnate nella storia, nella letteratura, nella psicanalisi e nelle altre scienze sociali", interessate ad analizzare il passato e il presente delle donne, con un'apertura interdisciplinare in grado di offrire sguardi e prospettive differenti.[2]

Tutti i numeri della rivista sono stati digitalizzati e messi a disposizione per la consultazione online sul sito della Biblioteca italiana delle donne.[3]

Struttura modifica

Ogni numero della rivista è dedicato ad un argomento specifico. La rubrica di apertura, Il tema, introduce l'argomento e gli articoli principali che ne sviluppano i diversi contenuti, collocati nella rubrica Interpretazioni; segue, se in presenza di ricerche in corso di definizione o concluse, la sezione Un'esperienza di ricerca. Quella conclusiva, I materiali del presente, segnala discussioni, dibattiti, convegni, raccoglie recensioni di saggi, libri e materiali di studio su tematiche femminili, notifica i libri ricevuti in redazione (spesso collocati in Notiziario), mentre Riletture, presente in alcuni numeri, propone materiali di studio e rivisitazioni di classici.

Il numero 14 (1985), Soggetto donna, è un repertorio bibliografico comprendente circa duemila volumi pubblicati in Italia su tematiche femminili e recuperati dal catalogo della Bibliografia Nazionale Italiana 1975-1984, divisi per titolo, soggetto, classificazione Dewey. [4]

  • Il tema
    • Interpretazioni
  • un'esperienza di ricerca
  • fonti e documenti
  • i materiali del presente (discussioni e dibattiti, centri di ricerca e di documentazione, convegni, libri, riviste)
  • Notiziario (i libri ricevuti)

Varianti: n. 4 ha in più la sezione "Riletture" dopo "Fonti e documenti", anche in altri numeri ci sono "Riletture", che possono riguardare libri appena usciti, materiali di studio su tematiche femminili, o classici ad es. L"'Educazione sentimentale" di Gustave Flaubert (27/1989),

Varianti 9: il tema (dossier), documenti, materiali del presente

Varianti 15: ha in più "Rassegne"

Dal 21 solo Interpretazione e i Materilai del presente

compare anche la rubrica "Saggi"; es. n. 33, Victoria de Grazia La nazionalizzazione delle donne Modelli di regime e cultura commerciale nell'Italia fascista* in cui l'autrice analizza "in che modo l'emergere del consumo di massa abbia dato nuova forma ai concetti di sovranità e cittadinanza."

Storia modifica

La rivista, che si distingue per il suo impianto eclettico, pone al centro l'interesse di far convivere nella ricerca "diversità di modi di lavoro e di ipotesi culturali".[5] Il riconoscimento di una diversità di approcci e di una pluralità di interessi viene affermato insieme all'attenzione posta all' "ambiguità delle condizioni del lavoro intellettuale femminile", stretto tra ricerca di legittimazione (istituzionale) della propria produzione culturale e identità personale.

Nel definire il proprio progetto, la redazione della rivista nel suo primo numero precisa di non identificarsi con una storia delle donne intesa come campo di studi separato, come "semplice storia dell'oppressione" o come storia dei movimenti delle donne, sostenendo invece la necessità di tener conto di "una serie di relazioni: tra uomini e donne, tra sessi e mentalità, tra forme istituzionali e forme culturali, e del loro collocarsi rispetto ai modi e ai tempi del controllo e della stratificazione sociale".[2]

Memoria, con Quaderni storici e DWF costituisce uno dei principali luoghi di elaborazione della storia delle donne in Italia negli anni ottanta del Novecento.[6]

Direttrici responsabili modifica

  • Mariella Gramaglia - 1981-1986; N. 24 (1988).
  • Laura Lilli - N. 19-20 (1987)-N. 22(1988); N. 25 (1989)-
  • Nel n. 23 manca la p. con le responsabilità della rivista

Redazione modifica

  • 1981-1986: Maria Luisa Boccia, Gabriella Bonacchi, Marina D'Amelia, Michela de Giorgio, Paola Di Cori (fino al n. 18 del 1986), Jasmine Ergas (fino al n. 18 del 1986), Angela Groppi, Margherita Pelaja, Simonetta Piccone Stella
  • 1987.1991: Renata Ago, Maria Luisa Boccia, Gabriella Bonacchi, Rita Caccamo, Giulia Calvi, Marina D'Amelia, Michela de Giorgio, Angela Groppi, Margherita Pelaja, Simonetta Piccone Stella, Tamara Pitch

Fascicoli pubblicati modifica

  • N. 1 (1981) - Ragione e sentimenti
  • N. 2 (1981) - Piccole e grandi diversità
  • N. 3 (1982) - I corpi possibili
  • N. 4 (1982) - Politiche
  • N. 5 (1982) - Sacro e profano
  • N. 6 (1982) - Gli anni cinquanta
  • N. 7 (1983) - Madri e non madri
  • N. 8 (1983) - Raccontare, raccontarsi
  • N. 9 (1983) - Sulla storia delle donne
  • N. 10 (1984) - La solitudine
  • N. 11-12 (1984) - Vestire
  • N. 13 (1985) - Donne insieme
  • N. 14 (1985) - Soggetto donna
  • N. 15 (1985) - Culture del femminismo
  • N. 16 (1986) - L'età e gli anni
  • N. 17 (1986) - Prostituzione
  • N. 18 (1986) - Donne senza uomini
  • N. 19-20 (1987) - Il movimento femminista negli anni '70
  • N. 21 (1987) - L'uso del potere
  • N. 22 (1988) - Giovani donne
  • N. 23 (1988) - Il bel matrimonio
  • N. 24 (1988) - Sesso: differenza e simbiosi
  • N. 25 (1989) - Genere e soggetto
  • N. 26 (1989) - Questioni di etica
  • N. 27 (1989) - Uomini
  • N. 28 (1990) - Bambine, racconti d'infanzia
  • N. 29 (1990) - Bambini, racconti d'infanzia
  • N. 30 (1990) - I lavori delle donne
  • N. 31 (1991) - Sulla storia politica
  • N. 32 (1991) - Amicizie
  • N. 33 (1991) - Quale storia?

Bibliografia modifica

  • Paola Di Cori, Culture del femminismo. Il caso della storia delle donne, in Storia dell'Italia repubblicana, III. L'Italia nella crisi mondiale, L'ultimo ventennio, T. II, Istituzioni, politiche, culture, Torino, Einaudi, 1997, pp. 803-861.


Nyonin kinsei, Clarice Tina Boniburini modifica

Studi di genere (da sistemare) modifica

Vediː Kobayashi Naoko, Sacred Mountains and Women in Japan: Fighting a Romanticized Image of Female Ascetic Practitioners

La studiosa Naoko Kobayashi ha sottolineato come negli studi religiosi e folklorici sia stata assente o minimizzata la prospettiva di genere, spesso ritenuta, a livello accademico, un approccio emotivo, non obbiettivo e neutrale. Suzuki Masataka, ad esempio, nella sua ricostruzione della storia del nyonin kinsei da un punto di vista storico e folclorico, pubblicata nel 2002, avrebbe evitato di considerare il nyonin kinsei una pratica discriminatoria, ritenendo che il concetto delle donne come categoria sociale apparterrebbe a culture e periodi più tardi e che le proibizioni applicate avrebbero permesso alle persone di prendere coscienza delle differenze di sesso, portandole a riconsiderare i loro rispettivi modi di vita. Il suo suggerimento di studiare la pratica del nyonin kinsei da più punti di vista, avrebbe tuttavia avuto il vantaggio di prendere in esame come le donne avevano accolto, resistito, e rimodellato il divieto.[7]

La sostanza è comunque che alla natura di una donna viene attribuito un valore e le sue azioni sono regolate dagli uomini, atteggiamento tipico delle società patriarcali. Nyonin kinsei nasce da un misto di androcentrismo e fede religiosa, e continua modificando i motivi dell'esclusione. Ancora oggi vengono poste varie restrizioni alle donne che svolgono pratiche ascetiche sui monti sacri.

"La discriminazione religiosa nei confronti delle donne non era una esclusiva giapponese. La misoginia ha sempre fatto parte del buddismo, con donne condannate come oggetti di depravazione morale, danze erotiche disgusto sessuale e corruzione fisica. La fissazione buddista sul corpo femminile in quanto il luogo del decadimento era un elemento comune della tradizione. Narrazioni in cui i corpi morti e in decomposizione di belle donne conducono i monaci all'intuizione religiosa si trovano in tutta la letteratura buddhista indiana. [...] Il nyonin kekkai separò la purezza della montagna buddista dall'inquinamento del mondo sottostante e ha imposto questa divisione del sacro dal profano in termini esplicitamente di genere. Le donne sono state escluse a causa dell'affermazione che il sangue delle mestruazioni e il parto le rendevano troppo contaminate per entrare in tali regni puri". Maerman, p. 186 (non è però uno studio di genere)

"Barbara Ruch (2002) e Bernard Faure (2003) hanno scritto studi essenziali per considerare l'impatto degli studi di genere sul buddismo giapponese. Gli studi sulle donne e sulla storia buddista si sono notevolmente spostati dall'attenzione alle istituzioni e alle attività dei sacerdoti maschi, dal chiedersi come il "buddismo" degli ordini e delle dottrine buddiste vedesse le donne, all'indagare dal punto di vista di una donna, come le donne percepivano il buddismo, come erano emarginate e quali ruoli le donne adempivano e aspiravano a all'interno dei loro vari vincoli e limitazioni sociali. Questo significa, soprattutto, un progetto per considerare come le attività religiose delle donne abbiano influenzato la storia del buddismo giapponese (Katsuura, 2003, p. 2). Tale ricerca esamina come il genere ha informato il mondo e la storia del buddismo. Così Faure mira a spiegare le concezioni buddiste delle donne e del genere per "vedere come la storia e la dottrina del buddismo sono state cambiate a causa della sua relazione con le donne" (Faure, 2003, p. 14). Un simile approccio, secondo lui, rivela anche come la "religione ascetica" e le comunità buddiste dominate dagli uomini siano state femminilizzate e addomesticate.

Come Faure tenta di dimostrare, la storia delle donne buddiste non progredisce teleologicamente dall'oppressione all'emancipazione. Le riletture delle fonti storiche da parte degli storici buddisti giapponesi confermano il suo punto. L'idea lineare che l'antico buddismo elitario negasse la salvezza alle donne, che in seguito fu loro estesa per la prima volta dal buddismo Kamakura più democratico, è sbagliata (Yoshida, Katsuura e Nishiguchi, 1999). Il Nihon ryōiki , una raccolta di racconti didattici del IX secolo, descriveva già un buddismo che non rifiutava le donne e descriveva vividamente le donne che vivevano all'interno di quella fede (Nakamura, 1973). L' henj ō nanshi, La dottrina secondo cui le donne sperimentano cinque ostacoli e non possono raggiungere la salvezza in un corpo femminile si diffuse nel periodo medievale. Tuttavia, le donne non erano strettamente vincolate dalla visione buddista secondo cui le donne dovevano essere istruite dagli uomini (Katsuura, 2003, p. 61). Non solo destinatarie passive degli insegnamenti buddisti patriarcali, anche le donne hanno resistito e si sono appropriate di quegli insegnamenti. È necessario esaminare le relazioni tra il buddismo e vari tipi di donne, comprese le suore, i seguaci laici, le madri e le mogli dei sacerdoti e le praticanti sciamaniche popolari, da questa prospettiva.[8]

Note modifica

  1. ^ Di Cori, p. 813
  2. ^ a b [Editoriale], in Memoria, n. 1, marzo 1981.
  3. ^ Memoria. Rivista di storia delle donne, su bibliotecadelledonne.women.it. URL consultato il 13 marzo 2024.
  4. ^ Soggetto donna, in Memoria : rivista di storia delle donne, n. 15. URL consultato il 14 marzo 2024.
  5. ^ Di Cori, p. 817
  6. ^ Di Cori, p. 817
  7. ^ (JA) Suzuki Masataka, Nyonin kinsei 女人禁制, Tokyo, Yoshikawa Kōbunkan, 2002, p. 4, ISBN 9784642208031.
  8. ^ Gender And Religion: Gender And Japanese Religions, su encyclopedia.com.

Clarice Tina Boniburini

Clarice Tina Boniburini (Bologna, 23 maggio 1922Bibbiano, 1997) è stata una partigiana italiana, Medaglia d'argento al valor militare.

Biografia modifica

Nata a Bologna il 23 maggio 1922, da Giuseppe Boniburini e Alma Cavandoli, trascorse la sua vita a Cavriago, dove visse con la famiglia in in via Roncaglio, 63[1]. Nel gennaio 1944 Clarice, impiegata come operaia, entrò a far parte della 76ma Brigata SAP "Angelo Zanti" con il nome di battaglia "Nikla", come staffetta e partigiana combattente, con il grado di ispettore-intendente responsabile del reclutamento, dell'organizzazione, dell'addestramento e dell'approvvigionamento alimentare dell'unità. Il 21 gennaio 1945 per la sua attività antifascista venne arrestata dalla Brigata Nera e portata nel carcere dei Servi di Reggio Emilia. Durante i novanta giorni di prigionia[2], a Villa Cucchi, sede dell'ufficio politico investigativo, fu ripetutamente sottoposta a torture e sevizie di ogni genere. Fu scarcerata il 22 aprile 1945.[3]

“Cavriago si distinse durante la lotta di liberazione per il sacrificio di molti suoi cittadini e per l’impegno e il coinvolgimento dell’intera comunità – afferma il sindaco Paolo Burani -. Ben 223 furono i partigiani riconosciuti, di loro 20 vennero uccisi, a cui si devono aggiungere tre cittadini antifascisti; 14 cavriaghesi morirono nei bombardamenti che Cavriago subì ad aprile del 1945. Diciotto furono le staffette di Cavriago che sostennero le formazioni partigiane, 40 le donne organizzate nei Gruppi di Difesa Donna. Tra le partigiane si distinsero Rosina Becchi, Bruna Davoli, Clarice Tina Boniburini (tutte e tre medaglie d’argento al valore militare) e Carmen Zanti (decorata con croce al valore militare)”. "Cavriago è medaglia di bronzo al valore militare, con 223 partigiani, 18 staffette partigiane, 40 donne dei gruppi di difesa donna, di cui tre medaglie d’argento al valore militare (Rosina Becchi, Bruna Davoli, Clarice Pina Boniburini), una croce al valor militare (Carmen Zanti), due Costituenti (Nilde Iotti e Don Giuseppe Dossetti) e un Giusto fra le nazioni (Don Enzo Boni Baldoni)."

Dopo la

"Come ricorda l'Anpi di Reggio Emilia Cavriago ha pagato un importante tributo di sangue nella guerra di Liberazione con 32 persone uccise dai nazifascisti. Gran parte dei partigiani cavriaghesi erano organizzati nelle Squadre di Azione Patriottica: 141 su un totale di 212 partigiani, patrioti e benemeriti ufficialmente censiti. Altri 71 militavano invece nei Gap. Tutti, comunque, arrivavano da mondo del lavoro, in particolare dalle fabbriche del circondario e dalle campagne.  "Cavriago, comune essenzialmente operaio e contadino, venne a trovarsi in posizioni d’avanguardia proprio per il processo di fusione e di unificazione delle basi operaie e contadine dell’antifascismo, che si era perfezionato nella lunga vicenda della cospirazione", spiega l'Anpi. I partigiani della città emiliana erano in particolare 118 operai, 46 contadini, tre braccianti, 14 artigiani, cinque commercianti, dieci studenti, tre impiegati e 13 casalinghe. Era quindi rilevante la presenza delle donne, almeno 19 staffette e combattenti (fra cui alcune con incarichi di comando), "alle quali – spiega l'Anpi – però dovrebbero aggiungersi le numerose attiviste dei gruppi di difesa e inoltre le casalinghe e contadine che si prodigarono, come reggitrici di case di latitanza, nella cura di preziose mansioni in un tipo di guerra che non conosceva differenza tra retrovia e prima linea, essendo combattuta con la stessa intensità in ogni punto del territorio occupato dal nemico". Alcune delle partigiane di Cavriago conobbero il carcere e le torture: tra loro Rosina Becchi, impegnata prima in pianura e successivamente in montagna, Bruna Lucia Davoli e Clarice Boniburini."[4]

continua su: https://www.fanpage.it/attualita/cavriago-tappezzata-di-svastiche-alla-vigilia-della-festa-della-liberazione/

https://www.fanpage.it/"

«Ricordatevi di noi quando passate davanti alla Villa per andare a prendere la corriera. Di noi, donne e uomini che hanno detto “No” con il dolore attaccato ai denti delle nostre bocche straziate. Il vostro ricordo è la loro condanna.»

Progetto:Biografie/ANPI/Parte rimanente

Onorificenze modifica

Alla fine della guerra Clarice Boniburini fu decorata della Medaglia d'argento al Valor Militare.


Medaglia d'argento al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Giovane partigiana, animata da profondo spirito patriottico, volle partecipare direttamente alla guerriglia contro i nazi-fascisti, operando in una brigata di pianura .... Ricoprì incarichi di comando riaffermando doti di eccezionale capacità e coraggio. Ricercata e braccata dalla polizia fascista, non abbandonò la lotta, ma la intensificò. Catturata, imprigionata e sottoposta alle più atroci sevizie: con le carni bruciate, con le membra contuse, seppe resistere alle ferite, alle violenze, alla fame, con indomita fierezza, degna del puro eroismo partigiano. Esempio luminoso di sacrificio, di eroismo, attaccamento alla causa della liberazione nazionale»

Riconoscimenti modifica

Nel 2013 il comune di Cavriago nel nuovo quartiere di Pratonera ha intitolato le tre vie principali alle partigiane decorate con la medaglia d'argento al Valor Militare della Resistenza, Rosina Becchi (1918-1987), nome di battaglia "Anna", Bruna Davoli "Kira"(1920-2000), Clarice Boniburini "Nicla" (1922-1997).[5]

Note modifica

  1. ^ Comune di Cavriago, Anpi, Quando i luoghi raccontano le storieː una mappa per riscoprire le persone e i luoghi della guerra e della Resistenza a Cavriago (PDF), su comune.cavriago.re.it, 2015.
  2. ^ Istoreco, Tina Boniburini, su gliocchidi.it. URL consultato il 17 giugno 2021.
  3. ^ Massimo Storchi, https://www.gliocchidi.it/download/Sulle_torture_a_Villa_Cucchi.pdf, in Il sangue dei vincitori : saggio sui crimini fascisti e i processi del dopoguerra, 1945-46 (PDF), Reggio Emilia, Aliberti, 2008, p. 87, ISBN 978-88-7424-326-6.
  4. ^ Davide Falcioni, Cavriago tappezzata di svastiche alla vigilia della festa della Liberazione, su fanpage.it, 24 aprile 2020.
  5. ^ Vie dedicate a martiri della libertà, su Gazzetta di Reggio, 9 gennaio 2013. URL consultato il 16 giugno 2021.

Bibliografia modifica

  • Casotti, William, Volontari della libertà : partigiani e partigiane di Cavriago nella lotta contro il nazi-fascismo (1943-1945), Cavriago, Bertani & C., 2013, ISBN 978-88-98145-00-3.
  • Cavandoli, Rolando, Cavriago antifascista : cronache 1922-1946, Cavriago, Comune di Cavriago, 1975.
  • Comune di Cavriago e Anpi, Quando i luoghi raccontano le storie (PDF), 2015.
  • Durchfeld, Matthias e Steffen Kreuseler (a cura di), Perchè i vivi non ricordano gli occhi di, Reggio Emilia, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea, 2013.
  • Slaughter, Jane, Women and the Italian Resistance : 1943-1945, Denver, Arden Press, 1997, p. 58, ISBN 0912869143.
  • P. ALLEGRI, 76ª Brigata S.A.P. "Angelo Santi". Le squadre di azione patriottica di una brigata reggiana nel corso della guerra di liberazione, in Aspetti e momenti della Resistenza reggiana, Reggio Emilia, Amministrazione della provincia, 1968, pp. 289-345 G. FRANZINI, Storia della Resistenza reggiana, Reggio Emilia, ANPI, 1970 G. BERTANI, Per combattere in pianura. Gap e Sap tra le colline e il Po, in 20 mesi per la libertà. La guerra di liberazione dal Cusna al Po, a cura di M. STORCHI, Cavriago, Bertani, 2005, pp. 124-149