Utente:PrincipeRoby/Piazza della Vittoria (Brescia)

Piazza della Vittoria, o più semplicemente Piazza Vittoria, è una delle principali piazze di Brescia, costruita fra il 1927 e il 1932 su progetto dell'architetto Marcello Piacentini attraverso la demolizione di una parte del centro storico medievale. Oggetto di forti polemiche e atti vandalici nel secondo dopoguerra, che ancora oggi spesso si trascinano, è un emblema di architettura e organizzazione urbanistica di epoca razional-fascista.

Premesse

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Quartiere delle Pescherie.

Come in molte altre città italiane e europee, l'opera di modernizzazione era iniziata nella fase napoleonica, quando nell'ambito della ricerca di un migliore decoro urbano rientrava un programma di profonda ristrutturazione funzionale ed estetica della città. A ciò si accompagnava principalmente l'insofferenza, emersa nel clima innovatore del periodo, per l'antica convivenza tra residenze e officine o luoghi dove si praticavano attività disordinate o rivoltanti, a sua volta legata alle insorgenti esigenze medico-sanitarie e funzionali, legate ai trasporti e all'organizzazione della vita municipale. La nuova tendenza aveva individuato, anche a Brescia, alcune aree di immediata configurazione negativa[1].

Mentre l'attenzione per la qualificazione estetica, mirata a delineare le bellezze della città borghese, si concentrava tra piazza della Loggia, corso Giuseppe Zanardelli, corso Palestro e corso Magenta, il contrasto con il degradato quartiere mercantile delle Pescherie, immediatamente confinante, doveva emergere sempre più evidente. Il quartiere, sviluppatosi a partire dall'alto Medioevo come suburbio cittadino in seguito inglobato dagli ampliamenti della cinta muraria, si estendeva tra corso Palestro a sud e piazza della Loggia a nord, delimitato a est da via Dieci Giornate e a ovest da via Fratelli Porcellaga. Nel quartiere trovavano posto tutte le principali rivendite di generi alimentari della città, il tutto gravitante attorno al macello comunale, eretto nel XV secolo. Il mercato delle granaglie si teneva quotidianamente nell'area sud-est, denominata appunto il Granarolo, mentre nelle due piazzette che si aprivano tra i vicoli, piazzetta delle Pescherie Vecchie e delle Pescherie Nuove, file di banchi in pietra collocati all'aperto erano predisposti per il mercato del pesce[2].

Nel 1816 si ha, in una relazione della Deputazione all'ornato, una delle prime denunce delle condizioni in cui versavano i vicoli del quartiere, soffocati da casupole medievali alte fino a sette piani, con un'altissima densità abitativa, e solcati da canali di scolo che fungevano da fognature a cielo aperto[2]. I commissari scrivono[3]:

«Le pubbliche macellerie [...] sono ridotte in anguste botteghe sparse in un circondario centrale della città ed il più frequentato dalla popolazione, che presenta lo spettacolo del sangue e della morte. Queste stesse botteghe inzuppate di sangue e d'escrementi si lavano bensì dai macellai, ma se ne imbrattano le contrade ed il puzzo si diffonde e ne ammorba il vicinato e chi vi passa d'appresso specialmente nei giorni sirocali [da scirocco, cioè nei giorni di calura] ed in estate.»

Alla metà dell'Ottocento si concretizzano i primi progetti di ammodernamento urbanistico del centro storico, tra i quali l'apertura del tratto nord di via San Martino della Battaglia, la rettifica del lato sud di corso Zanardelli, l'allargamento di corso Palestro, corso Magenta e altre vie. Ma proprio in questi anni, caratterizzati da un crescente clima di rinnovo, si hanno le prime denunce popolari per l'inattività edilizia all'interno delle Pescherie, che rimanevano intoccate mentre, altrove, si rettificava e ricostruiva[2]. Il 17 novembre 1852, dopo lo stanziamento dei fondi, da parte dell'amministrazione comunale, per la rettifica di corso Zanardelli[2], il giornale "La sferza" scrive[4]:

«Proseguono i lavori d'abbellimento nella spaziosa contrada del Teatro. Però che volete? Il popolo [...] parla male anche di codesti lavori. Egli dice: prima di pensare al lusso, si dovrebbe pensare alla necessità; fate la contrada delle Beccherie, purificate gl'immondi vicoli adiacenti alla piazza delle Erbe e poi potrete volgere la vostra attenzione anche alla comoda e già decorosa via del Teatro.»

Nel 1853, l'architetto comunale Luigi Donegani stende una mappa della zona per programmare la possibile chiusura al transito, così come richiesto dai confinanti, di vicolo del Cavicchio, che sfociava dal Granarolo in piazzetta delle Pescherie Vecchie[5], poiché, come da lui annotato, vi accadevano "tanti casi schiffosi ed immorali che ognuno sa e vede, e si può immaginare al bujo sotto un volto che serve loro di riparo, che è veramente un orrore, contrario alla Religione e alla moralità"[6], in riferimento agli incontri notturni che avvenivano sotto il lungo voltone che scavalcava il vicolo.

Il quadro migliore di come il quartiere delle Pescherie era avvertito dalla popolazione bresciana[7], però, è presentato in un articolo de "La sentinella bresciana" del 25 novembre 1913[8]:

«Dentro la vecchia cinta il piccone demolitore e risanatore si è arrestato da anni [...]. Non occorre girare per i meandri, i viottoli immondi e le catapecchie dei quartieri di S. Faustino e S. Giovanni. Basta, purtroppo fermarsi al centro, a quello che è e sempre sarà il cuore della città: basta una rapida visita al quartiere che dal palazzo del Monte di Pietà si spinge fino al corso Palestro, fiancheggiato dalla via Spaderie e dalle vie Mercanti e Serraglio. Il quartiere ha le caratteristiche tipiche di tutti i quartieri che nelle città italiane del Settentrione si addensano attorno alle piazze del Mercato, senza averne le note e le linee pittoresche che, se non disperdono le preoccupazioni igieniche, valgono almeno a raggentilire labirinti di vicoli oscuri e di catapecchie altissime e desolate. Provi il lettore, che pur vivendo a Brescia, non passa mai per quei luoghi, ad osare una visita un po' minuta, avendo cura di turarsi il naso ad ogni momento e di munirsi di sali e di disinfettanti.

Dalla via Palazzo Vecchio (ora Dante!) si inoltri dietro gli squallidi e crollanti edifici del Granarolo nel vicolo Trabucchello, piegando poi a sinistra per il vicolo Granarolo, già Coppa Mosche, come avverte la targa. I nostri vecchi che vivevano senza badare nei vicoli angusti ove il sole non penetrava mai, ove le acque luride scorrevano a rigagnoli nel mezzo, ove l'odore nauseabondo di tutti i rifiuti del mercato e di tutte le esalazioni proprie di una folla sporca e iperbolicamente ammassata, toglievano il respiro, avevano nella denominazione di quei vicoli, un certo senso ironico della condizione in cui si adattavano a vivere. Vicolo Coppa Mosche, e vi passavano la propria vita gli uomini! Vicolo del Trabucchello, vicolo Rampa, già Rata, vicolo Angusto, vicolo del Ballerino, vicolo della Sardella, un tempo Gioiosa, ma poi evidentemente intristita col passare degli anni e con l'aggravarsi delle muffe sulle facciate lebbrose delle case. Le case squallide, tranne qualche eccezione, si spingono ad altezze iperboliche reggendosi l'una con l'altra, servite da scalette, gocciolanti d'umidità, inerpicandosi a picco sino alle soffitte.

Non parliamo di comodità igieniche anche elementari: dai fondaci, che scendono in cave umide sotto il livello stradale, ai tetti, questi grattacielo anciem régime dovevano risolvere un unico problema: far vivere una folla di gente nello spazio più angusto; e come se non bastasse, il sottosuolo era tormentato e inquinato dal Garza e da una rete di fossatelli, che trascinano, senza una difesa, senza un riparo sicuro, tra l'umanità pensante e lavorante, la folla innumere dei microbi, le acque luride dei quartiere più alti della città.»

I progetti risanatori ottocenteschi

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L'attuazione del progetto

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Il piano regolatore del 1928

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Piano regolatore di Brescia del 1928.

Evoluzione del progetto

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La demolizione delle Pescherie

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Il cantiere della piazza

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L'inaugurazione

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Il bombardamento del 1943

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La piazza nel secondo Novecento

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La rimozione delle simbologie fasciste

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Modifiche e interventi tra gli anni '70 e '90

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Le proposte di recupero degli anni 2000

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La riqualificazione

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Descrizione e stile

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Il progetto planimetrico

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Gli edifici

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Arte e monumenti nella piazza

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Interventi urbanistici perimetrali

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Reazioni e dibattito ideologico

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Le polemiche sui progetti ottocenteschi

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Reazioni e proteste alla demolizione

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Il caso degli affreschi di Lattanzio Gambara

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L'accoglimento iniziale

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La piazza nell'immediato dopoguerra

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Giudizi e critiche nel secondo Novecento

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Verso la storicizzazione

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I progetti paralleli alla piazza

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Servizi

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  La piazza gode di un parcheggio sotterraneo capace di contenere circa 450 posti auto[9].

Altre immagini

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  1. ^ Robecchi 1998, p. 49-51.
  2. ^ a b c d Robecchi 1998, p. 51.
  3. ^ Archivio storico civico di Brescia, Rubr. XXII-8/1 A, prima parte
  4. ^ Cronaca locale, in La sferza, 17 novembre 1852.
  5. ^ Robecchi 1998, p. 52.
  6. ^ Archivio storico civico di Brescia, Rubr. XVI-20/1 B, foglio II verso, n. 441
  7. ^ Robecchi 1998, p. 64.
  8. ^ Rinnovamento edilizio e risorgimento igienico. La vicenda di una società, in La sentinella bresciana, 25 novembre 1913.
  9. ^ Parcheggi di Brescia - www.bresciamobilita.it, su bresciamobilita.it. URL consultato il 13 gennaio 2012.

Bibliografia

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  • Franco Robecchi, Brescia Littoria - Una città modello dell'urbanistica fascista, Roccafranca, La Compagnia della Stampa, 1998.

Voci correlate

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Altri progetti

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