Utente:Salvatore Talia/Sandbox2/Questione adriatica

Nella seconda metà dell'800 l'impero asburgico appare privo di una struttura istituzionale tale da dare adeguata espressione politica alle sue molte nazionalità; la questione nazionale si presenta dunque come un problema che la monarchia austroungarica non è in grado di risolvere[1]. Tale problema si atteggia diversamente nelle varie zone dell'Adriatico orientale facenti parte dell'impero.

Dalmazia modifica

In Dalmazia l'elemento italiano era minoritario ed era concentrato soprattutto nelle città della costa e sulle isole. Socialmente questa componente italiana era in prevalenza composta da proprietari terrieri, pubblici funzionari, avvocati, mercanti, artigiani, marinai e pescatori[2]. La maggioranza della popolazione dalmata era però costituita dagi abitanti delle campagne, prevalentemente di lingua e cultura slava[3]. La regione era «caratterizzata da un'economia agricola povera e arretrata, dominata dai latifondi, spesso di proprietà di possidenti di lingua e cultura italiana abitanti in città ma coltivati da poverissimi contadini slavi, serbi o croati»[4].

La minoranza italiana si riconosceva politicamente, a partire dal 1860, nel movimento liberale autonomista. Questo movimento nacque per contrastare il progetto (propugnato dai nazionalisti slavofili) di unificare la Dalmazia con la Croazia e la Slavonia nell'ambito dell'impero asburgico. Gli slavofili intendevano ridimensionare fortemente la presenza della lingua e della cultura italiana in Dalmazia. I liberali autonomisti non esprimevano inizialmente istanze di tipo nazionalista, ma intendevano difendere l'autonomia politica e culturale della Dalmazia, da essi ritenuta terra italo-slava e dotata di una sua peculiare identità multietnica. Nè gli autonomisti né gli slavofili intendevano mettere in discussione l'appartenenza della Dalmazia all'impero asburgico[5].

Nella prima metà degli anni '60 l'egemonia politica del movimento liberale autonomista fu indiscussa, anche grazie al sistema elettorale, organizzato su base censitaria, che privilegiava i ceti più abbienti e le popolazioni urbane a scapito di quelle contadine[6]. L'esito delle elezioni era inoltre soggetto a influenze da parte del governo centrale, che fino al 1866 tese a favorire i liberali autonomisti[7]. Dopo la guerra austro-italiana del 1866 l'atteggiamento dell'autorità governativa cambiò, divenendo sempre più ostile nei confronti della minoranza italiana e sempre più favorevole ai nazionalisti slavofili, ritenuti più fedeli alla corona asburgica[8].

Nel corso della riunione del consiglio dei ministri del 12 novembre 1866 l'imperatore Francesco Giuseppe delineò compiutamente in tal senso un piano di ampio respiro:

«Sua Maestà ha espresso il preciso ordine che si agisca in modo deciso contro l'influenza degli elementi italiani ancora presenti in alcune regioni della Corona e, occupando opportunamente i posti degli impiegati pubblici, giudiziari, dei maestri come pure con l’influenza della stampa, si operi nel Tirolo del Sud, in Dalmazia e sul Litorale per la germanizzazione e la slavizzazione di detti territori a seconda delle circostanze, con energia e senza riguardo alcuno. Sua maestà richiama gli uffici centrali al forte dovere di procedere in questo modo a quanto stabilito.»

Tra il 1879 e il 1885 i nazionalisti si affermarono definitivamente come forza dominante, procedendo poi ad un'attiva politica di croatizzazione delle scuole con conseguente discriminazione della lingua italiana, non più riconosciuta come lingua d'istruzione[11]. Il governo centrale favorì gli slavofili con iniziative quali lo scioglimento di alcuni consigli comunali a maggioranza italiana oppure l'incremento dei diritti linguistici delle popolazioni slavofone[12]. Anche la riforma elettorale del 1882, allargando il suffragio, favorì i nazionalisti, che riuscirono, spesso con l'appoggio del clero, a mobilitare molti elettori delle campagne[13].

In conseguenza della politica del Partito del Popolo, che conquistò gradualmente il potere, in Dalmazia si verificò una costante diminuzione della percentuale di cittadini che si dichiaravano italiani. Nel 1845 i censimenti austriaci registravano quasi il 20% di dalmati che identificavano se stessi come italiani, mentre nel 1910 questi erano ridotti a circa il 2,7%.

Secondo lo storico Luciano Monzali, la politica di snazionalizzazione (che assunse anche carattere persecutorio[14]) portata avanti dagli slavovili contro la minoranza italofona rese la difesa della lingua italiana un «tema cruciale» per gli autonomisti, e fece sorgere un «nazionalismo italiano di difesa contro la xenofobia del nazionalismo pancroato»[15]. A partire dagli anni Ottanta, comunque, le contrapposte ideologie nazionaliste iniziarono a diventare la forma politica dominante in Dalmazia[16]. Gli italofoni di Croazia, alla ricerca di protezione politica, furono spinti sempre più a identificarsi con lo Stato nazionale italiano[17]. Tutto ciò fece infine approdare gli autonomisti all'irredentismo.

Istria modifica

Negli anni '60 e '70 dell'Ottocento la vita politica in Istria fu completamente in mano alla classe dirigente italiana; in quel periodo la popolazione croata e slovena, benché maggioritaria, rimase priva di rappresentanza politica[18]. A partire dagli anni '70 i consensi fra l'elettorato italofono si divisero fra uno schieramento liberale e uno conservatore, entrambi legittimisti, mentre croati e sloveni diedero vita alle prime forze politiche nazionali, che condussero alla nascita della Narodna stranka, un partito popolare croato-sloveno in lenta ascesa di consensi[19]. La politica scolastica, le lingue d'insegnamento nelle scuole, e più tardi la questione della lingua d'uso nelle istituzioni, furono motivi di contesa fra italiani e sloveni-croati[20]. Dopo il 1880 si ebbe una crescente politicizzazione in chiave nazionale[21] con una contrapposizione fra la Narodna stranka e un partito italiano liberal-nazionale[22]: lo schieramento sloveno-croato, meno compatto internamente di quello italiano[23], riuscì ad affermarsi nelle elezioni per il Consiglio imperiale del 1907, anche grazie a un allargamento del diritto di voto[24]; ma tale successo non si ripeté nelle elezioni per la Dieta provinciale del 1908[25]. I contrasti fra componente italiana e componente sloveno-croata si accentuarono, nonostante alcuni infruttuosi tentativi di mediazione da parte austriaca, fino alla Prima guerra mondiale[26].

Trieste e Slovenia modifica

In Slovenia a partire dagli anni '80 dell'Ottocento la supremazia politica ed economica della componente italiana (prevalentemente concentrata nelle città) appare contesa dagli sloveni (insediati soprattutto nelle zone rurali)[1]. La componente slovena iniziò intorno al 1880 a ricercare una vita politica ed economica autonoma anche nei centri cittadini (laddove, nei decenni precedenti, sloveni e croati che si trasferivano in città dalle campagne tendevano perlopiù ad assimilarsi alla compnente italiana egemone)[1].

Nella seconda metà dell'ottocento a Trieste (città che godeva di un'accentuata autonomia amministrativa) la componente italiana deteneva il monopolio del potere locale, da cui era esclusa la componente slovena, peraltro minoritaria in città[27]. Ma negli ultimi decenni del XIX secolo si ebbe un notevole incremento demografico e un'ascesa economica della componente slovena; nacque e si sviluppò un movimento nazionale sloveno, portatore di rivendicazioni quali l'uso della lingua slovena nelle scuole e nelle pubbliche amministrazioni; italiani e sloveni iniziarono a competere per l'egemonia nelle istituzioni locali[28].

Il governo di Vienna favorì questa ascesa della componente slovena, e ciò sia, in generale, in attuazione di una sua politica di «equilibrismi tra i gruppi nazionali» che lo portava a favorire le componenti nazionali escluse dal potere locale, sia nello specifico in quanto diffidava del lealismo della componente italiana e riteneva che una città dell'importanza strategica di Trieste non dovesse «rimanere patrimonio esclusivo degli italiani» ma dovesse invece in qualche modo rispecchiare il pluralismo etnico dell'impero; un effetto di tale politica del governo asburgico fu che gli italiani percepirono le istituzioni asburgiche «come un potere avverso e invasivo, anche se non si può certo considerarlo oppressivo»[29].

Il rapporto fra città e campagna fu alla base di un dibattito politico riguardante la fisionomia nazionale della regione Giulia: mentre gli sloveni affermavano l'appartenenza delle città alla campagna, per gli italiani viceversa erano le città a conferire il proprio volto al territorio; mentre gli sloveni consideravano come un trauma la perdita dell'identità nazionale attraverso l'assimilazione, secondo gli italiani l'appartenenza nazionale era frutto di libera scelta individuale indipendente dall'origine etnica e linguistica[1]. D'altra parte gli italiani, che grazie al sistema elettorale censitario conservarono a lungo l'egemonia nelle istituzioni locali, si opposero allo sviluppo delle strutture scolastiche slovene e croate, così come impedirono la parificazione delle lingue parlate nel Litorale[1].

Nei decenni precedenti la Prima guerra mondiale, sloveni e italiani perlopiù non strinsero legami politici; gli opposti nazionalismi impedirono il dialogo e la collaborazione[1]. Fra gli italiani si riscontrò comunque una certa varietà di posizioni circa la questione nazionale, che andavano dal nazionalismo esasperato di Ruggero Timeus fino al riconoscimento della realtà plurietnica dell'area triestina e all'appello alla convivenza fra i popoli propugnati dagli intellettuali della rivista "La Voce" (fra cui Scipio Slataper e Angelo Vivante). La componente slovena, con rare eccezioni, si attestò su posizioni di tipo nazionalista[1].

Nel primo novecento l'irredentismo italiano ebbe le caratteristiche «degli altri coevi nazionalismi europei» di cui «condivideva aggressività imperialista, intolleranza e xenofobia»[30]. Con la Prima guerra mondiale l'irredentismo divenne parte integrante della politica del governo italiano, che con il patto di Londra adottò un programma di espansione territoriale non privo di aspetti imperialistici[1].

Note modifica

  1. ^ a b c d e f g h CSCIS 2001.
  2. ^ Monzali 2004, p. 20.
  3. ^ Cfr. Monzali 2004, pp. 13-4.
  4. ^ Monzali 2004, p. 51.
  5. ^ Monzali 2004, pp. V-VI.
  6. ^ Monzali 2004, pp. 37-8.
  7. ^ Monzali 2004, pp. 39-40.
  8. ^ Monzali 2004, pp. 69-70.
  9. ^ Die Protokolle des Österreichischen Ministerrates 1848/1867. V Abteilung: Die Ministerien Rainer und Mensdorff. VI Abteilung: Das Ministerium Belcredi, Wien, Österreichischer Bundesverlag für Unterricht, Wissenschaft und Kunst 1971
  10. ^ (DE) Jürgen Baurmann, Hartmut Gunther e Ulrich Knoop, Homo scribens : Perspektiven der Schriftlichkeitsforschung, Tübingen, 1993, p. 279, ISBN 3-484-31134-7.
  11. ^ Monzali 2004, pp. 74-5.
  12. ^ Monzali 2004, p. 95.
  13. ^ Monzali 2004, p. 99.
  14. ^ Monzali 2004, pp. V-VI.
  15. ^ Monzali 2004, p. 143.
  16. ^ Monzali 2004, p. 137.
  17. ^ Monzali 2004, p. VI.
  18. ^ INT 2006, p. 462.
  19. ^ INT 2006, p. 466.
  20. ^ INT 2006, p. 465 e 467.
  21. ^ INT 2006, p. 467.
  22. ^ INT 2006, p. 468.
  23. ^ INT 2006, pp. 470-1.
  24. ^ INT 2006, p. 472.
  25. ^ INT 2006, p. 473.
  26. ^ INT 2006, p. 474.
  27. ^ Pupo, Spazzali, p. 36.
  28. ^ Pupo, Spazzali, p. 37.
  29. ^ Pupo, Spazzali, p. 38.
  30. ^ Pupo, Spazzali, p. 39.


Bibliografia modifica