Utente:T.Castagneto/sanbox

Giuseppe Maria Sebastiani, O.C.D.
vescovo della Chiesa cattolica
Nato1623 a Caprarola
Nominato vescovo14 dicembre 1659
Consacrato vescovo15 dicembre 1659 da Ambrogio Landucci
Deceduto15 ottobre 1689 a Città di Castello
 

Giuseppe Maria Sebastiani (Caprarola, 21 Marzo 1623Città di Castello, 15 ottobre 1689) è stato un vescovo cattolico italiano.


Famiglia e origini

modifica

Giuseppe da Santa Maria Sebastiani nacque, col nome di Girolamo, il 21 Marzo 1623 da Giuseppe Sebastiani e Polissena Lorenzi, nella città di Caprarola, all'epoca all'interno del Distretto di Roma e sotto la giurisdizione dei Farnesi (almeno fino all'anno 1649) facendo parte dei territori dello Stato di Castro, e Ronciglione. La città fu da essi per altro nobilitata con fabbriche sontuose ed il conosciuto e maestoso Palazzo Farnese (Caprarola); sia le fabbriche che il palazzo sono opera de il Vignola.

Il padre Giuseppe era un oriundo di Macerata, di parentado civile, che, avendo perso la famiglia in giovane età, eccezion fatta per una sorella che prese i voti, si trasferì a Roma per proseguire i suoi studi di ambito letterario. Qui incontrò il Cardinal' Odoardo Farnesi che, impressionato dall'indole del giovane e dal suo raro ingegno, lo condusse con sé a Caprarola, ponendolo al suo servizio ed, in ultimo, lo stabilì in matrimonio con Polissena.

La madre, Polissena Lorenzi, facente parte di una delle famiglie più onorate di Caprarola, viene così descritta “questa […] recogli co' pregi d'una piucché mediocre bellezza, e proporzionate facoltà, li caratteri di singolar modestia, ed amor coniugale” [1]

Giuseppe e Polissena ebbero cinque figli, due femmine e tre maschi. Le due sorelle, Maria Arcangela e Agnese Teresa, presero entrambe i voti, la prima nel Monastero di SS. Agostino e Rocco, la seconda nel Monastero della Pace di Viterbo, vissero ambedue vite di esemplare osservanza e vennero ricordate come esempi di più che mediocre santità. I tre fratelli maschi erano: Carlo, primogenito, il quale dovette accasarsi alla morte dei genitori per mantenere la famiglia, Girolamo, questo appunto il nome di battesimo di Giuseppe, secondogenito, ed infine Francesco, il fratello minore.


Infanzia e primi studi

modifica

I primi anni dell'infanzia di Girolamo si svolgono in relativa tranquillità, senza quei “prodigi” che potessero far presagire un avvenire cosi importante, non mancando pero di <<una seria, e modesta gravità, manifesto, e chiaro indizio d'indole savia,e circospetta, quale aggiuntavi l'attenta educazione de'Genitori, il fece comunemente ammirare per un compendio di cristiana pietà>>. [2]

Fin dalla giovane età, Girolamo presenta i tratti di un ragazzo intelligente e disciplinato, sia nell'ambito degli studi, sia per quanto riguarda la devozione cristiana. Il fratello Carlo, notate le sue capacita, e dopo averlo introdotto agli studi delle scienze a Viterbo, lo fece trasferire a Roma presso i padri della Compagnia di Gesù, dove venne riconosciuto fra i migliori studenti della scuola. Anche qui, Girolamo, dimostra la sua rettitudine, evitando le compagnie di ragazzi meno morigerati, impegnandosi invece nella coltivazione della sua pietà cristiana nell'osservanza dei divini precetti.


Vocazione religiosa e percorso verso la presa dei voti

modifica

Terminati gli studi nel corso ordinario di Umanità e Retorica a Roma, Girolamo viene raggiunto dalla vocazione alla religione, e decide quindi di intraprendere il percorso ecclesiastico.

Il primo tentativo di prendere i voti avvenne quando Girolamo aveva poco più di 16 anni, recatosi al Convento di S. Maria della Scala incontrò l'allora Padre Priore Luigi di S. Giuseppe e gli comunicò il suo intento. Nonostante il Priore conoscesse il ragazzo e ne avesse altissima stima, rifiutò di accettarlo, bollando come “impeto giovanile”, e quindi necessario di ulteriore riflessione, quella che Girolamo avvertiva come chiamata.

Qualche mese più tardi Girolamo torno a la Scala sottoponendo nuovamente la sua candidatura, ma venne di nuovo respinto dal Priore con le medesime motivazioni. Non passarono che pochi giorni prima del terzo tentativo: il Priore, mosso a quel punto dalla caparbietà del ragazzo, lo mise alla prova esagerando volutamente gli obblighi di un frate per testarne la risolutezza; all'ennesimo assenso di Girolamo, il Priore accettò la sua candidatura, previo benestare del fratello maggiore Carlo. La discussione fu accesa finché Girolamo, per dimostrare l'assoluta certezza della sua scelta, prese un paio di forbici e si tagliò i capelli, come sarebbe stato necessario fare una volta presi i voti. Il gesto convinse Carlo ed il priore che lo accompagnarono dal Padre Provinciale Pr. Onofrio di San Nicolò il quale lo accettò rallegrandosi per il buon acquisto.

Il 3 Marzo 1640, a 17 anni, Girolamo prende l'abito; abbandonati dunque il nome di battesimo e del suo casale, prese il nome di frate Giuseppe da Santa Maria. Passato l'anno di approvazione, il 3 Marzo 1641, Giuseppe di Santa Maria diventa ufficialmente un Servo di Dio.


I primi viaggi di Giuseppe in Italia ed Europa

modifica

Il primo viaggio al di fuori d'Italia avvenne nel 1641, poco dopo aver concluso l'anno d'approvazione, con destinazione Gratz. Giuseppe infatti aveva personalmente richiesto a Padre Filippo di S.Giacomo di essere mandato a studiare fuori dalla Provincia Romana cosi da non essere tentato nella strada spirituale dalle affezioni dei suoi congiunti. A Gratz venne riconosciuto ulteriormente il suo talento ed ingegno, specialmente nell'oratoria, nonché la sua devozione e modestia nel vestire l'abito. Durante il suo soggiorno in Germania suo fratello Francesco, anch'egli divenuto frate, e la consorte del fratello Carlo, morirono. Carlo, poco dopo gli, scriverà una lettera per informalo delle dipartite e del suo stesso stato di salute poco buono.

Giuseppe studiò e professò (essendo stato promosso al Sacerdozio) a Gratz fino al 1651 , con una breve parentesi in Ungheria dove era stato personalmente richiesto, anno in cui venne richiamato a Caprarola dall'allora Padre Generale Fr. Francesco del Santissimo Sagramento per ricoprire il ruolo di Lettore di Filosofia nel Convento.

Per un solo anno P.Giuseppe restò a Caprarola, infatti nel 1652 venne inviato alla città di Terni per completare i suoi studi di Filosofia.

Nell'Aprile del 1654 , Giuseppe venne chiamato a Roma come Lettore di Teologia nel Convento di Santa Maria Vittoria, dove, nonostante la giovane età dimostrò distinta sapienza e modestia nel vestire quel ruolo.


Primo viaggio nelle Indie

modifica

Nel 1655 il neo eletto Papa Alessandro VII, decise di inviare nelle Indie (in una zona allora conosciuta come Serra di Malavari, dominio portoghese) il P.Fr. Giacinto di S.Vincenzo per supervisionare, risolvere e migliorare la situazione di crescente ostilità che si era andata creando in quelle zone dato che, il diacono Thomas Parampill, il quale si rifiutava di accettare le nuove linee dettate dall'Arcivescovo Francisco Garcia Mendes, si era fatto consacrare Arcidiacono, senza la presenza di alcun Vescovo nel 1653, creando di fatto uno scisma tra i Cristiani di quelle zone. Fr.Giacinto scelse per accompagnarlo in questo viaggio P. Giuseppe, avendolo estremamente in stima. Nonostante i dubbi e le paure esposte in totale onestà a Fr. Giacinto in numerose lettere, P. Giuseppe diede infine il consenso alla sua partecipazione, più per rispetto dell'obbligo che per propria volontà.

Il Pontefice decise inoltre che Fr.Giacinto sarebbe giunto alla Serra andando prima in Portogallo per raggiungerla poi via mare, mentre, Giuseppe avrebbe intrapreso il viaggio via terra passando per l'Arabia e la Persia, cosicché, se infaustamente non fosse giunto uno, avrebbe potuto sopperire l'altro, e se fossero auspicabilmente giunti entrambi avrebbero potuto operare in diversi luoghi.

Il 22 Febbraio del 1656, partendo da Roma, P. Giuseppe ed i suoi compagni iniziarono il loro viaggio verso le Indie.

Il viaggio durò circa un anno, durante i quali P. Giuseppe si soffermò in diverse località come Malta, Cipro, Acri (dove visito' il Monte Carmelo), Tripoli, Aleppo, Babilonia, Combru, Surat fino ad arrivare a Calecut nella Serra, dove ebbe quindi inizio la sua missione.

Poco dopo essere giunto nella provincia di Coccino, si scoprì che l' Arcidiacono aveva fatto arrestare diversi ecclesiastici, ed impossibilitava l'ingresso nella Serra, rendendo difficoltoso il tentativo di convertire le popolazioni. L'Arcivescovo aveva quindi scomunicato l'Arcidiacono ma ciò aveva ulteriormente diviso i cristiani presenti, non essendo stata accolta questa scomunica dai seguaci di quest'ultimo. L'area contava un totale di circa 200.000 persone, ma, all'arrivo di P. Giuseppe solo 200 erano fedeli all'Arcivescovo. [3] Nelle settimane successive P.Giuseppe si adoperò nel tentativo di aver un incontro con l'Arcidiacono, ma quest'ultimo rimandò più e più volte; nel frattempo non mancarono veri e propri attentati alle chiese della fazione dell'Arcivescovo ed ai suoi seguaci. Al primo incontro tra i due, l'Arcidiacono si presentò con diversi soldati al seguito tentando di intimidire l'Emissario Pontificio e tentò di farsi consegnare le Brevi affidate dalla Santa Sede con la promessa di riconsegnarle (il possesso delle lettere avrebbe permesso all'Arcidiacono di rendere legittima la sua posizione) , in tutta risposta P.Giuseppe, avendo avuto conferme delle intenzioni dell'Arcidiacono, si rifiutò e si offrì volontariamente per essere “detenuto” in loco, non sottraendosi così al suo ruolo di mediatore fra le parti, continuando ad invitare l'Arcidiacono al dialogo per un chiarimento pacifico della questione.

Dopo alcuni giorni l'Arcidiacono decise di scappare e rifugiarsi a Paliporan, P.Giuseppe riuscì a fuggire la notte seguente, aiutato da due chierici dopo che questi ebbero riconosciuto in lui un loro superiore ed Emissario Pontificio. Riuscito così a scappare e rifugiatosi a Corolengate, P.Giuseppe scoprì il perché fosse così difficile adempiere alla missione affidatagli: nelle terre di Malavari infatti, era dato per certo che l'Arcidiacono fosse stato inviato da Roma e che fosse realmente un Vescovo, e che la sua posizione fosse più che legittima, al punto che vigeva la legge che chiunque l'avesse deposto sarebbe stato privato della nobiltà e tacciato d'infamia, pena stimata, nel Malavari, al pari, se non superiore, alla perdita della vita.

Per i successivi tre mesi P. Giuseppe professò in Corolengate, nonostante gli fosse vietato e con i rischi annessi, con così tanta enfasi, modo e zelo che molti dei seguaci dell'Arcidiacono cominciarono a ritenere il loro Patriarca il vero impostore, riuscendo a convertire circa 5000 persone [4]

Per tentare di mediare la situazione e fare chiarezza sugli accaduti, l'Arcidiacono invocò e giurò di partecipare ad un Consiglio con P. Giuseppe e gli altri rappresentati della chiesa, ma giunta la data preposta non si presentò, e anzi continuò la sua opera di calunnie dirette verso i suoi avversari. P.Giuseppe decise dunque di convocare la Giunta egli stesso a Rapolino, invitando anche i Re e persone eminenti della zona: in quella Giunta avrebbe letto i Brevi consegnatoli dal Papa ed indirizzati all'Arcidiacono, che esso fosse presente o meno.

Durante il periodo pasquale ebbe quindi luogo la Giunta di Rapolino, alla quale partecipò anche l'Arcidiacono con i suoi seguaci; essi presentarono tre richieste: che l'Arcivescovo fosse deposto, che fosse fatto divieto a nuovi preti di entrare nella Serra, e che l'Arcidiacono fosse fatto Vescovo ufficialmente. P. Giuseppe rispose che nessuna di queste tre richieste fosse esaudibile, anche se provò a sottoporre loro delle eque controproposte che vennero rifiutate, e nei giorni seguenti si susseguirono lunghissime discussioni su questi punti, insieme a molti interventi offensivi ed ingiurie verso l'Arcivescovo e l'Emissario Pontificio alle quali non venne dato seguito. La Giunta fu quindi un insuccesso, salvo il fatto che l'Arcidiacono avesse pubblicamente fatto richiesta di essere insignito Vescovo, il che implicava che di fatto non lo fosse. Finita la giunta, P. Giuseppe e gli altri devoti si ritirarono a Castello (a poche leghe da Rapolino).

Nei mesi successivi, intorno al 22 Luglio del 1657, P. Giuseppe riuscì, grazie ai proprio sforzi e ad alcuni fatti propizi, a convertire i credenti delle chiese di Diamper, Cottette, Turgoli e Carturte.

Aumentato il seguito dell'Arcivescovo e sparsasi la notizia della falsità della carica vescovile dell'Arcidiacono, fu indetta una nuova Giunta a Muttano, dove parteciparono moltissime personalità delle zone e una rappresentanza dell'Arcidiacono stesso. Le sorti della cristianità in Malavari ebbero finalmente la precedenza e la situazione cominciò a volgere verso una conversione su larga scala alla chiesa dell'Arcivescovo, ciò fu dovuto anche al fatto che, oltre diversi regnanti ed ecclesiastici, anche l'Arcidiacono aveva accettato P. Giuseppe come vero Commissario Apostolico inviato dal Papa.

A Mantangeri, sede della successsiva Giunta, fu proposto che l'Arcidiacono venisse spogliato del suo titolo e che venisse investito di quello di Cascimane (persona principale nella Serra), ridando così credito ed effettivo potere all'Arcivescovo. Per effettuare questa scomunica sarebbe stato necessario però leggere i Brevi che P. Giuseppe portava con sé da Roma, ma fu invitato ad evitare, in quanto le ripercussioni sarebbero state terribili anche per coloro i quali erano stati prima seguaci dell'Arcidiacono. Così, nella Giunta di Montangeri, i Brevi furono solo presentati agli ecclesiastici, senza però essere letti, ciò bastò per convincere i rappresentanti di 25 chiese della posizione di P. Giuseppe come rappresentante della Chiesa Romana, e a giurare fedeltà e ubbidienza alla Santa Chiesa e alla figura dell'Arcivescovo.

Il 10 Dicembre 1657, dopo diversi rimandi e problemi, ebbe luogo l'ultima Giunta a S.Tomé, nella quale l'Arcidiacono venne scomunicato e si ufficializzava che solo l'Arcivescovo fosse il rappresentante della Santa Chiesa. Arrivato da pochi giorni in quella città P. Giacinto, si convenì di attendere qualche giorno affinché potesse anch'egli operare sui credenti e per dargli modo di comprendere la situazione. Fu così che il 15 di Dicembre 1657 ben 43 Chiese passarono sotto la Santa Sede Apostolica, e 4 giurarono ubbidienza all'Arcivescovo D. Francesco Garzia di Cangranoro.[5]

Fu così che il 7 Gennaio 1658 P. Giuseppe ed i suoi compagni ripartirono dalla Serra con direzione Roma, avendo ottenuto ottimo risultati, convertendo quasi un terzo delle anime in quelle terre, e lasciando a P. Giacinto (arrivato con le navi portoghesi, poco prima dell'arrivo di quelle olandesi) l'onere di continuare la loro missione cristiana e di porre definitivo rimedio alla situazione creatasi con l'Arcidiacono, il quale aveva rifiutato la scomunica e si era nascosto per protezione da alcuni re suoi alleati, continuando a professare il suo ruolo di Vescovo.

Il viaggio di ritorno fu simile per itinerario al quello di andata, e non meno ricco di esperienze ed incontri, come minuziosamente riportato nel racconto dei suoi viaggi dallo stesso P. Giuseppe . Arrivò infine a Roma il 22 Febbraio del 1659, 3 anni dopo essere partito per le Indie.

Il 15 Dicembre del 1659, all'età di 37 anni, P. Giuseppe fu consacrato Vescovo di Jerapoli (oggi Città di Castello) da Monsignor Landucci, allora Vescovo di di Porsiria, in presenza di Papa Alessandro VII. [6]

L'investitura fu però mantenuta a lungo segreta, in quanto il Papa, che aveva intenzione di mandare nuovamente P. Giuseppe nelle terre di Malavari, dominio portoghese, voleva evitare inutili gelosie ed eventuali discordie da parte degli ecclesiastici e dei Ministri portoghesi, che si sarebbero visti inserire un Vescovo italiano nel loro dominio. Per questo motivo a P. Giuseppe, vennero consegnate duplici copie dei Brevi papali, in alcuni veniva evidenziata la sua nuova carica, mentre in altri veniva trattato come un semplice religioso.


Secondo viaggio nelle Indie

modifica

Il 7 Febbraio 1660 P. Giuseppe e la sua compagnia partirono da Roma con destinazione la Serra, l'itinerario del viaggio fu simile al suo primo, e non meno impegnativo e ricco di avvenimenti particolari (affrontarono moltissime tempeste che misero a rischio le loro vite,furono fatti prigionieri vicino Baghdad, ebbero incontri con personaggi di rilievo turchi e arabi, la morte di un loro compagno, etc.). Arrivarono dunque al porto di Coccino il 14 Maggio del 1661, 15 mesi dopo la loro partenza.

Durante la sua assenza, alcune cose erano cambiate nella Serra: l'Arcidiacono non aveva smesso di spargere le sue bugie, si era addirittura spinto a creare un falso Breve che lo dipingesse come Pontefice in quelle terre, il che era bastato a far passare dalla sua parte il Re di Carturte; in quelle terre si era inoltre inasprito il conflitto fra portoghesi (cattolici) ed olandesi (protestanti), il che non era d'aiuto all'unificazione dei credenti; inoltre, P.Giacinto era passato a miglior vita poco prima dell'arrivo di P. Giuseppe in Goa.

Giunto in quelle terre, P. Giuseppe ebbe modo di battezzare e cresimare diverse persone a Coccino, divenuta ormai una delle loro sedi principali, ribattezzando anche coloro i quali avevano ricevuto i sacramenti dal falso Arcidiacono. Sparsasi la notizia del suo ritorno, non passò molto prima che le delegazioni delle chiese di Gnareca, Caringacerè, Cegurè, Cagnur, Codamallur e Cenota si rivolgessero all'Emissario Pontificio per avere chiarezza sulla situazione; spiegati loro gli inganni dell'Arcidiacono e gli errori in cui erano incappati, essi non mancarono di prestare solenne giuramento di devozione al Sommo Pontefice.

Il 25 Agosto del 1661. P. Giuseppe e la sua compagnia si recarono in visita a Calurcate, in modo da poter incontrare il Re. Grazie all'intercessione di P. Alessandro de Carò, interprete e uno dei più accreditati ed eruditi uomini della Serra, l'incontro ebbe buon esito, e si creò un rapporto di stima e rispetto reciproci tra P. Giuseppe ed il Re di Calurcate, il quale diede aiuto ai chierici per dirigersi a Codamullar, vista la necessità di transitare per alcuni fiumi e terre del regno di Teccanur che era nemico dei portoghesi.

Dopo diversi tentativi di incontrarsi con l'Arcidiacono, scaltramente evitati da quest'ultimo, P.Giuseppe inviò P. Marcello a Coccino con alcuni Brevi papali, nel tentativo di sorprendere l'Arcidiacono ed obbligarlo a mostrarsi. Il 9 di Ottobre 1661 ricevuta notizia della scomunica tramite i Brevi, l'Arcidiacono si barricò nella chiesa di Malandurte, cosicché P.Giuseppe inviò il Generale ed il Codormo alla suddetta chiesa, con due Navigli d'Armata e 14 grandi Manciue e 40 Nairi, ma il falso Vescovo riuscì a fuggire nottetempo con un travestimento che ingannò le guardie (anche se P.Giuseppe ritenne che fossero state corrotte con denaro). All'interno della chiesa P. Giuseppe sperava di trovare la Mitra, l'anello ed altri effetti Pontificali, così da rendere impossibile all'Arcidiacono di professare ancora le sue menzogne in veste di Vescovo, non potendo trovare dei sostituti ad essi. Furono ritrovati moltissimi effetti di quest'ultimo e di Ithitomé (braccio destro dell'Arcidiacono) come libri, tessuti, oro ed alcuni strumenti di chiesa, ma non i suddetti ricercati; ad ogni modo era quello un ritrovamento prezioso per minare il sostentamento e il potere dell'Arcidiacono.

Intorno al 29 di Novembre Nadamé e Palicare giurarono obbedienza al Pontefice, e si decise di convocare una Giunta a Diàmper. In quella Giunta vennero riordinati numerosi Ordinandi, e Parroci, e vennero assoggettati il Vicario ed i Cristiani di Ceguré. Il 10 Dicembre, durante lo svolgimento della Giunta, gli olandesi penetrarono nella Serra, e presero militarmente Coilan, cominciando l'avanzata nell'entroterra, suscitando grande paura in quelle popolazioni. Nel Gennaio del 1662, dopo un aspra e lunga battaglia, Cangranoro venne conquistata colpendo fortemente le forze portoghesi.

Qualche giorno dopo il Generale Rickloff, capo dell'armata olandese, inviò due emissari con bandiera bianca per trattare la resa di Coccino, che venne rifiutata, e così ebbe luogo la battaglia per la conquista della città; P.Giuseppe fu fatto allontanare e rifugiare a Muttano. La battaglia fu estremamente cruenta al punto da prendere il nome di “Strage del Re di Coccino”, e si prolungò tanto da diventare un vero e proprio assedio che durò per settimane. L'assedio proseguì fino al 2 di Marzo, quando gli olandesi, viste le incessanti piogge di quella stagione, e i supporti che arrivavano dalle terre vicine ai portoghesi (grazie specialmente alle lettere scritte e consegnate da P. Giuseppe ed i suoi compagni), troppo a lungo provati da quella guerra decisero di ritirarsi ed abbandonare il campo. La notizia della liberazione di Coccino dalla presa Olandese scosse gli equilibri politici e religiosi della zona, tanto che il Re di Teccancur scrisse a P. Giusseppe che lo riconosceva come il loro Prelato, rigettando l'Arcidiacono.

Ad autunno inoltrato, finita quindi la stagione delle piogge, l'assalto riprese, e P. Giuseppe fu invitato dal re di Bareccancur a fargli visita, così da poter discutere del suo spostamento verso la Serra, lontano dalla battaglia. Giunto nella chiesa della città, P.Giuseppe venne però rinchiuso e tenuto “prigioniero” in essa, senza la possibilità di professare messa o sacramenti. Conquistate le zone limitrofe alla città, l'assedio fu molto più efficace di quello precedente, avendo tagliato le linee di rifornimento e supporto agli olandesi. Pochi giorni dopo il 6 di Gennaio (giorno della Processione di Penitenza per placare le ire di Dio ed implorare il suo aiuto) del 1663, Coccino cadde in mano olandese.

Dalle sue stanze. P.Giuseppe riuscì a contattare vari uomini di spicco della cristianità, capi della chiesa e laici e diversi clerici, comunicando la sua estrema necessità di partire per la Serra dato il fatto che gli olandesi lo avrebbero fatto rientrare in Italia. Tutti furono d'accordo nel sottolineare che senza un Vescovo in quelle terre non vi era possibilità alcuna di salvare la cristianità (data la morte l'anno precedente dell'Arcivescovo) e lo pregarono di rimanere, offrendosi di liberarlo e di difenderlo a qualsiasi costo. Vista l'impossibilità dell'operazione, P. Giuseppe li informò che il Papa gli aveva conferito il potere di nominare i Vescovi, e, con suo sommo stupore, tutti gli interpellati, senza che lui proponesse alcun candidato, indicarono in P. Alessandro de Campo, Parroco di Corolengate, nonché cugino dell'Arcidiacono, la persona più adatta a ricoprire quella carica; la stessa che avrebbe suggerito P. Giuseppe.

Nel febbraio del 1664, riuniti tutti gli esponenti della Santa Chiesa Romana in Malavari, diversi Re e altre figure di rilievo, Padre Alessandro de Campo fu nominato Vescovo, con grande gioia di tutti, essendo persona ammirata e stimata in quelle terre. Nelle settimane successive P. Giuseppe accompagnò il nuovo Vescovo per le città della Serra, aiutandolo e guidandolo nel suo nuovo ruolo di rappresentate unico della Cristianità. Nominato dunque un nuovo Vescovo, e costretto dalle forze politiche olandesi al rientro, P.Giuseppe lasciò le Indie dopo aver convertito circa 2/3 dei fedeli all'Arcidiacono.

Dopo un viaggio di ritorno durato 13 mesi, P. Giuseppe fece ritorno a Roma il 6 Maggio 1665, dove fu accolto da Papa Alessandro VII con grandi onori; chiese dunque al Pontefice di poter fare ritorno al chiostro nell'Eremo di Montevirginio, ma gli venne rifiutato. Infatti il Sommo Pontefice lo nominò Visitatore Apostolico delle isole del Mar Egeo, facendolo diventare così Commesso Viaggiatore della Santa Sede.


Successivi Viaggi

modifica

Spiritualmente, le Isole dell'Egeo,dipendevano dal Patriarca di Costantinopoli, la Santa Sede cercava di controllare la situazione inviando ogni 10 anni un suo rappresentante perché determinasse le leggi e ne ottenesse l'esecuzione.

P. Giuseppe vi si recò dopo aver visitato suo fratello morente nel convento di S. Valentino in Temi; in quelle isole l'accoglienza fu più che entusiasta sia da parte dei vescovi locali, sia da parte della popolazione.

Visitò le isole di Caristo, Tine, Micone, Andro e Delo, riferì come in tutta la sua vita, non trovò mai strade tanto disagiate e impervie quanto quelle delle isole, tutte incastonate tra enormi dirupi e pietraie. A Schio si incontrò con 6 Vescovi greci i quali gli significarono i disagi di quelle popolazioni e gli proposero questioni dottrinali concluse positivamente con la totale sottomissione all'autorità del Papa. Tracciò loro un programma di rinnovamento di vita spirituale e imbarcatosi sulla nave del generale Comaro fece ritorno a Roma.

Mentre si trovava a Venezia, il 22 maggio 1667, gli giunse la notizia della morte di Alessandro VII. Fu grande il suo dispiacere essendogli legato da grande amicizia. Un pensiero lo preoccupava: che la sede vacante durasse troppo a lungo a scapito della Chiesa universale e di quella del Malabar, bisognosa ancora di tanta attenzione e sollecitudine pastorale. Il 20 Giungo 1667, fu eletto il nuovo Pontefice nella persona del cardinale Rospigliosi che assunse il nome di Clemente IX.

Il 26 luglio P. Giuseppe rientrò in Roma proprio mentre il novello Pontefice prendeva possesso della cattedrale di S. Giovanni in Laterano. Si confuse tra la folla festante, ma il Papa lo riconobbe e terminata la funzione, lo mandò a chiamare dal vicino convento di S. Maria della Vittoria. Colto di sorpresa da quella convocazione, scoprì che questa volta il Pontefice voleva affidargli la sede vescovile di Bisignano in Calabria. Avrebbe voluto nominarlo segretario di "Propaganda fidei" ma egli, declinando altri onori più prestigiosi, partì immediatamente per raggiungere il suo nuovo gregge.

Imbarcatosi a Vietri raggiunse la città di Paola e da lì si diresse a Lattarico, primo paese della diocesi, dove gli venne incontro la popolazione che lo accolse calorosamente e lo accompagnò fino a Bisignano il giorno 8 Novembre 1667.

Si pose subito in azione con un lavoro capillare e paziente, diretto ad elevare la vita spirituale del suo gregge, prima di tutto voleva che l'insegnamento della dottrina cristiana fosse impartito con ogni cura ed assiduità essendo fondamento di tutta la vita cristiana. Insisteva sulla liturgia e sulla formazione culturale e spirituale del Clero mettendosi, a tale scopo, a disposizione di tutti.

Questo apostolato deciso e concreto lo mise subito in contrasto con alcuni signori del luogo che dominavano incontrastati e pretendevano di dettare leggi al nuovo pastore e condizionarlo nel suo ministero pastorale. Anche qui gli piovvero addosso una quantità di calunnie, lettere anonime e carteggi pubblici; tutto diretto a metterlo in cattiva luce presso il suo clero e presso i fedeli.

Intervenne decisamente contro gli errori dottrinali e il malcostume, come nel caso di un certo don Fabrizio Carasella qualificatosi per mago e di Carlo Funari che riportò alla santità di vita, riconducendolo al monastero da cui era uscito con scandalo di quella Chiesa.

Il 9 Dicembre 1669, dopo tre anni dalla sua nomina alla sede vescovile di Bisignano, venne a mancare Papa Clemente IX suo grande amico e gli successe il cardo Altieri col nome di Clemente X.

Questo Pontefice, suo grande ammiratore, nell'anno 1672 gli volle affidare la sede vescovile di Città di Castello, pensando così di rendergli più facile la sua azione pastorale tanto insidiata e avversata in quella sede per opera di persone che lo perseguitavano a morte, mentre il clero e il popolo gli erano sommamente affezionati.


Vescovo di Città di Castello

modifica

La cittadina Umbra di Città di Castello aveva una lunga esperienza di vita cristiana che risaliva ai primi secoli della Chiesa. Vi erano fiorite l'arte e la santità attraverso l'amabile figura di S. Veronica Giuliani, che ricevette l'abito religioso proprio da lui; fu raccomandata ai superiori e diretta da lui nelle vie misteriose della santità.

P.Giuseppe vi si recò con molta sollecitudine raggiungendola ai primi giorni di Novembre. La cittadinanza, informata del suo arrivo, gli riservò calorose accoglienze tanto più che veniva a loro un pastore missionario e rappresentante del Papa. Egli non deluse le aspettative: per prima cosa volle che nel suo palazzo vescovile fosse di casa "madonna povertà" volendo che alla sua mensa partecipassero i poveri che serviva egli stesso, convinto di servire Cristo.

Rivolse la sua attenzione prima di tutto al clero e successivamente a tutto il popolo. Le località erano piuttosto impervie e difficili da raggiungere a tal punto che da molti anni non vedevano più il proprio pastore. P. Giuseppe si prese carico di visitare tutte queste località per rinnovarne la vicinanza spirituale.

Anche qui non gli mancarono sofferenze e calunnie, orientate tutte a fiaccare il suo coraggio e farlo desistere da quell' azione pastorale tanto assidua ed efficace.

Approvati e stampati i decreti sinodali nel 1675, volle che tutti i sacerdoti li possedessero e fossero scrupolosamente osservati a vantaggio della Chiesa locale che vi fece grandi progressi di vita spirituale.

Il 21 Settembre 1676 salì sul trono Pontificio Innocenzo XI , "uomo di Dio", che la Chiesa eleverà a Beato nel 1958 per opera di Pio XII. Lo conosceva bene e si era stabilita tra le due personalità una certa affinità di spirito e una santa amicizia.


L'ultimo viaggio

modifica

La salute di P.Giuseppe, già minata e fiaccata dalle enormi fatiche, dagli interminabili viaggi, dai digiuni e penitenze, fu compromessa ancora dall'insonnia che divenne cronica. Presago della prossima fine, volle congedarsi dal Pontefice e dai cardinali; si recò a Caprarola per salutare i suoi, desideroso ormai di raggiungere la meta. Il suo desiderio era quello di poter morire nel giorno dedicato alla Regina del Carmelo o nella festa di S. Teresa di Gesù. Conoscendo la data vi si volle preparare degnamente. Volle dispensare i nipoti e parenti da altre visite disponendo che tutte le sue povere risorse fossero devolute a favore della Chiesa locale, a beneficio dei poveri e in parte al Seminario di S. Pancrazio per le necessità della Serra Malabarica.

Giunse perfino a chiedere che il suo cadavere fosse seppellito sotto il pavimento della Chiesa cattedrale perché tutti potessero calpestarlo come oggetto di nessun valore.

Questo suo calvario durò cinque mesi e giunto il giorno 14 Ottobre 1689 perse quasi del tutto la parola e facendosi intendere con difficoltà chiamò il suo vicario generale P. Caromi, il canonico Randolfi e il suo segretario Don Andrea Chigi per fare a loro le ultime raccomandazioni.

Domandò che ora fosse e, sentendosi rispondere che era la mezzanotte, ringraziò il Signore esclamando: "Deo Gratias" poiché entrava nella fatidica data dell' 15 Ottobre 1689, e quindi spirò.

Grande fu il cordoglio di tutti, e le folle furono così numerose da dover transennare la salma e difenderla dai fedeli che già ne avevano tagliuzzato gli abiti e i capelli come preziose reliquie. Lo si dovette sotterrare di notte per sottrarlo alle intemperanze devozionali della popolazione, seppellendolo sotto il pavimento come aveva desiderato con questa iscrizione alquanto diversa da quella composta da lui:

“A Dio ottimo Massimo. Qui dorme il Ven. Fr. Giuseppe di S. Maria dei Sebastiani. Delegato Apostolico due volte nel Malabar ed una nell'Arcipelago: Vescovo vigilantissimo di Gerapoli, di Bisignano e finalmente di Città di Castello”

Molto diverso era l'epitaffio che P.Giuseppe aveva preparato per sé:

"Questa foglia - dalla selva del Riformato Carmelo per il mondo trasportata dal vento - e in pascolo delle pecorelle ovunque nociva - chiusa finalmente sotto questa lapide, piedi umani, calpestate" [7]


In seguito, nell'anno 1717, fu eseguita una ricognizione e fu trovato ancora in ottimo stato, ben conservato e molto disseccato, e fu quindi trasportato accanto alla porta di ingresso della stessa cattedrale.


Pubblicazioni

modifica

Sebastiani scrisse tre libri (dei quali uno pubblicato postumo):

Bibliografia

modifica

Fr. Esutachio di S.Maria, Della Vita, Virtù, Doni, e fatti illustri del Venerabil Monsignor Fr. Gioseppe di Santa Maria de Sebastiani, Lib.I, II, III

Giuseppe Sebastiani, Prima speditione all'Indie Orientali di Monsignor Sebastiani fr.Giuseppe di Santa Maria dell'Ordine dei Carmelitani Scalzi

Giuseppe Sebastiani, Seconda speditione all'Indie Orientali di Monsignor Sebastiani fr.Giuseppe di Santa Maria dell'Ordine dei Carmelitani Scalzi

Collegamenti esterni

modifica