Libro IV

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Il libro IV, elaborato probabilmente a partire dal 16 a.C., circa sette anni dopo la pubblicazione dei primi tre libri. Illumina, come altre liriche, un singolo stato d’animo, sia pure complesso e instabile[1].

(40 vv., strofe asclepiadea)

Il primo carme del quarto libro delle Odi oraziane introduce la figura di Cinara, la donna che rappresenta la giovinezza, l'amore, a cui Orazio ha ormai rinunciato per l'avvicinarsi della vecchiaia; nelle ultime due strofe viene ripreso il motivo dell'amore attraverso il personaggio di Ligurino.

L’inizio si configura come una apompè, cioè come una preghiera destinata allontanare da chi prega il pericolo proveniente da una divinità.

All'inizio dell'ode è presente un'invocazione a Venere. Successivamente viene presentata la figura di un giovane nobile, Paolo Fabio Massimo, che probabilmente fu console nell’11 a.C.: "il breve ritratto di questo giovane brillante e il quadro del culto che egli renderà a Venere sono il riflesso della vita galante di Roma".[2].

Se non possiamo parlare di ode mimica, cioè di ode che segue l’evolversi di una scena, è certo, però, che essa segue i mutamenti di uno stato d’animo, tipici dell’elegia latina. Comunque elegiaco è il pathos all’inizio e alla fine dell’ode. [3].

(60 vv., strofe saffica)

Augusto, stava per rientrare a Roma, dopo un'assenza di tre anni. Iullo Antonio, figlio del triumviro, che occupava a Roma una posizione di rilievo, esortò il poeta a celebrare le gesta di Augusto trionfante, componendo un canto encomiastico emulando Pindaro. Il poeta, però, non ritiene di essere degno dell'inaccessibile grandezza di Pindaro e, dunque esorta l’amico a cantare le glorie di Augusto.

La data di composizione del carme pare si possa collocare al principio del 13 a.C.[4].

Ode III

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(24 vv., strofe asclepiadea)

"Si pensava che chi, alla nascita, fosse stato fissato con sguardo benevolo da Melpomene, sarebbe diventato un poeta. Come, ad esempio Orazio, che ne riconosce tutto il merito alla Musa; infatti riferisce a Melpomene ogni merito della sua gloria. Carme freddo, ma di accurata fattura". [5].

L’ode segna il pieno riconoscimento, da parte del pubblico e della critica, della poesia di Orazio.[6]

(76 vv., strofe alcaica)

Il carme è un epinicio, che celebra la vittoria di Druso sui Reti e i Vindelici, nell’estate del 15 a.C. [7]

Nell'ode è presentata la grande virtù della famiglia dei Neroni, ad essa ne presero parte Druso e Tiberio, ma a farla sbocciare in tanto rigoglio, contribuì l’educazione ai giovinetti impartita da Augusto. [8] Stando alla notizia di Svetonio nella vita di Orazio, sarebbe stato lo stesso Augusto a imporre al poeta di celebrare la vittoria riportata sui Reti e i Vindelici dai figliastri. [9]

Ode schiettamente pindarica per grandiosità di concezione. La strofe alcaica è disuguale, un po’ pesante nell’introduzione, un po’ lenta nella parte gnomica e nel discorso di Annibale. [10]

Sembra veramente che col rapido e felice balzo iniziale il poeta si sia distaccato definitivamente dalle immagini e dagli atteggiamenti consueti. [11]

(40 vv., strofe asclepiadea)

Augusto è assente da un triennio, grazie alle sue imprese la patria ha recuperato sicurezza e benessere sia dentro che fuori per questo lo venera come se fosse un nume e non può più rassegnarsi alla sua lontananza e ne invoca, per mezzo del poeta, il sollecito ritorno.

Il carme limpido e spontaneo, spicca per l’accento della sincerità. [12]. Data probabile di composizione:13 a.C. [13]

La Pax augustea è descritta attraverso immagini concrete. Sullo sfondo sole e mare, tanto da far pensare che l’ode sia stata scritta o pensata sul mare. [14]

(44 vv., strofe saffica)

Il poeta invoca Apollo per ottenere assistenza all’inno eseguito in onore di lui e della sorella Diana ( il Carme Secolare). Questo carme , grave e solenne, ha del Carme secolare il metro e ne presuppone la composizione (17 a.C.).[15]

È il preludio al Carmen Saeculare. Se lì ha eliminato tutto quello che poteva essere personale, qui Orazio confessa i suoi turbamenti, i suoi dubbi, la sua commozione di poeta chiamato a cantare la gloria perenne di Roma. Sorge l’immagine di una fanciulla diventata sposa, il pensiero dei giorni in cui Orazio non ci sarà più e il suo nome e il suo canto diventeranno un lieto ricordo lontano. La poesia dell’ode è proprio in questo suo lento sfumare di immagini, in questo porre accanto alla sua grandezza dell’argomento e alla divina altezza dell’ispirazione, la sua figura di poeta, che non si dimentica di essere uomo.[16]

Ode VII

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(28 vv., strofe archilochea)

Lettera in versi, dedicata a Torquato. E' ritornata la primavera. Solo per noi, una volta morti, non c’è più speranza di ritorno. Il carme è una triste e sincera presa di coscienza della disgraziata condizione umana. Il consiglio, che costituisce la conclusione più importante nelle composizione congeneri, qui fa capolino soltanto nel cuore del carme. Il poeta è preso questa volta dalla malinconia. [17]

Più fresco nell'ispirazione, più snella nella composizione metrica, più fusa nella struttura complessiva, riprende anche nei particolari, un motivo già utilizzato precedentemente conservandone lo stesso tono scherzoso quasi familiare. [18]

Ode VIII

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(34 vv., strofe asclepiadea)

Il carme è dedicato a Censorino. Secondo il poeta, i versi valgono più delle opere materiali a celebrare i meriti degli uomini grandi e a pareggiarli alle divinità. Il carme, intessuto di motivi comuni, fu, forse, composto in occasione di Saturnali, feste in cui si usava scambiarsi i doni[19].

«Bisogna immaginarla declamata o cantata in un sodalicium di poeti ed amici, posto sotto la protezione di Bacco e magari quello stesso a cui ha partecipato Ovidio come vorrebbe il Kiesseling-Heinze, o si debba prescindere da questo suggestivo sfondo e pensare l'ode dedicata per qualche festosa circostanza a Marcio Censorino, il console dell'8 a.C., di cui, Velleio Patercolo scrisse che era virum demerendis hominibus genitum. Ma questo mi sembra certo che, nonostante l'interpretazione del Kiesseling-Heinze, l'ode è tutta scherzosa dal principio alla fine e che il suo evemerismo deve essere accettato tranquillamente, anche se a Roma era ormai cominciata la serie delle apoteosi. Solo che non è un evemerismo dissolvente di critico o di filosofo, ma everismo sorridente di poeta, a cui importa soprattutto affermare che di vivo, di vero, di immortale al mondo non c'è che la poesia. Vecchio motivo della poesia corale greca.»

(52 vv., strofe alcaica)

Orazio celebrerà Lollio, perchè questo è il compito del poeta: consacrare all'immortalità chi ne è degno e celebrarne le virtù.

Marco Lollio fu uno dei più fedeli collaboratori di Augusto. E' probabile che Orazio, indotto da Mecenate, che fu legatissimo a Lollio, abbia cercato di far dimenticare quella che, per Tacito, era ancora la "clades Lolliana", uno dei fatti più tristi del principato di Augusto[20], mettendo in rilievo le sue qualità essenziali di uomo e di magistrato. Ma se dobbiamo credere, non solo a Velleio Patercolo, che divideva probabilmente l'odio di Tiberio per lui, ma anche a Plinio il Vecchio, che durante il periodo di consigliere presso Caligola, si dimostrò così corruttibile e sleale, che alla fine si pensò che non avesse trovato altra onorevole soluzione che il suicidio. Velleio lo dice, a proposito della sconfitta in Gallia, "homo in omnia pecuniae quam recte faciendi cupidior et inter summam vitiorum dissimulationem vitiosissimus"[21]; è quindi più verosimile che anche Orazio sia stato ingannato dalle apparenze, che non indotto a scrivere da un committente un'ode a freddo e senza convinzione, ma è certo che la celebrazione della poesia è nel complesso prolissa e troppo intenzionalmente appesantita di ricordi omerici e di quell'eroica virtù.[22]

(8 vv., strofe asclepiadea)

Ritorna il tema dell’amore per Ligurino già presente nella prima ode del libro: anch'egli diventerà vecchio e allora rimpiangerà le occasioni perdute.

(36 vv., strofe saffica)

E' il giorno natalizio di Mecenate. Il poeta invita Fillide, la quale è innamorta di Telefo, a celebrare questa festa

«L'ode presenta una varietà e complessità di motivi che non sarebbero concepibili senza l'esperienza artistica e spirituale delle epistole. C'è qui un Orazio lirico nuovo, che ha dell'unità stilistica e strutturale una concezione molto più elastica. La strofe saffica comincia con un tono che ha qualche richiamo allo stile delle epistole e può sembrare talvolta persino prosastico, è presente un pacato discorrere e descrivere, che si ferma sui particolari, come per ritardare il momento in cui il poeta dovrà pur dire a Fillide quel che sente per lei. Il complimento che le fa è sembrato al Kiessling-Heinze più adatto alle epistole o a una qualsiasi poesia di intonazione dialettica. Orazio può parlare apertamente di quello che gli sta a cuore, chiederle di consolarla e di essere consolato. Ode perfetta e originalissima, nel suo mirabile equilibrio di toni, in quella così naturale e ricchezza di motivi e di spunti, che approfondisce e arricchisce con un impeto di malinconia.»

Ode XII

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(28 vv., strofe asclepiadea)

E' primavera. Gli uccellini costruiscono il nido, i pastori suonano le zampogne. Il poeta dice di disporre di un bariletto di quel vino buono e consentirà al giovane di berne. Invita, dunque, Virgilio a goderne.

«Il carme svolge un motivo letterario, forse dei meno comuni. A parte un bel quadretto georgico, nell'insieme è un componimento di maniera. Ode indirizzata ad un giovane, ricco commerciante, che frequentava le compagnie eleganti. Comincia con un tono lirico, con una elegantissima descrizione della primavera. E' presente un invito al godere all'ultima strofa, rapido e improvviso. Commentatori, come il Giri e l'Ussani sono di opinione, nonostante la contraria testimonianza della tradizione manoscritta e degli scoliasti, che questo Virgilio possa essere il poeta. Ma se le difficoltà cronologiche sono superabili e si può ammettere che la composizione dell'ode preceda la morte di Virgilio e la pubblicazione del libro IV, resta sempre difficile spiegare lo studium lucri. Meglio intenderla come una variante che prende spunto dal fatto che Virgilio era un commerciante.»

Ode XIII

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(28 vv., strofe asclepiadea)

La tredicesima ode è dedicata a Lice, altra donna citata da Orazio, delineata in modo dispregiativo, perchè imbruttita dalla vecchiaia, contrariamente alla sua convinzione. In questa ode Orazio mette a confronto la figura Lice con quella di Cinara, già incontrata nella prima ode.

Ode XIV

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(52 vv., strofe alcaica)


«Il carme vuole essere una indiretta esaltazione di Augusto, fatta per via della celebrazione del figliastro Claudio Nerone, vincitore dei Reti. Così nell'ode quarta di questo stesso libro il poeta ha cantato le vittorie di Druso, perseguendo, indirettamente, il medesimo fine.»

Il motivo della gloria, derivato dalle imprese di Druso e da quelle di Tiberio e attribuito ad Augusto è convenzionale e cortigiano.

(32 vv., strofe alcaica)

Orazio era ben deciso a comporre un poema epico sulle imprese di Augusto. Ma Apollo lo ammonì, come fece con Virgilio e Properzio, a rinunciare a un genere di poesia, a cui non era adatto.

«La data del carme si può collocare al 13 a.C. L'ode, è un documento prezioso come il Carmen saeculare e la chiusa alcaica, caratterizzata da simbolismi eleganti e chiare allegorie. E l'ultima ode scritta da Orazio, con garbata fantasia iniziale, con arte raffinatissima e il canemus della strofa finale, sembra prolungare all'infinito il canto e la poesia di Orazio, che erano degni di chiudere i quattro libri delle Odi, suggellando proprio con un richiamo alla verità di modi e alla ricchezza di suggestioni, che ne colora la limpida vena.»

  1. ^ Orazio, Le opere, a cura di Antonio La Penna, Firenze, La Nuova Italia, 1969.
  2. ^ Orazio, Le opere, a cura di A. La Penna, Firenza, La Nuova Italia Editrice, 1969.
  3. ^ Orazio,Orazio Le opere, a cura di A. La Penna, Firenze, La Nuova Italia Editrice, 1969.
  4. ^ Orazio,I Carmi, a cura di Onorato Tescari, Torino, Società Editrice Internazionale, 1941.
  5. ^ Orazio,I Carmi, a cura di Onorato Tescari, Torino, Società Editrice Internazionale, 1941.
  6. ^ Orazio, Odi ed Epodi, a cura di Francesco Arnaldi, Milano, Principato, 1943
  7. ^ Orazio, I Carmi, a cura di Onorato Tescari, Torino, Società Editrice Internazionale, 1941
  8. ^ Orazio, I Carmi, a cura di Onorato Tescari, Torino, Società Editrice Internazionale, 1941
  9. ^ Orazio, I Carmi ,a cura di Onorato Tescari, Torino, Società Editrice Internazionale, 1941
  10. ^ Orazio,Odi ed Epodi, a cura di Francesco Arnaldi, Milano, Principato, 1943
  11. ^ Orazio,Odi ed Epodi, a cura di Francesco Arnaldi, Milano, Principato, 1943
  12. ^ Orazio,I Carmi,a cura di Onorato Tescari, Torino, Società Editrice Internazionale, 1941
  13. ^ Orazio,I Carmi,a cura di Onorato Tescari, Torino, Società Editrice Internazionale, 1941
  14. ^ Orazio,I Carmi,a cura di Onorato Tescari, Torino, Società Editrice Internazionale, 1941
  15. ^ Orazio,I Carmi, a cura di Onorato Tescari, Torino, Società Editrice Internazionale, 1941
  16. ^ Orazio,Odi ed Epodi, a cura di Francesco Arnaldi, Milano, Principato, 1941
  17. ^ Orazio, Odi ed Epodi, a cura di Francesco Arnaldi, Milano, Principato, 1943
  18. ^ Orazio, Odi ed Epodi, a cura di Francesco Arnaldi, Milano, Principato, 1943
  19. ^ Orazio,I Carmi, a cura di Onorato Tescari, Torino, Società Editrice Internazionale, 1941.
  20. ^ Tacito, Annales, I 10.
  21. ^ II 97.
  22. ^ Orazio,Odi ed Epodi, a cura di Francesco Arnaldi, Milano, Principato, 1943

Bibliografia

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  • Orazio, Odi ed Epodi, a cura di Francesco Arnaldi, Milano, Principato, 1943.