La disciplina della concorrenza nel diritto italiano modifica

Il legislatore italiano fissa alcuni principi guida, partendo dal presupposto della libertà di concorrenza (art. 41 Cost.):

  1. consente limitazioni legali della concorrenza per fini di utilità sociale (art. 4, 3o comma, Cost.) e la creazione di monopoli legali in settori specifici (art. 43 Cost.);
  2. consente limitazioni negoziali della concorrenza, purché non comportino la completa rinuncia alla libertà di iniziativa economica presente e futura (art. 2596);
  3. assicura l'ordinato e corretto svolgimento della concorrenza nel sistema economico attraverso la repressione degli atti di concorrenza sleale.

Da questi punti manca una normativa antimonopolistica, che è stata colmata parzialmente dalla disciplina antitrust della Cee (limitatamente al mercato comune) e più a fondo dalla legge 10-10-1990, n. 287.

La legislazione antimonopolistica. La disciplina italiana e comunitaria modifica

Il principio cardine della legislazione antimonopolistica dell'Unione europea è che la libertà di iniziativa economica e la competizione tra imprese non possono tradursi in atti e comportamenti che pregiudicano significativamente e a lungo lo svolgimento della concorrenza nel mercato. Ad ogni modo, tale legislazione riguarda solamente il mercato comunitario.

La legislazione nazionale ha recepito tale principio fondamentale nella legge 10-10-1990, n. 287. A questa si sono aggiunte norme specifiche a garantire il pluralismo dell'informazione di massa, relative all'editoria e al settore radiotelevisivo.

La legge 287/1990 ha istituito un apposito organo pubblico indipendente: l'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Questa vigila sul rispetto della normativa antitrust e commina le sanzioni necessarie.

La disciplina italiana ha carattere residuale, applicandosi solo al mercato esclusivamente locale, poiché sono le norme dell'Unione che regolano il mercato comunitario.

Le singole fattispecie modifica

I tre fenomeni rilevanti per la disciplina antimonopolistica nazionale sono:

  1. le intese restrittive della concorrenza;
  2. l'abuso di posizione dominante;
  3. le concentrazioni.

Le intese sono accordi tra imprese tali da limitare la propria libertà di azione sul mercato. Le intese anticoncorrenziali non sono sempre vietate: sono vietate solo quelle intese che "abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza" all'interno del mercato o in una sua parte rilevante (artt. 2 legge 287/1990 e 81 Trattato Ce). Le intese vietate sono nulle; chiunque può agire in giudizio per farne accertare la nullità. L'autorità adotta i provvedimenti per la rimozione degli effetti anticoncorrenziali già prodotti e commina le relative sanzioni pecuniarie.

Anche l'acquisizione di una posizione dominante non è vietata in sé (salvo per i mezzi di comunicazione di massa); ne è vietato l'abuso, ossia lo sfruttamento di tale posizione per pregiudicare la concorrenza effettiva. In particolare è vietato: imporre prezzi o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravosi; impedire o limitare la produzione o gli accessi al mercato; applicare condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti.

Accertato l'abuso di posizione dominante, l'Autorità competente ne ordina la cessazione e infligge sanzioni pecuniarie. In caso di reiterata inottemperanza, può disporre la sospensione dell'attività di impresa fino a 30 giorni.

Nell'ordinamento nazionale è anche vietato l'abuso dello stato di dipendenza economica di un impresa cliente o fornitrice anche rispetto a un impresa non dominante. Il patto attraverso cui si realizza l'abuso di dipendenza economica è nullo e espone al risarcimento dei danni. Inoltre, l'Autorità garante può applicare le sanzioni previste per l'abuso di posizione dominante qualora l'abuso di dipendenza economica vada a inficiare la concorrenza.

Anche le concentrazioni non sono vietate di per sé. Si ha concentrazione quando due o più imprese si fondono giuridicamente, diventano un'unica entità economica o costituiscono un'impresa societaria comune. Le concentrazioni sono illecite solo quando danno luogo a gravi alterazioni del regime concorrenziale del mercato, ovvero sono illecite quelle di maggior dimensione. Pertanto, le operazioni di concentrazione che superano determinate soglie di fatturato devono essere comunicate all'Autorità competente, che può vietarle o prescrivere misure correttive ogniqualvolta avrebbero effetti distorsivi per la concorrenza rilevanti e durevoli. Se la sanzione viene ugualmente eseguita, l'Autorità può infliggere sanzioni fino al 10% del fatturato.

Le limitazioni della concorrenza. Limitazioni pubblicistiche e monopoli legali modifica

La libertà di iniziativa economica privata è disposta nell'interesse generale e non può svolgersi in suo contrasto (art. 41, 2o comma Cost.). L'interesse generale può legittimare anche la totale sospensione della libertà di concorrenza attraverso la costituzione di monopoli pubblici (art. 43 Cost.). I monopoli pubblici possono essere anche istituiti al solo scopo di procurare entrate allo stato (monopoli fiscali).

La produzione di beni o servizi in monopolio legale può avvenire sia direttamente dallo Stato o da altro ente pubblico, sia da un imprenditore privato su concessione della pubblica amministrazione. Chi opera in regime di monopolio legale è obbligato – in deroga alla normale libertà di contrattare – a contrattare con chiunque richieda le prestazioni e a soddisfare le richieste compatibili con i mezzi ordinari dell'impresa; a rispettare la parità di trattamento.

Limitazioni convenzionali della concorrenza modifica

La libertà di iniziativa economica è parzialmente disponibile (art. 2596). Il patto che limita la concorrenza deve essere provato per iscritto; non può precludere ogni attività professionale al soggetto e deve essere circoscritto a un determinato ambito territoriale o a un determinato tipo di attività; non può essere valido per più di 5 anni. E' importante notare che la norma è disposta a esclusiva tutela dei contraenti, non dell'interesse generale alla concorrenza.

La concorrenza sleale. Libertà di concorrenza e disciplina della concorrenza sleale modifica

La competizione gode di ampia libertà di azione e può essere anche aggressiva: il danno che un imprenditore subisce a causa della sottrazione della clientela all'interno del normale gioco concorrenziale non è certamente danno ingiusto e risarcibile. Tuttavia, è interesse generale che la competizione si svolga in modo corretto e leale. Pertanto la disciplina della concorrenza di cui agli artt. 2598-2601 pone delle regole in proposito.

Nello svolgimento della competizione è vietato servirsi di mezzi e tecniche non conformi ai principi della correttezza professionale (art. 2598), tipicamente atti di confusione, di denigrazione e di vanteria. Tali atti sono atti di concorrenza sleale e sono repressi e sanzionati anche se compiuti senza dolo o colpa e senza che abbiano arrecato un effettivo danno ai concorrenti: è sufficiente il danno potenziale. Contro questi atti scattano le sanzioni dell'inibitoria alla continuazione degli atti e dell'obbligo di rimozione degli effetti prodotti. In presenza di dolo o colpa e di un danno patrimoniale attuale, si ha diritto al risarcimento da parte del danneggiato. Sono legittimati ad agire contro gli atti di concorrenza sleale solo gli imprenditori concorrenti e le loro associazioni di categoria

E' tutelato anche l'interesse dei consumatori a che non vengano falsati gli elementi di valutazione del pubblico, ma non direttamente dalla disciplina della concorrenza sleale. Sono infatti legittimati ad agire solo gli imprenditori concorrenti e le loro associazioni di categoria. La tutela dei consumatori avviene, per i casi più gravi, attraverso la repressione penale delle frodi in commercio. Inoltre, l'autonomia privata ha portato alla volontaria adesione da parte delle imprese a un Codice di autodisciplina pubblicitaria, su cui vigila il Giurì di autodisciplina. Il legislatore ha in seguito posto una disciplina della pubblicità ingannevole e comparativa e una disciplina contro tutte le pratiche commerciali scorrette nei confronti dei consumatori. Il controllo è affidato all'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Ogni interessato può richiedere l'intervento dell'Autorità, che può procedere anche di ufficio.

Gli atti di concorrenza sleale (art. 2598) modifica

E' atto di concorrenza sleale ogni atto idoneo a creare confusione con i prodotti o con l'attività di un concorrente. Sono espressamente indicati l'uso di nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con quelli già adottati da altri e l'imitazione servile dei prodotti di un concorrente, ovvero la sistematica riproduzione delle forme esteriori dei prodotti altrui.

Sono atti di concorrenza sleale gli atti di denigrazione e l'appropriazione di pregi di prodotti altrui. Un esempio è la pubblicità iperbolica o superlativa, volta a far passare l'idea che il proprio prodotto sia il solo a possedere qualità o pregi non oggettivi, implicitamente negati agli altri. La pubblicità comparativa non è sempre atto di concorrenza sleale: lo è quando identifica anche implicitamente un concorrente. La pubblicità comparativa è lecita se è fondata su dati verificabili, non ingenera confusione e non comporta discredito o confusione.

La terza categoria, residuale, degli atti di concorrenza sleale comprende “ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l'altrui azienda). Tra questi, la pubblicità menzognera, la concorrenza parassitaria (sistematica imitazione delle altrui iniziative), il dumping, la sottrazione di dipendenti particolarmente qualificati attuata con mezzi scorretti (ad esempio, false notizie sulla situazione economica del concorrente).