Assedio di Bisanzio (195)

L'assedio di Bisanzio del 195 fu condotto da Settimio Severo.

Assedio di Bisanzio
parte della guerra civile
Moneta dell'usurpatore Pescennio Nigro
Data193-195
LuogoBisanzio (moderna Turchia)
EsitoVittoria di Settimio Severo
Schieramenti
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Assedio modifica

L'assedio durò all'incirca tre anni per Cassio Dione.[1] La città assediata, protetta dalle difese naturali nonché da mura possenti, oppose una strenua resistenza.[2] Di seguito viene riportata la descrizione fatta da Cassio Dione delle difese:

«I Bizantini però, non solo vivente Negro, ma anche dopo la di lui morte molte cose oprarono e queste maravigliose. La loro città è situata in luogo opportuno per il continente che la cigne dall'uno e dall'altro lato, e il mare che passa frammezzo; per la natura del luogo stesso e del Bosforo, era molto ben munita. Perciocchè edificata trovasi in luogo aperto, e prominente nel mare, che a guisa di torrente viene dal Ponto, bagna il promontorio della città stessa, e si ripiega la parte a destra, ove forma un seno e i porti, per la maggior parte però scorre con grandissima celerità e presso la città stessa nella Propontide. Avevano inoltre que cittadini mura fortissime, delle quali la parte esterna costrutta era di grosse pietre quadrate, collegate tra di esse col mezzo di lamine di ferro; internamente erano state per tal modo munite di terrapieni e di edifizi, che tutta l'opera sembrava altro non essere che un solo muro grossissimo, sopra il quale praticato era un passaggio coperto e sicuro. Eranvi ancora molte grandi torri costrutte al di fuori, le quali porticelle avevano da ogni parte ad esso corrispondenti, dal che avveniva che chiunque avesse invaso il giro delle mura, sarebbe stato tra le torri medesime intercetto. Imperciocchè poste a piccola distanza l'una dall'altra, nè tutte in ordine retto, ma qua e là fabbricate nei rimoti giri del muro, tra di esse inchiudevano qualunque cosa alle mura si avvicinasse. Le parti del muro che la città cigneva, rivolte verso il continente, avevano una grande altezza, cosicchè da quelle rintuzzare potevasi qualunque nemico; ma quelle rivolte al mare, erano di altezza minore. Perciocchè da questo lato gli scogli, sui quali edificate erano le mura, coll'impeto stesso del Bosforo mirabilmente i cittadini difendevano. Inoltre i due porti in fra le mura, colle catene si chiudevano; e le moli lapidee dei porti medesimi sporgenti nel mare, da ciascuna parte torri eminenti sostenevano, cosicchè difficile rendevasi l'accesso alle navi ostili. In somma il Bosforo grandissimo giovamento reca ai Bizantini, giacchè se una nave si lascia cogliere una volta nel suo flusso, spinta è forzatamente contro la terra, la quale cosa siccome è agli amici gratissima, così sommamente molesta ai nemici riesce.»

Prisco, concittadino di Cassio Dione, aveva progettato la maggior parte delle macchine di difesa dall'assedio, le quali, lanciando proiettili e oggetti contundenti di ogni sorta, rendevano arduo agli assedianti l'avvicinarsi alle mura; alcune di quelle macchine erano provviste di grandi uncini, che si abbassavano ad un tratto, e rapidamente tiravano a sé le macchine e le navi dei nemici, che si trovavano a portata.[3] I Bizantini avevano a disposizione anche cinquecento navi, di cui molte di esse avevano una fila di remi e alcune due, ed erano tutte equipaggiate di rostri. Esse erano provviste di timonieri e di marinai, in modo che potessero attaccare e ritirarsi senza compiere una manovra di inversione, e poter ingannare i loro avversari sia nell'accostarsi che nel ritirarsi.[3] I Bizantini catturavano non solo le navi nemiche con attacchi opportuni ma anche triremi che erano nella rada dei loro avversari: riuscirono in ciò facendo sì che i tuffatori tagliassero le loro ancore sott'acqua e trascinando le navi nemiche a Bisanzio.[1] Vi furono anche dei casi in cui i commercianti si fecero catturare di proposito dai Bizantini, anche se finsero che ciò era avvenuto contro la loro volontà, e, dopo aver venduto la loro merce a grande prezzo, fuggirono via mare.[1]

Gli assediati continuarono a opporre una strenua resistenza anche quando tutte le provviste in città si esaurirono e furono completamente isolati dal resto del mondo. Per le loro navi usarono travi prese dalle case e realizzarono funi fatte con i capelli delle loro donne, mentre, per respingere gli assalti alle mura, scagliavano contro il nemico le pietre dei teatri e i cavalli e le statue di bronzo.[1] La maggior parte della popolazione, dopo aver atteso invano una tempesta per procurarsi dell'acqua, salparono con la determinazione o di perire o di procurarsi vettovaglie; e, assalendo i sobborghi senza preavviso, saccheggiarono tutto indiscriminatamente.[1] Quelli che rimasero in città, oppressi dalla fame, ricorsero al cannibalismo.[1]

I Bizantini, dopo essersi procurate le vettovaglie con il saccheggio, caricarono le loro navi con più carico di quanto esse potessero sostenere, e tentarono di portarlo in città, non riuscendoci tuttavia, in quanto furono attaccati e annientati senza pietà dalle navi romane.[4] Le navi romane trascinarono molte navi nemiche con i loro mezzi marinai, distrussero molte altre con i loro rostri, e a capovolgere alcune; le navi che tentarono la fuga o furono affondate dalla furia del vento o furono sopraffatte e distrutte dal nemico.[4] I Bizantini rimasti in città pregarono gli dei invocando il loro aiuto, e rimasero scossi dalla uccisione dei loro concittadini. Il numero totale di relitti fu talmente grande che alcuni andarono alla deriva sulle isole e sulla costa asiatica, rendendo evidente la sconfitta anche a coloro che ne erano ignari.[4] Il giorno successivo i Bizantini, provati dal disastro navale e senza più scorte di cibo, decisero di arrendersi.[5]

Conseguenze modifica

I Romani misero a morte tutti i soldati e i magistrati, risparmiando il resto della popolazione a eccezione del pugile che aveva aiutato i Bizantini e danneggiato i Romani.[5] Dopo la resa della città Prisco fu condannato a morte ma Severo impedì la sua esecuzione e fece ampio uso dei suoi servigi, soprattutto in occasione dell'assedio di Hatra, dove le sue macchine furono le uniche non incendiate dai Barbari.[3]

Sembra che Severo, quando apprese della resa di Bisanzio mentre si trovava in Mesopotamia, avesse dichiarato alle sue legioni: "Abbiamo preso anche Bisanzio".[5] Severo punì pesantemente Bisanzio per la sua strenua resistenza, privandola della sua indipendenza e rendendola tributaria, confiscando inoltre le proprietà dei cittadini; la città, privata di teatri e terme e di tutti i suoi ornamenti nonché declassata a villaggio, fu concessa insieme al suo territorio agli abitanti di Perinto, i quali non mancarono di oltraggiarla e umiliarla.[5][6] Severo demolì inoltre le mura della città, venendo in ciò criticato da Cassio Dione che lo accusò di aver distrutto un forte baluardo romano nonché base di operazioni contro i Barbari del Ponto e dell'Asia.[5]

Note modifica

  1. ^ a b c d e f Cassio Dione, LXXIV, 12.
  2. ^ Cassio Dione Cocceiano, LXXIV, 10.
  3. ^ a b c Cassio Dione, LXXIV, 11.
  4. ^ a b c Cassio Dione, LXXIV, 13.
  5. ^ a b c d e Cassio Dione, LXXIV, 14.
  6. ^ Erodiano, III, 6.

Bibliografia modifica

Fonti antiche